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Una voce, una chitarra e un po’ di… Whisky…Il tono evocativo di quest’apertura – forse, proprio perché troppo evocativo – potrebbe dare un’idea incongrua del concerto che Riccardo Angelo Strano ha offerto, con Davide Sciacca, alla Sala di via Adua. Invece, il penultimo appuntamento primaverile di “Fuorischema”, l’attività concertistica del Centro Magma di Catania, non avrebbe potuto avere effetti più scoppiettanti.

L’elevata importanza dell’evento era già nelle previsioni, ma il giovane controtenore catanese ha sorpreso piacevolmente per l’inconsueto repertorio che ha proposto. E – come ha chiarito e come si dirà – non si è trattato di un caso isolato ma del debutto di un vero e proprio progetto dall’identità già ben marcata.

Non a caso il pubblico, immergendosi nella penombra della sala, era accolto dai tenui segni di una diapositiva in cui, su un fondo verde, campeggiava la scritta “Counter Irish Projet” ed il logo “C. I. P”. È, dunque, l’Irlanda la coprotagonista, con la sua cultura tradizionale, le cui radici che affondano nella “Lingua”, il “gaelico”, ancora oggi rivendicano orgogliosamente alla parlata degli “invasori” (anche lì ormai radicatasi) un’indipendenza mai del tutto riconquistata quanto agognata.

“Chiamatila minchia, la parola è santa” titolava a piena pagina Santo Calì nel primo volume dell’“Antigruppo 73” (p. 111); «…Un populu diventa poviru e servu / quannu ci arrubbano a lingua / addutata di patri… », a sua volta, scriveva (1970) Ignazio Buttitta. Sembra una storia di isole, di culture aggredite sin nell’intimo; tanto che si ricordano passate esperienze di parallelismo tra la Sicilia e le isole del Nord Europa, sottolineate in musica da gruppi come, ad esempio, “The White stag” (composto da musicisti anche loro sicilianissimi, ospiti di Fuorischema nel lontano 1985).

L’Irlanda ha sempre avuto un posto di rilievo nella cultura: si ricorderà bene che è la patria di gente come Samuel Beckett, James Joyce, George Bernard Shaw, ‎Oscar Wilde, William Butler Yeats (si rinvia, in proposito, al pregevole album “Branduardi canta Yeats” del 1986)  ma anche di Enya, e Bono (“icona” degli U2, nato a Dublino nel 1960); anche Sir George Ivan “Van” Morrison è irlandese, del Nord, non (verrebbe voglia di scrivere “ancora”) indipendente.

Strano e Sciacca (Foto di Salvo Nicotra)

Neanche in questo spettacolo il tema dell’indipendenza e dell’irredentismo rimane celato, se è vero che sulla pedana, in primissimo piano è adagiata una bandiera irlandese, se è vero che il colore assolutamente prevalente – per esplicita scelta di Strano – è il verde, con tutti i richiami (sia a voce che nel programma di sala) al suo rapporto con l’Isola e se è vero, infine, che il brano che rimane nelle mente, martellandoti insistentemente anche dopo la conclusione della serata, è “Mo ghile mear (Il mio eroe galante)”. Questo brano del XIX secolo è stato, peraltro, accompagnato da un commento dal senso inequivocabile e dalla proiezione della diapositiva raffigurante la statua della dea Eire (Irlanda) appoggiata alla tipica arpa celtica. Ed è questo, in particolare il brano esplicativo anche dell’operazione artistica. Un controtenore è un «tenore con un registro acuto particolarmente esteso» (Garzanti); questa tipologia è stata di largo impiego dal Medioevo al XVIII secolo perché le donne non potevano cantare nelle chiese e all’opera, ebbe il suo splendore nella musica barocca (Handel, Purcell, Bach, Scarlatti, Monteverdi) e non fu aliena neanche al riformatore Gluck (al cui splendido “Orfeo ed Euridice” Strano ha prestato la voce protagonista nella “Mise-en-espace” del 2014 al Festival della Valle d’Itria). La capacità di coniugare toni e colori così arditi, ha reso l’artista richiestissimo come cantante lirico in tutto il mondo.

Cosa l’abbia spinto, allora, a cimentarsi in un repertorio che tecnicamente richiede un impegno e uno studio tanto diverso e gravoso, l’ha indicato egli stesso nel bisogno di esplorare una tipologia tanto affascinante da indurlo a pensare ad un progetto che dovrebbe culminare, dopo un “giro” (che presto comincerà come ospite del Museo archeologico di Gela), nell’incisione di un disco – ci tiene a sottolinearlo – con una Casa specializzata in musica classica.

Si diceva prima della presenza di un pur essenziale impianto scenografico per dire anche che il pubblico ha assaporato più di un semplice “recital”; i due artisti hanno, infatti, offerto uno spettacolo godibile, ricco di azioni, di colori, di odore d’incenso, di parole (esplicative e non solo), talora – persino – d’ironia che spesso ha fatto da contraltare alla malinconia di buona parte della musica e di tante ballate. Particolarmente sapida è stata la trovata della bottiglia di whisky rigorosamente irlandese, posta al centro della scena, cui i due hanno attinto ripetutamente sino al termine (con inclusa freddura).

Si è detto anche come nell’immagine della dea Eire fosse presente un’arpa; in questa esperienza tale strumento ha lasciato il posto alle corde della chitarra di Davide Sciacca, altro musicista siciliano emergente, frequentatore attento delle isole britanniche. C’è da dire subito che non si è trattata di mera (e necessariamente limitata, qualora questo fosse stato il tentativo) supplenza ma di un originale e fecondo innesto nel tessuto complessivo che ha, perciò, conferito originalità all’intera “performance”, assecondando le ardimentose evoluzioni della duttilissima voce solista e ricamando, a sua volta, un ordito efficacemente complementare, che ha anche trovato il protagonismo negli assolo.

Lo spettacolo è stato salutato da convintissimi applausi e dal lungo successivo intrattenersi sino a notte del pubblico con gli artisti.

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