Intervista con...

E’ autrice del lungometraggio “Tangue – La Lìngua del Tango”, un docufilm sul Tango argentino, opera prima indipendente, scritto prodotto e diretto dalla stessa e dal quale nasce il volumetto edito dall’Associazione Akkuaria, che raccoglie brani inseriti e recitati nel lungometraggio, più alcuni inediti. La sua attività la vede protagonista come attrice professionista, come insegnante di dizione, impostazione della voce e recitazione in Accademie private ed inoltre è appassionata di scrittura tanto che ha ricevuto riconoscimenti letterari e menzioni per scritti, racconti, poesie.

Marta Limoli in “La vita che mi diedi” – Ph. Dino Stornello

Equilibrio, eleganza, moderazione e fascino sono alcune delle qualità di Marta Limoli, attrice catanese diplomatasi alla Scuola d’Arte Drammatica Umberto Spadaro del Teatro Stabile di Catania, diretta dallo storico regista Giuseppe Di Martino. Ha tenuto vari stage con rinomati registi italiani e sostenuto ruoli da protagonista e comprimaria in commedie e in drammi. Diversi i premi ricevuti ed i riconoscimenti per scritti umoristici, racconti, poesie. Ma chi è, qual è il percorso umano ed artistico di Marta Limoli? L’abbiamo incontrata a Catania e con lei abbiamo parlato di passato, di presente, di progetti e di sogni. Ecco quanto ci ha detto, con molta cordialità e simpatia, Marta Limoli della sua attività e delle sue passioni.

Marta Limoli

“Quando ho finito il Liceo e mi sono iscritta in Accademia, – sottolinea l’attrice catanesedopo qualche tempo, ho avvertito l’impulso di cercare un modo per completare il percorso di studi, ma soprattutto di ampliarlo. Un’energia indistinta pervadeva l’animo e ciò ha attivato dei sensori che hanno spinto a individuare un canale espressivo a tutto tondo. Intuendo, a quell’età, che il Teatro comprendesse tutte le forme d’arte, di fatto le contempla nell’insieme, ho cercato una scuola dove poter intraprendere questa ricerca. Così sono approdata al Teatro Stabile.  Questa terra è speciale, si sa, ha un’identità unica. Spesso sentiamo dire “è magica”: lo è perché racchiude un’infinità di pregi, valori, misteri e forze che sfuggono alle percezioni del quotidiano vivere, ma si lasciano afferrare appieno in determinate circostanze. Catania non finirà mai di contenere dei potenziali altissimi e di tendere a comprimerli al contempo. Possiede una corrente interiore non facile da vivere, ma siamo cresciuti in climi di contrasti per cui abituati a saper resistere ai forti venti e i cambi di direzione e gestirne le conseguenti inquietudini. Fare Teatro, spettacolo, qui, è una continua sfida e un po’ anche un affidarsi alla benevolenza del pubblico che storicamente è uno dei più “importanti”, per il suo essere conoscitore di Teatro, appassionato ed esigente. Ho molto rispetto per il pubblico, mi preme sottolinearlo; non condivido assolutamente il pensiero di chi sostiene che il pubblico non capisca nulla, sia passivo. Questi modi di considerare le cose mi irritano non poco, li rifuggo”.    

Con Tuccio Musumeci in “Aragoste di Sicilia” (Ph. Giuseppe Messina)

Parlami della tua professione di attrice…

“È un tipo di lavoro che ha regalato sempre molta libertà d’animo. Libertà d’azione, d’espressione. Questa “bolla d’ossigeno” negli ultimi tempi ha accusato i colpi bassi del sistema, per cui tutta la categoria ha dovuto reagire a tali critiche condizioni. Nella nostra piccola realtà, possiamo affermare che sono nate nuove risorse interessanti e insospettabili. Essere attori oggi rappresenta ancora una volta un modo per dare voce ai moti di una scrittura drammaturgica, un’idea, la voglia di dire; in luoghi fisici e proiettati. Un tempo si aveva a disposizione molto più tempo, più mezzi, era un circuito funzionale e funzionante. L’asfalto sul quale camminano oggi gli attori è dissestato, direi anzi sia un assortimento di massi, pietre e sassi… Nessuna “Autorità” se ne preoccupa, ma non per questo ci si ferma!”  

La tua passione per il Tango: come è nata e cosa provi quando sei in pista?

