Intervista con...

Ha recentemente lasciato il palcoscenico – come accade raramente – per dirigere l’attrice Alessandra Barbagallo in “Io sono Verticale”, monologo ispirato alla poetica dell’americana Sylvia Plath e scritto a quattro mani con la stessa Barbagallo. Il 5, 6, 7 e 8 Aprile sarà impegnato alla Sala Magma di Catania, con Nicola Alberto Orofino, in #Beckett Studio. Stiamo parlando dell’attore, autore e regista catanese Silvio Laviano, classe 1979, formatosi alla scuola del Teatro Stabile di Genova, per diversi anni lontano da Catania, ha puntato a sviluppare un nuovo linguaggio contemporaneo, sospeso tra performance e azione teatrale vera e propria.

Silvio Laviano (Ph. Gianluigi Primaverile)

Ha collaborato  sia con vari Teatri Stabili italiani (Teatro Stabile di Genova, Teatro Stabile di Catania, Teatro Nuovo di Napoli, Teatro di Roma, Teatro Stabile del Veneto) che con produzioni private (Teatro dell’Elfo, Gloriababbi, Società per Attori, Progetto U.R.T. , Fattore K) e straniere, interpretando sia i grandi autori classici che i contemporanei. E’ stato poi diretto da vari registi in campo cinematografico (Bellocchio, Ozpetek, Manfredonia, Amadei, Grimaldi, Izzo) e regista teatrale dei progetti originali “Diversi – Personaggi in cerca di un Altrove”, “Borderline in Love” e “S.O.G.N.O. ergo Sum”, “Femmine -Piccola Tragedia sull’ Amore e Innamorati – Tragicommedia della Purificazione”. E’ l’ideatore del Progetto di ricerca teatrale S.E.T.A. (Studio Emotivo Teatro Azione).

Lo abbiamo incontrato proprio al Teatro Machiavelli di Catania – in veste di regista – in occasione della messa in scena dell’originale pièce “Io sono Verticale”, scitta proprio da Silvio Laviano e da Alessandra Barbagallo e con lui abbiamo parlato di teatro, di progetti, di linguaggio teatrale, di pubblico e giovani, tracciando un suo interessante profilo artistico.

Silvio, come è nata la tua passione per il teatro e che genere di rappresentazioni prediligi mettere in scena?

“Ho avuto la fortuna di essere stato educato in una famiglia che ama il Teatro e il bello, devo molto a mio Padre e a mia Madre per l’educazione all’arte, per lo studio e la disciplina. Già da adolescente passavo il mio tempo tra il Teatro al liceo classico, Teatro in parrocchia o in qualche filodrammatica, chiedevo ai registi importanti della Città di assistere alle prove e leggevo, leggevo leggevo, divoravo Shakespeare. Devo molto al Teatro, tra i 16 e i 18, anni per motivi familiari, ho vissuto da solo in una grande casa in centro storico, giravo in bici e passavo le mie giornate a studiare oppure in Teatro. Mi sono salvato per questo! Ero un ragazzo solo. Sarei potuto diventare un tossico figlio di papà, incastrato in qualche sala giochi della Catania anni 90. Il Teatro mi ha salvato la Vita e non mi ha fatto più sentire solo. Prediligo mettere in scena la Vita in tutte le sue forme. La Vita secondo me”.

In scena con Egle Doria (Ph. Sebastiano Trigilio)

Parlami del tuo lavoro, della tua attività e della tua terra…

“Il mio lavoro, la mia attività e la mia Terra? Sono termini che possono essere usate anche riguardo a un contadino! E questa metafora mi piace! Semino, curo il mio orto, concimo la mia terra e cerco di raccogliere i frutti migliori auspicando un buon raccolto. Amo il mio lavoro, credo che sia il lavoro più bello del mondo, il più antico, o quasi e come un contadino sudo, fatico e prego.

Sono un iperattivo di natura e ho un’attività sempre frenetica, difficilmente sto fermo ad aspettare e quindi agisco attivando un percorso creativo personale da “usare” dentro il mio mestiere.

La mia Terra? La amo e la odio. Non amo i “sicilianismi” e cerco di viverla sempre da “straniero” anzi da extraterrestre in missione pacifica. Amo l’Etna, ma non la fotografo mai, indosso sempre una coppola ma “di traverso”, mi perdo guardando il mare, ma lo preferisco d’inverno. A Giovanni Verga preferisco sempre Leonardo Sciascia”.

