Intervista con...

Lo abbiamo incontrato recentemente al Centro Zo di Catania in occasione della messa in scena dello spettacolo “Seră biserică”, pièce incentrata sulle condizioni delle braccianti rumene impiegate nelle serre agricole della costa ragusana. Stiamo parlando dell’attore, regista ed autore palermitano Giacomo Guarneri che, irrobustito dalle esperienze con Mimmo Cuticchio, Dario Fo, Ascanio Celestini, Davide Enia, Laura Curino, Vincenzo Pirrotta ed Emma Dante, dal 2007 al 2015 ha portato avanti, come autore, un trittico sul tema del lavoro con “Danlenuàr” (Premio Enrico Maria Salerno per la Drammaturgia 2008), “Radio Belice non trasmette” (Premio “Etica in Atto” 2013) e “Seră biserică”.

Con Giacomo Guarneri abbiamo parlato dei suoi primi passi come attore, della sua passione per il teatro, delle difficoltà incontrate e dei progetti presenti e futuri.

L’attore ed autore Giacomo Guarneri

Come è nata la tua passione per il teatro…parlaci dei tuoi inizi, con chi hai cominciato, chi ti ha ispirato…

Tra il 2000 e il 2001 frequentavo un centro sociale a Palermo e lì provavano Davide Enia e la compagnia di Emma Dante. Si preparavano per il Premio Scenario. Il teatro non mi interessava, allora. Ma vidi quello che facevano e mi entusiasmò. Pensai che da grande avrei voluto fare qualcosa di simile. Ad Agosto del 2001, quasi per caso, facevo il mio debutto al Bassano Opera Festival con Malangelità di Davide Enia, che a Scenario era arrivato in finale e si era guadagnato una produzione. La scuola di teatro, i laboratori ecc, tutto è venuto dopo.

Come si svolge oggi la tua attività e qual è il rapporto con la tua città, con la tua terra…

So che non potrei fare altro nella vita o almeno: al momento non voglio. Per me tutto nasce dal desiderio di raccontare storie, di costruire storie, di scrivere e raccontare il mondo. Così facendo conosco gli altri, e conosco meglio me stesso. Ogni lavoro è un percorso che può durare anni. Fatto di incontri, di ascolto, di dedizione. Il momento della restituzione al pubblico è il momento della condivisione, l’approdo dopo un lungo viaggio.

Recitare o scrivere, quale dei due prediligi

La scrittura la ritengo profondamente mia. Attore non mi ci sento in realtà. O non del tutto. O in una maniera del tutto singolare subordinata alla parola, a come quella risuona in me, alle immagini che crea, alla musica che fa… Mi metto al servizio, quando serve. Questo sì.

Una scena di “Seră biserică

Cosa ti hanno dato le esperienze con Mimmo Cuticchio, Dario Fo, Ascanio Celestini, Davide Enia, Laura Curino, Vincenzo Pirrotta ed Emma Dante?

Cuticchio e Celestini, ognuno a suo modo, mi hanno insegnato a creare immagini con le parole e a sostenerle, come sospese nell’aria, grazie a ritmo e melodia (che poi è qualcosa che ha a che fare con la poesia).  Per me sono dei punti di riferimento di assoluta importanza. Ciò che ho potuto apprendere o approfondire con Enia, Fo e Curino rientra in questo stesso ambito, con la differenza che Fo aveva una capacità mimica e una passione politica singolari. Su questi narratori, sulle loro modalità eccetera potrei dilungarmi ma mi fermo (gli ho già dedicato una tesi di laurea!). Con Emma Dante, il discorso è diverso. Il suo è un talento registico straordinario. Me la ricordo ai tempi di mPalermu e Vita mia: dirigeva gli attori nelle improvvisazioni e al contempo creava  le scene, la storia, lo spettacolo. Teneva le redini di tutto, contemporaneamente: drammaturgia, regia, caratterizzazione dei personaggi… Scriveva in sinergia coi corpi degli attori che si trovava davanti. Disciplina, fatica tanta… ma che risultati!”.

Come mai dal 2007 hai portato avanti come autore un trittico sul tema del lavoro. Perché questa scelta?

Non è stata una scelta, è capitato che questi tre lavori attenessero tutti al tema del lavoro. È anche vero che il lavoro è una sfera centrale nella vita degli uomini, spesso determinante. Spesso uno snodo fondamentale tra vita pubblica e privata. Ecco, questo mi interessa: la storia dell’individuo e i suoi rapporti con la Storia con la S maiuscola. E infatti, in Danlenuàr o in Seră biserică, quello del lavoro più che un tema centrale è un campo d’indagine, poi quello che m’interessa è l’umano.