“L’ho atteso. Fra prove, repliche, tournée, non c’era mai modo di frequentare un corso. Con l’inizio dell’attività come insegnante di dizione, fonetica, ho stabilizzato un po’ i ritmi e così ho potuto finalmente iniziare a seguire con costanza le lezioni. Per il Tango, l’esigenza interiore covava da tempo. Non l’ho abbracciata pienamente finché non ho visto con i miei occhi la “trascendenza”, attraverso gli stessi passi, le combinazioni, il modo di ballare. Quando ho capito che poteva essere oltremodo creativo, oltre i codici e le figure, allora è scattato il via. In pista si vivono sensazioni molteplici. Si entra in una dimensione irreale, ma concreta, quasi come in teatro. Il Tango è una grande forma sia di libertà sia d’espressione. Il bello è che i pensieri si alleggeriscono, svaporano, diventano belli!”.

Un momento dello spettacolo “Coppia aperta” (Ph. Dino Stornello)

Teatro e Tango, quale dei due ti emoziona di più e in quale ti trovi più a tuo agio?

“Vivere in teatro, agire sul palcoscenico, stare in camerino, è come essere a casa. L’emozione si ravviva sempre, anche dopo molti anni, varia a seconda delle situazioni, ma c’è sempre. Adesso mi sento a casa anche in Milonga (il luogo deputato alle serate di Tango). La famiglia è estesa, l’armonia è condivisa; si entra in confidenza pur mantenendo spazi privati individuali. Le emozioni sorgono spontanee e mi sorprendo ogni volta, possono scaturire dall’ascolto di un particolare brano o sequenza di brani, da una Tanda (sono tre o quattro tanghi ballati di filato) durante la quale s’instaura un feeling più acceso col ballerino, da un istante in cui si applica un passo nuovo, dalla sensazione che il tempo si sia fermato… Il bello, per me come per tante altre persone, è che in Milonga non si parla: si può conversare fra un Tango e l’altro, ma ballando le ore che si susseguono sono condotte in elegante e confortevole silenzio”.     

A Teatro, cosa preferisci interpretare?

Francesco Foti e Marta Limoli in “La vita che mi diedi”

“C’è stato un periodo in cui cercavo i ruoli da caratterista e anche da uomo. Sì, ero sempre scritturata per i ruoli da attrice giovane: fanciulline, dame, donne più o meno borghesi, delicate, e così via. Poi sono stata messa alla prova con personaggi di temperamento e finalmente mi sono anche divertita a scoprire nuove “corde” di me. Mi piace mettermi in gioco, è uno degli aspetti più stimolanti di questo lavoro ed è importante scoprirsi in più vesti. Ho adorato far parte del Coro in uno degli storici allestimenti di Ecuba, edizione da Antologia, al Teatro Greco di Siracusa. Lì, si ha a che fare con un’Energia incredibile, favolosa. Lì, una sola battuta pesava quasi un intero monologo, quando ancora non si usavano i microfoni. Ho preso parte all’ultimo spettacolo con il Signor Turi Ferro. Un’esperienza indimenticabile, piena di calore. Ogni istante era denso di significato. Con i cortometraggi sono arrivati via via ruoli multisfaccettati, che hanno portato molte soddisfazioni. In produzioni Rai ho ricoperto ruoli da cattiva. Siamo cresciuti, suvvia! Non ci spaventa più nulla”.    

Cosa vuole oggi, secondo te, lo spettatore dall’attore in scena?

“Grazie per avermi posto questa domanda. È molto importante che lo spettatore sappia che gli attori crescono con l’intento e l’obiettivo di prendersi cura di loro: lavorano in prospettiva. Cercano di essere lungimiranti: si tendono verso tutte le ipotesi di reazione del pubblico, per giungere a fare delle scelte ai fini della direzione, della piega dello spettacolo da portare in scena. Come dicevo prima, non sempre ciò accade. Lo spettatore sa, s’accorge; si rende conto. Noi, di conseguenza, dal palco ci accorgiamo se abbiamo fatto più o meno bene dall’intensità degli applausi. È pur vero che oggi si soffre dell’appiattimento costante “offerto” dalla televisione per cui le persone se decidono di recarsi a Teatro arrivano già stanche e semidormienti, anche loro malgrado. Per questo, gli attori devono impegnarsi più di prima! Chi siede ad assistere ad uno spettacolo vuole poi alzarsi con qualcosa di corposo che gli sia rimasto dentro. Che non sia un rospo da espellere!”.  