Cosa ti ha dato e ti continua a dare la tua professione di attore…

“E’ la mia professione appunto, ho avuto la fortuna di aver fatto sempre e solo questo mestiere nella mia vita. Quando mi sono ritrovato in difficoltà economiche o professionali me lo sono inventato, costruito, autoprodotto questo lavoro! Ringrazio i momenti di crisi e ringrazio sempre le difficoltà, perché sono il banco di prova per alimentare il desiderio di continuare un percorso professionale che, a mio avviso, è tra i più complessi. La professione d’attore in Italia è tra le più bistrattate, a volte sarei voluto nascere in Francia o in Inghilterra proprio per questo, dove gli attori vengono considerati “operatori culturali” e dove non si permette a chiunque di svegliarsi una mattina e autodefinirsi un professionista. Questo mestiere mi ha dato e continua a darmi la possibilità di disciplinare la mia irrequietezza così da trasformarla in atto concreto, in racconto, in emozioni. Nella mia professione il mio “Caos” personale trova il luogo migliore e il tempo più giusto per esprimersi. Augurandomi di poter comprare il pane ogni giorno”.

Silvio Laviano in “Glam City”

Quale linguaggio preferisci usare in scena, da attore o come regista?

“Cerco sempre di rinnovarmi e di crescere. E’ vero che il mio lavoro si basa su punti cardine imprescindibili dove corpo, voce e emotività coesistono sia per creare un personaggio sia quando “costruisco” uno spettacolo. E pretendo lo stesso dagli attori che ho la fortuna di dirigere. Credo che i linguaggi siano molteplici in teatro, ma concretezza, verità tecnica e sensibilità sono, a mio avviso, elementi imprescindibili per la buona riuscita di una performance. Amo la Parola che attraverso l’azione teatrale diventa movimento poetico tangibile. Il Progetto S.E.T.A. (studio emotivo teatro azione) si fonda su questo, ma credo di non aver inventato nulla di nuovo”.

Un tuo giudizio sui giovani e sulla Catania teatrale…

“Sui giovani punto molto e conservo speranze per un futuro migliore. Poi io sono ancora giovane e ho ancora moltissimo da imparare. Mi rattrista, a volte, rapportarmi con giovani attori più “vecchi” dei “vecchi”, poco curiosi o viziati da stili appartenenti ad un linguaggio che non è classico ma appunto vetusto. “Ci vogliono nuove forme…” urlava un giovane alla fine dell’ 800! Sulla Catania teatrale non basta questa intervista! Dico soltanto che per combattere il nemico bisogna conoscerlo e sconfiggerlo dall’interno. Mi spiace utilizzare una terminologia bellica ma, a volte, la Catania teatrale sembra una guerra tra poveri”.

Silvio Laviano regista, con Alessandra Barbagallo, in “Io sono Verticale” (Ph. Gianluigi Primaverile)

Cosa ti è rimasto dentro del tuo ultimo lavoro, “Io sono Verticale”?

“Ogni spettacolo mi lascia sempre qualcosa e lavoro, studio molto, durante le mie regie, per me dirigere è più faticoso che recitare. Mi faccio sempre un po’ di male. Per recitare serve buona salute, per dirigere servono nervi saldi. Cerco di  distaccarmi dalla visione dell’interprete e dedicarmi completamente agli Attori che dirigo e alla storia che racconto. In “Io sono Verticale” il lavoro è stato ancora più complesso, è la prima regia nella quale io non appaio mai, è un monologo e la protagonista, Alessandra Barbagallo, è, oltre ad essere una cara collega, anche un’amica. Ho dovuto, dunque, distaccarmi dall’affettività e dall’ autoreferenzialità propria dell’Attore per dedicarmi interamente alla Storia e alla direzione della magnifica interprete protagonista. Credo che tutto sia perfettibile e che la perfezione non esiste, ma bisogna sempre “tendere alla perfezione”, sono un eterno insoddisfatto dunque “Io sono Verticale” mi ha lasciato  il desiderio di continuare a lavorare sul progetto, crescere insieme ad Alessandra, raccontare questa storia in altre città, in altri teatri, ad altri pubblici”.

Dove va oggi il teatro e la nuova drammaturgia? 

“Il teatro non morirà mai, anche se istituzioni e “mafie politiche” fanno di tutto per affondarlo. Fin quando ci sarà un gruppo di giovani chiusi in uno scantinato a provare, studiare e sbattere la testa, il teatro esisterà e si rinnoverà. Invito tutti, soprattutto chi vuole fare questo mestiere, a scrivere e a tentare, attraverso la drammaturgia, di comunicare qualcosa di personale e di sincero. Io non sono un autore e non lo sarò mai ma, ad esempio, devo molto al mio testo “Salvatore, favola triste per voce sola” lo scrissi nel 2008, andò in scena per la prima volta nel 2012 e scrivere mi ha dato la forza di comprendere profondamente il valore del mio mestiere. La nuova drammaturgia è nuova se è sincera, istintiva urgente, personale come deve esserlo ogni atto sul palco”.

