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“Fabbricateatro compie 25 anni e mentre i teatri della nostra città chiudono noi, al contrario, apriamo una nuova sala in via Caronda 84 e tocca a me tirare un bilancio e cercare un senso a tutto ciò”. Sono le parole cariche di entusiasmo di Elio Gimbo, attore e regista catanese e fondatore, animatore del gruppo Fabbricateatro che  traccia la storia, i trascorsi della compagine teatrale e parla del nuovo spazio e del suo significato.

L’attore e regista Elio Gimbo

“Cominciammo che eravamo un pugno di ragazzi riuniti attorno alla personalità di Elena Fava, – spiega Gimbovolevamo unire impegno artistico a missione civile, fare col teatro “politica con altri mezzi”; questi mezzi erano una condizione esistenziale che ci apparteneva e ciò che imparavamo a conoscere: le tecniche del teatro, il nostro passaporto per la vita adulta. Nel 2006 lo storico Rosario Mangiameli senza saperlo interpretò benissimo quell’esperienza: alla presentazione di “Fusione fredda” – documentario girato e montato da Giovanni Grasso e da me sullo scioglimento dei DS pre-nascita del PD – disse il Prof: “il movimento antimafia è stato, col movimento agrario dei ’50, l’unico momento di profonda aggregazione dal basso della sinistra siciliana”, trovai in quel concetto una relazione intima con la mia vita di regista, spiegava alcune delle aspirazioni che animavano Fabbricateatro all’inizio, nei primi anni ’90″.

“Di una cosa eravamo convinti: – continua Gimbo – bisognava pensare in modo urgente ai bisogni e alle fantasie dello spettatore. Il pomeriggio del 5 gennaio ’94 commemorammo Pippo Fava con un “Carpet Show” in piazza Università: dentro ad un quadrato 8×8 di iuta avveniva, protetto da fuochi che salivano d’intensità, un montaggio delle cose più vere, scottanti e belle che Fava avesse scritto su “I Siciliani” poco prima di morire…il tappeto era circondato da tantissimi catanesi, poco prima dell’inizio Giusi Gizzo, la nostra scenografa/costumista, mi raccontò di una donna che le si era rivolta sommessamente chiedendole…”ma chi siti di ‘na religgione divessa?“, per me quella è rimasta la proposta migliore ai nostri spettatori in sala…noi pratichiamo una religione diversa”.

L’interno della nuova sala

Che spettatori vorreste in sala?
“Come pensare gli spettatori in sala? Per me lo spettatore non coincide solo con colui che assiste allo spettacolo, lo spettatore vivente, ma anche con colui che potrebbe o che vorrei; sogno spettatori che sono maestri conosciuti personalmente o attraverso spettacoli e libri, vivi o morti, celebri o “senza nome”: sono Vsevolod e Konstantin..Julian e Judith…Jerzy ed Eugenio..Natale e Pippo – nel teatro tra spettatori e artisti spesso ci si chiama per nome – sono Ezio Pirrone, Giacinto Ferro, Salvo Basso, Elena Fava e Giuseppe Di Martino – la cui influenza sul teatro contemporaneo cittadino sembra dimenticata da tutti – a cui intitoleremo la nostra sala al chiuso che stiamo per battezzare con il nostro nuovo spettacolo “IL PRINCIPE”. E’ a costoro che dedico nell’intimo questa nuova e decisiva avventura di Fabbricateatro. Gli spettatori che vorrei sono anche gli assenti, coloro che avrebbero bisogno della nostra azione ma non riusciamo ancora a raggiungere, i giovani e gli adulti che abitano il quartiere dove apriamo la nostra attività teatrale, via Caronda 84, coloro che dobbiamo conquistarci”.

Si prova uno spettacolo..

Chi sono i protagonisti attuali di Fabbricateatro e come strutturerete la sala?