Il Manifesto del docufilm

Una particolare soddisfazione o delusione in questi anni di attività…

“La soddisfazione più recente e particolare è senz’altro l’aver realizzato, dopo tanto tempo dalla stesura della sceneggiatura e dal primo ciak, il Docufilm “Tangue. La Lìngua del Tango”. È un piccolo grande miracolo, vi ho lavorato con tutte le riserve di forza e circondata da personalità che hanno dato un contributo artistico e umano impagabili. Per questo in primis ringrazio con piacere il mio Maestro Angelo Grasso, direttore dell’Academia Projecto Tango di Catania, una struttura unica. E, dopo anni dal primo concept, il Concerto-spettacolo “TangoPiano da Camera”; un’idea nata subito dopo la lavorazione del Docufilm, anch’esso concretizzato dopo molta attesa e varie elaborazioni. Il Concerto per piano solo e voce recitante, propone il repertorio della colonna sonora del film, più alcuni brani esclusivi e le parti recitate sono i versi presenti nel film e racchiusi nel libro “Tangue”, che l’editrice Vera Ambra di Akkuaria ha voluto pubblicare. Le delusioni invece sono dovute per lo più a comportamenti di persone – “personaggi” – che non conoscono o non applicano le norme della buona educazione e del buon senso, ma per quel che mi riguarda, come suol dirsi, lasciano il tempo che trovano”.

Quanto conta la bravura, il merito, la professionalità, soprattutto per le donne, nel settore dello spettacolo?

“Naturalmente, sono tre aspetti basilari per mantenere un pensiero cristallino, nel tempo. Nei fatti, sappiamo per forza di cose che le cosiddette carriere sono impostate su caratteristiche individuali che hanno e subiscono infinite variabili e su ciò poco si può aggiungere. Si compiono delle scelte, ci si trova su sentieri più o meno costellati di opportunità e questo fa di ogni essere un caso a sé stante. Spesso si perde di vista il motivo iniziale, per il quale si è deciso di dedicarsi a questo mestiere. Ci si confonde. L’attore non è colui che è bravo quando diventa un divo. Un divo non sempre corrisponde ad un grande professionista, ma ad un ideale, è diverso. Per le donne, se guardiamo ai grandi nomi, molti dei quali  emersi recentemente nel cinema americano, notiamo che sono in prevalenza di donne forti, motivate, preparatissime e talentuose e dai lineamenti tutt’altro che regolari, anche non avvenenti. In America, le donne hanno molte opportunità di emergere come caratteriste, sostengono ruoli complessi, grazie anche a sceneggiature che lo consentono. In Italia si è ancorati a figure da Divi risalenti agli anni ’50. Ideali di bellezza molto alti ma stantii. Il linguaggio, invece, si è modernizzato tantissimo fino a divenire praticamente uguale se non più scadente di quello utilizzato nel semplice quotidiano; il rischio è l’affossamento senza possibilità di recupero: che diventi nullo, amorfo”.

Concerto-spettacolo “TangoPiano da Camera”

L’importanza del tuo lungometraggio, opera prima indipendente: “Tangue. La Lìngua del Tango”…

“L’importante è averlo concretizzato..Fa indubbiamente piacere sapere sia stato apprezzato, che abbia avuto un’accoglienza positiva. Come ho detto durante il discorso di presentazione, all’Anteprima, è un atto d’amore. Un irrefrenabile impulso di voler raccontare, sperimentare, condividere. Esaltare la bellezza di questa nostra realtà tanghèra che è molto speciale, un nucleo sano e colmo di benessere che ha basi forti e riferimenti culturali importanti. Dal punto di vista del “prodotto”, non so ancora quale importanza potrà avere in generale nel panorama delle produzioni esistenti, sappiamo che è il primo progetto a nascere e svilupparsi nel Sud e il terzo in Italia dedicato al Tango; in ogni caso rimane unico in quanto Docufilm ed è nato proprio qui in Sicilia. Emotivamente ha un’importanza multipla in quanto raduna l’entusiasmo e la professionalità delle forze artistiche della città, le energie positive, e si dà spazio a momenti di conoscenza del Tango così come il piacere di scoprirlo nelle suoi vari aspetti più godibili”. 

Dal set del Docufilm “Tangue. La Lìngua del Tango”

Chi è Marta Lìmoli nella vita di tutti i giorni e quali ostacoli hai incontrato nell’intraprendere la tua professione?