Silvio nella sua Catania

L’attore ed il pubblico…

“Il pubblico ha il diritto e il dovere di esternare cosa prova. Amo il pubblico reattivo, che viene a Teatro con aspettative alte, che spegne il cellullare per attivare la Mente e il Cuore. Non amo il pubblico che crede di stare davanti alla tv. Il teatro senza pubblico sarebbe solo un delirio di narcisisti sul palco!

Credo che l’attore debba occuparsi del pubblico, preoccuparsi di esso, dialogare con la platea e gli spettatori che sono essi stessi attori nel rito/gioco della rappresentazione. Mi piace che lo spettatore rida, pianga, ma soprattutto pensi.

Silvio Laviano, il cinema, la tv, il teatro. Dove ti trovi più a tuo agio?

Mi trovo a mio agio quando ho la possibilità di raccontare una bella storia e di poter dare vita ad un personaggio “utile”. Sono tre mezzi molto diversi per tempistiche e per varie ragioni tecniche ma credo che l’atto del “recitare” sia sempre uguale.

Il Teatro è la mia casa, ma amo molto il Cinema e la Televisione mi ha dato buone possibilità per emergere. In questi ultimi anni ho fatto molto più Teatro per varie ragioni anche di distanza fisica da una città come Roma che continua ad essere la città dalla quale parte tutto l’audiovisivo. Mi trovo a mio agio quando incontro registi e colleghi che lavorano sodo e hanno l’obiettivo chiaro e urgente di raccontare una storia.  Il set di “Venti sigarette”, opera prima di Aureliano Amadei, ad esempio fu splendido, Aureliano ha raccontato nel film la sua storia personale infatti a Nassirya rimase ferito nell’attentato terroristico nel 2003. Il set era pieno di emozioni e di cuore. Volle tutti noi attori a Venezia sul red carpet, il film vinse controcampo italiano e noi fummo tutti commossi di gioia per lui e per il film. Cito anche Giulio Manfredonia che per il film “La nostra terra” ci fece provare due settimane prima di girare così da comprendere meglio la storia, costruire i personaggi e creare il gruppo. Grazie a questo, a inizio riprese, Accorsi e Rubini non erano, per me, semplici colleghi ma compagni di avventura. Aneddoti del genere potrei raccontarne molti, credo di aver incontrato davvero belle persone e grandi professionisti sia in Teatro, al Cinema e in Tv. Ecco in molti casi mi sono sentito a mio agio”.

“Innamorati – Tragicommedia della purificazione”

Chi è Silvio Laviano nella vita di tutti i giorni? Quali ostacoli hai incontrato nell’intraprendere questo tuo sogno d’attore?

Una persona normale, anche se molti non lo pensano! Mi diverte apparire più “bizzarro” di quello che sono e invece vado al cinema spesso, fumo troppo, scrivo, leggo, ascolto musica, sto con i miei gatti, con la mia famiglia e, come molti, ho una vita sentimentale pessima. Gli ostacoli sono una opportunità nella vita di un uomo, sta a noi decidere di trasformarli in forza motrice. Ho incontrato gli stessi ostacoli con i quali un laureato in legge si sarà scontrato per ottenere il dottorato, o un operaio per ottenere un contratto a tempo indeterminato ecc… Sono orgoglioso nel dire che non ho mai abbassato la testa a nessuno e che non sono mai sceso a compromessi. E, a volte, ho anche pagato le conseguenze per questo. Ma quant’è bello svegliarsi la mattina sereni e con la coscienza pulita!”.

Silvio e Nicola Alberto Orofino

Progetti e sogni di Silvio Laviano…

“Resto in Sicilia ancora per una settimana e poi parto per qualche mese. Ci sono momenti, nei quali ho bisogno, di partire, respirare, cambiare strade, volti, voci. Cercare anche lavoro che, per un attore, è parte del lavoro! E’ indispensabile per me, ricaricarmi, alimentarmi e confrontarmi con “Altro”.  Ho impegni e quando diventeranno fatti li renderò pubblici sempre con molto entusiasmo. Posso solo dire che il Progetto S.E.T.A. continuerà il suo percorso di formazione e produzione con nuove residenze e un continuo studio mirato sul territorio.

E io, come attore, continuerò, tra i vari impegni, a interagire con le eccellenze umane e professionali con le quali, ho la fortuna, di collaborare frequentemente. Non faccio nomi perché credo sia di cattivo gusto. Chi mi conosce lo sa. Non credo alle famiglie teatrali, piuttosto credo, spero in nuove botteghe rinascimentali dove si possa condividere un obiettivo comune attraverso una forza creatrice individuale. Ecco, forse è questo il mio sogno”.

(Le foto sono di Sebastiano Trigilio e Gianluigi Primaverile)

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