SpettacoloTeatro

A tratti visionario, surreale, sospeso tra il sacro ed il profano, che nega e regala speranza di resurrezione a tutti noi attraverso due personaggi, due figure simbolo che, agli antipodi, per stile di vita e percorso esistenziale – in un giorno speciale (o qualunque)- si incontrano, realizzando, concretizzando il “miracolo” della vita, tra musica, citazioni, poesia e tanta spiritualità, in un mondo sempre più spietato. Stiamo parlando dell’atto unico “Aquiloni”, proposto, il venerdì e sabato prepasquale, al Teatro Coppola di Catania, spettacolo nato dalla collaborazione tra MezzARIA e SenzaMisuraTeatro e diretto, con mano felice ed illuminata, da Nicola Alberto Orofino che, come dimostrato in altre occasioni in cabina di regia, riesce sempre a trovare delle soluzioni sceniche innovative e d’impatto.

Una scena di “Aquiloni” (Ph. Gianluigi Primaverile)

Il lavoro, che si sviluppa in circa 60′, fa riferimento al libro “L’uomo che era morto” di David Herbert Lawrence e la drammaturgia è dello stesso regista Orofino e dei due appassionati ed appassionanti interpreti, Alice Sgroi e Francesco Bernava che, su una scena di Arsinoe Delacroix tra il visionario, il moderno e l’antico, popolata da panche, microfoni, giacche e vari oggetti funzionali al racconto, danno vita a due figure straordinariamente reali, solo apparentemente in antitesi, ma che poi si incontrano, si comprendono, si attirano e che – tra tanta spiritualità, musica, citazioni letterarie, linguaggio aspro e duro dei nostri giorni, sorrisi ed ammiccamenti – vorrebbero volare in alto come “Aquiloni”, ma alla fine rimangono legati alla terra, al loro essere. I due ambiscono ad altro, vorrebbero volare in alto, ma restano ancorati alla terra, non riescono a sfruttare la forza dolorosa del distacco…

Locandina “Aquiloni”

In “Aquiloni” Alice Sgroi veste i panni della prostituta Maria, detta Maddy, relegata nella sua solita e squallida vita, tormentata dal fatto di aver abbandonato la figlia e consolata dalla presenza di una vasta clientela e dalla musica, mentre il fanciullesco e visionario Francesco Bernava interpreta Salvatore, detto Salvo (che non ha salvato mai nessuno), nullafacente, che trova il denaro che gli è necessario camminando per la strada, ama la musica, i libri, la lettura, sua madre è una suora e lui vive in convento.

Alice Sgroi e Francesco Bernava (Ph. Gianluigi Primaverile)

Lo spettacolo, grazie alla regia di Nicola Alberto Orofino – ricca di soluzioni ad effetto e stranianti (l’acqua che si trasforma in vino, il pane spezzato, l’immagine di Cristo in trasparenza nella panca- Sepolcro, il fumo sul pubblico)- è impreziosito dai brani musicali di Vinicio Capossela, Fabrizio De Andrè, Jovanotti, Giuseppe Verdi, Rita Pavone, Luigi Tenco, Rino Gaetano,  da citazioni letterarie (“L’aquilone” di Giovanni Pascoli), da riferimenti spirituali e religiosi e rivela un intreccio drammaturgico sempre su un binario tra il misterioso e l’immaginario, regalando al pubblico due serate prepasquali che intrigano e commuovono, merito di una storia che mescola il presente con il passato, il sogno con il possibile, l’incontro con la separazione, la spiritualità e la conoscenza con la cruda realtà di tutti i giorni. Sia il regista Orofino che i due interpreti, Bernava e Sgroi, nell’assemblare il lavoro ci mettono tanta voglia di fare, tanto cuore, costruendo uno spettacolo che, attraverso due singolari, antitetici, eterni personaggi, risulta – come la poesia “L’aquilone” di Pascoli, recitata dai due interpreti – una amara riflessione della vita.

Bernava e Sgroi in scena (Ph. Gianluigi Primaverile)

Così come lo stesso regista sottolinea, “Aquiloni” è la storia dell’incontro tra due mondi e modi (il sacro e il profano), solo apparentemente diversi, opposti, lontani. Sono i due universi di  Salvo e Maria, che di regola non potrebbero o non dovrebbero mai incontrarsi, ma che invece si attirano, si intendono e richiamano alla mente altri incontri memorabili che sono avvenuti in letteratura, in musica e  nella storia. Durante il loro incontro casuale (?), tra giacche rubate e restituite, la loro eccentrica frequentazione, le successive discussioni, le canzoni, i sorrisi, i continui riferimenti letterari e spirituali, musicali e religiosi e gli ammiccamenti, Salvo e Maddy nascondono un emozionante e doloroso segreto, più potente della vita e della morte, più emozionante dell’amore. I due diventano, nell’immaginario del regista, due aquiloni, volando in cielo leggeri ed, allo stesso tempo, rimanendo legati alla terra tramite un sottile ed invisibile filo che li unisce e li rende, loro malgrado, più pesanti del vento da cui vorrebbero essere portati via.

Il regista Orofino, Bernava e Sgroi a fine spettacolo (Ph. Dino Stornello)

Testo di notevole interesse, in grado di potersi arricchire ancor di più di particolari e visioni esplicative e caratteristiche dei due personaggi, messinscena tra il grottesco ed il visionario che, con l’innovativa regia di Nicola Alberto Orofino, convince e commuove il pubblico, alla fine prodigo di applausi per l’azzeccata operazione. Efficaci e ben delineate le interpretazioni dei due protagonisti in scena: Alice Sgroi, ora misurata, ora tagliente, ora desiderosa d’amore e cambiamento, confeziona una Maria-Maddy incantenata alla sua vita, ma capace di resuscitare, desiderosa di cambiare il suo percorso in nome dell’amore e di un incontro spiazzante, mentre Francesco Bernava disegna un Salvo ora fanciullesco, ora curioso e determinato, ma soprattutto intenzionato a non mettersi più in gioco.

Assistente alla regia è Giada Caponetti, i costumi, fantasiosi e colorati, sono di Laura Lucia Lazzaro, i funzionali materiali scenici sono di Giuseppe Pomidoro ed il prezioso gioco luci è di Luca Giannone.

Spettacolo, come detto, interessante, degno di nota, che regala emozioni e che merita adeguata attenzione da parte di pubblico e critica.

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