“Toc-Toc! “Chi è?” Sono Marta! Così come mi vedi, una persona che vuole volgere sempre uno sguardo al mare e al cielo; tende l’orecchio verso i suoni e non i rumori. Mi piace esserci per gli amici, gli affetti, ma cerco comunque di trovare momenti solamente per me stessa; sono molto riservata. Spesso però le iniziative partono da me, chiamo gli amici, organizzo delle riunioni, delle serate. Gli ostacoli incontrati, riguardo la professione, sia agli inizi sia durante lo stesso percorso, fanno parte della tipologia di lavoro: la precarietà, a volte il senso di smarrimento, la fantasia che a volte pare volatilizzarsi.. Le Istituzioni che remano contro, è tutta una tratta ad ostacoli! Per fortuna il mio Maestro, il regista Giuseppe Di Martino, ha dato delle lezioni fondamentali durante gli anni di formazione e mi ritengo fortunata per questo. Quella Scuola, con quei Signori Maestri, ha fornito strumenti e risorse per tutta una vita; abbiamo sempre un modo per affrontare e gestire un problema. Dal canto nostro, siamo stati anche bravi a saper recepire”.

Ancora Marta in scena…

Qual è il tuo piatto preferito, il tuo libro ed un film? Cosa pensi della vita, dell’amicizia e dell’amore?

“Oddio! I Profiteroles nero-nero!!! Il cioccolato e i bignè. Amo i dolci, sono golosissima. Il gelato è una creazione dell’uomo che ha a che fare col divino! Attendo sempre il momento del dessert…però, come piatto, potrei dire risi e bisi! Il libro del cuore è “Il Profeta” di Gibran. Il Film è “Il Cielo sopra Berlino” di Wenders. Sia del libro sia del film menzionati, ne ho fatto citazione nel mio Docufilm “Tangue. La Lìngua del Tango”. Del libro cito proprio un passo, in una scena di dialogo e ho girato una scena che ricostruisce esattamente la ripresa di un momento scenico del film cult di Wenders; nel mio piccolo è un omaggio al grande autore.  La vita è un viaggio. Può esserlo anche mediante espedienti quali il Teatro, la lettura, il cinema, il Tango! La vita è un percorso per ricongiungersi con l’Alto. L’amicizia è un valore primario, fondamentale, preziosissimo. L’amore è un organo vitale, ha moto involontario e volontario, astratto e corposo; un circuito mosso da un’Essenza indefinibile”. 

Un aneddoto, un incontro particolare che ricordi…

“Gli aneddoti non so raccontarli .. come le barzellette, sono negata. Fra gli incontri più insoliti, speciali, Jerome Savary. Indimenticabile spirito libero. Venne con la figlia a fare uno spettacolo qui a Catania, sobbarcandosi un viaggio in treno dalla Francia, con più cambi dovuti a presenza di neve sui binari, maltempo diffuso. Andarono in scena a scapicollo senza riposarsi, si notava fossero stanchi ma diedero luce a un mondo evanescente, poetico, per ripartire l’indomani stesso per Parigi. Dopo lo spettacolo l’incontrai al bar, serafico; disse delle cose che ancor oggi tengo a mente e mi ricordo di lui e la sua storia quando ascolto la canzone di De Gregori “La valigia dell’attore”. Quel brano è l’essenza di tutta una vita. Di tutte le vite degli attori di prosa”. 

Ancora dal set del Docufilm “Tangue. La Lìngua del Tango”

I giovani a Teatro e la Catania teatrale…

“Conosco giovani che s’informano e hanno piacere di frequentare i Teatri, si preparano sugli autori rappresentati, discutono tra loro dopo lo spettacolo. Vi sono giovani, altresì, che prediligono il Cinema ed altri che non s’accostano a tali luoghi nemmeno per sbaglio. Non bisogna scoraggiarsi se i ragazzi presenti in Sala siano una netta minoranza. L’informazione deve essere potenziata e ramificata assieme alla qualità della proposta e questo a Catania sta, in parte, già avvenendo. Vi sono tante piccole, coraggiose, apprezzabili realtà che stanno lavorando al risveglio di certe coscienze. L’educazione al Teatro è importante che sia coltivata sin dalle prime classi scolastiche. Come un tempo!“.       

I tuoi prossimi impegni ed un sogno che vorresti realizzare…

“Prossimamente sarò impegnata a promuovere il film e a sviluppare nuove idee che sono già in incubazione da un po’. Un sogno..? Aprire un canile. Sarebbe un’azione utilissima, salvifica, civile, umana, eticamente sana. Penso rimarrà un sogno.. È un’idea che ho dall’infanzia ma la sento più grande di me. Potrebbe diventare un progetto ma occorrono forze collettive, mezzi, finanziamenti. Ho letto che i cani randagi se curati e addestrati, possono essere – ad esempio – collocati negli Ospedali, come “agenti di compagnia” per i ricoverati. Pensate quanto bene scambiato!“.  

 

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