Danlenuàr”  (Ph. Dario Guarneri)

Quali temi preferisci trattare o affrontare da attore e da autore? Cosa vuole vedere oggi il pubblico a teatro?

Come dicevo, mi interessa l’uomo, i suoi comportamenti, mi interessa la complessità; non ho dei temi preferiti. Rispetto a ciò che il pubblico vorrebbe vedere, non so. Non è una domanda che mi pongo, o non troppo spesso, e comunque non è semplice generalizzare. Posso dirti che cerco di realizzare lavori di cui io in primis sento la mancanza, che io in primis avrei desiderio di andare a vedere a teatro.

Dove va oggi, secondo te, il teatro e la nuova drammaturgia?

Oggi il teatro ha bisogno di organizzazione, professionalità, nuove politiche e tanto altro, credo. Ha bisogno di (ri?)avvicinare il pubblico, di coinvolgerlo, di interessarlo. Servono umiltà e intelligenza, credo. Almeno, questo è ciò che chiedo a me stesso, tanto per cominciare. Al cospetto di altri linguaggi, che sembrano imperare e archiviare la pratica del palcoscenico come desueta, mi piace pensare che il teatro possa ancora contare su quello che è il suo specifico, la presenza, il corpo vivo dell’attore di fronte al suo pubblico, la non riproducibilità dell’incontro che accade tra attore e spettatore, la condivisione di una materia drammatica, poetica, di uno sguardo sul mondo, di una verità, forse. Una nuova drammaturgia, mi auspico, faccia conto di questo.

Chi è Giacomo Guarneri nella vita di tutti i giorni: passatempi, libri preferiti ecc.?

“Amo giocare a calcio, coltivare pomodoro, mangiare spaghetti e cambiare il pannolino a mia figlia, o rimanere fermo a guardarla, semplicemente. Cme libri ultimamente leggo Bolaño, Gombrowicz, Vasta, Di Girolamo, Sciascia, Siti, Wilcock, Carrère, Gadda, Dante, Volodine…”.

Radio Belice non trasmette” (Ph. Dario Guarneri)

Quali ostacoli hai incontrato seguendo la tua passione per il teatro?

Gli ostacoli sono quelli che s’incontrano nel mondo del lavoro.  È una professione, una strada, non più difficile e tortuosa di altre, mi sembra di capire guardandomi intorno. E c’è pure la soddisfazione di essere riuscito a viverci (fino a oggi almeno!) con questo mestiere. Da anni immagino di seguire un percorso, in qualche modo coerente… da qualche parte porterà! Di sicuro ho sempre fatto ciò che più mi gratificava, mi sono sempre o quasi sempre prestato a progetti di cui andar fiero, ho fatto le mie scelte liberamente; dal punto di vista artistico, intendo.

A cosa stai lavorando al momento, quali i tuoi prossimi impegni?

Al momento lavoro coi miei compagni di viaggio (Marcella Vaccarino innanzitutto che da anni ormai collabora con me stabilmente) a un progetto un po’ articolato, un po’ ambizioso… si chiama “Rosa Epic”, consiste nella messa a punto di uno scenario narrativo complesso, dove è difficile stabilire il limite tra finzione e realtà. Lavoriamo alla costruzione di più monologhi interconnessi. C’è una serie di personaggi, almeno sette, che immagino di intervistare (l’intervista, la raccolta di testimonianze ‘sul campo’ è uno dei punti di partenza di tutti i miei/nostri lavori). Lo spettatore li segue, li scova all’interno di uno spazio (non convenzionale) fatto di stanze  e ascoltando le loro voci ricostruisce i pezzi di un mondo capovolto, eroicomico, grottesco… Ci lavoriamo da quasi un anno, organizziamo laboratori in giro per l’Italia che consideriamo come tappe di avvicinamento al risultato finale. Si fa un lavoro particolare con ogni singolo attore, allo scopo di cucirgli sulla pelle un personaggio e incastonarlo nello scenario più grande. Questo forse è l’aspetto più entuasiasmante. In generale, mi sta regalando l’opportunità di conoscere belle persone e professionisti autentici, di giocare con le parole con grande libertà… Mi sta divertendo molto”.

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