“Con i miei compagni di oggi (Daniele Scalia, Sabrina Tellico, Antonio Caruso, Antonio Starrantino, Elvio Amaniera) facciamo la scelta di accogliere pochi spettatori alla volta, ma insieme quella di replicare tante volte, anche con pochi spettatori viventi; i posti vuoti li occuperà la mia memoria, la consapevolezza della piccola tradizione da cui discende la piccola vita che ho vissuto fin qui. Il teatro mi ha insegnato a chiedere e a dare a compagni e spettatori, a rispettarsi vicendevolmente: ai compagni chiedo la personale eccellenza, il non fermarsi dinanzi alle proprie lacune, chiedo lo studio personale d’attore; perché ci vuole dedizione da trasformare in amore per colui che ci verrà a vedere pagando un biglietto se vogliamo pungerlo nell’intimo con i nostri spettacoli, per colui a cui in cambio chiediamo impegno ed attenzione, a cui chiediamo di uscire dalla nostra tenda di beduini abituati a sopravvivere nel deserto con una manciata di datteri, per poi ritornarvi magari in compagnia di un nuovo spettatore; siamo un’inquietudine sotterranea che viene ogni tanto alla luce come fa l’Amenano.
E’ vero, siamo distinti dal teatro catanese, ma non separati; ci unisce semmai la comunanza ideale con altre esperienze culturali ed esistenziali emergenti dal basso, fiori che sbocciano da sempre a Catania: ieri erano la Cyclope Records, i Kunsertu, le Biblioteche “Civica/Ursino Recupero”, Famiglia Sfuggita, Schizzi d’Arte, i Lautari, i Media Lab della facoltà di Lettere; oggi sono Gallerie d’arte come “Ritmo” e “Carta Bianca”, la libreria ”Vicolo Stretto”, la biblioteca comunale “V. Bellini”, Gammazita o il Teatro Coppola dei cittadini. Abbiamo tutti radici che affondano nel cielo”.

Interno nuova sala di via Caronda

Cosa è cambiato tra ieri ed oggi?

“Qualcosa è cambiato tra l’allora e l’oggi: tendiamo a vivere sempre nel presente, non conosciamo il futuro e non abbiamo più il passato: l’uno ci pesa come la possibilità che tutto accada, l’altro come la realtà del nulla; in quest’epoca amiamo non avere speranze né nostalgie, tendiamo a non realizzarci mai, ad essere come due abissi: un pozzo che fissa il cielo”.

Cosa significa oggi fare teatro?

“Fare teatro certamente protegge dalla noia ma è da questa che a nostra volta dobbiamo proteggere gli spettatori viventi, sapendo che è il debito ereditato dal teatro del recente passato. La noia è pensare senza pensieri, provare stanchezza nel pensare; sentire senza che si senta, provare angoscia nel sentire; volere senza che si voglia, provare la nausea del non volere. Alziamo il ponte levatoio del castello della nostra anima e fra essa e le terre intorno resta solo il potere di guardarle senza poterle percorrere, un isolamento di noi in noi stessi dove ciò che ci separa è stagnante come la nostra anima: acqua sporca che circonda la nostra rinuncia a capire; la noia è la desolazione del bambino dentro di noi a cui non abbiamo regalato nessun giocattolo divino, il demone a cui cerca di sfuggire lo spettatore vivente; non prova noia chi ha un dio, la noia è la mancanza di una mitologia.
Il naufragio della città fin qui è accaduto senza una vera tempesta, in un mare in cui i nostri piedi toccano il fondo, possiamo farcela a tornare a riva, ma abbiamo paura di farlo”.

Sala Giuseppe Di Martino

Il significato della nuova Sala di via Caronda 84…
“La nostra sala di via Caronda è desiderio di rivolta a tutto ciò, con i miei compagni ci fabbrichiamo uno strumento di precisione grazie al quale l’acciaio liquido del teatro e il bronzo fuso del pensiero ci consentano di procedere ad una rigorosa analisi intima, uno spazio dove l’immateriale diventi materia reale, per noi e per chi ne senta il bisogno”.

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