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Avrebbero distratto fondi regionali per la gestione di un Istituto di cura per anziani e disabili, provocando un buco di 10 milioni di euro. È quanto scoperto dalla Dia di Catania, su delega della Procura della Repubblica etnea, supportata dai centri operativi di Palermo, Reggio Calabria, Caltanissetta e dalla sezione operativa di Messina, che ha dato esecuzione ad un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di persone legate alla massoneria e ad associazioni antimafia. Per loro l’accusa è associazione a delinquere finalizzata alla distrazione di fondi.

La struttura al cento dell’inchiesta è l’istituto medico psico-pedagogico Lucia Mangano di Sant’Agata Li Battiati, di cui è presidente Corrado Labisi. La famiglia Labisi è nota per due noti premi internazionali antimafia: quello dedicato alla madre, Antonietta Labisi e il “Livatino-Satta-Costa”. L’istituto era stato al centro di una perquisizione per l’acquisizione di documenti e atti alla fine del settembre del 2017. Personale della Dia di Catania, diretto dal capocentro Renato Panvino, coadiuvato da colleghi di altri centri, ha eseguito ispezioni in banche in cui sono accesi conti correnti della casa di cura per anziani che, secondo la Procura ha un ‘buco’ di 10 milioni, per eseguire un sequestro preventivo per oltre 1,5 milioni di beni. Perquisizioni, disposti dalla Procura distrettuale di Catania anche in domicili e in sedi in cui gli indagati hanno eletto il loro domicilio alla ricerca di documenti utili all’inchiesta.

La Procura di Catania ha disposto la misure della custodia in carcere nei confronti di Corrado Labisi, 65 anni, a cui sono contestati i reati di associazione a delinquere finalizzata all’appropriazione indebita di somme di denaro. Ai domiciliari è finita la figlia, Francesca Labisi, la moglie Maria Gallo, i collaboratori Gaetano Consiglio e Giuseppe Cardì, accusati di appropriazione indebita di somme di denaro.

Le indagini hanno fatto luce sui presunti illeciti nella gestione dei fondi erogati dalla Regione Siciliana e da altri enti per le specifiche finalità tese alle cure dei malati ospiti della struttura, per fini diversi, distraendo le somme in cassa, facendo lievitare le cifre riportate sugli estratti conti accesi per la gestione della clinica, tanto da raggiungere un debito pari ad oltre 10 milioni di euro. Dalla perizia è emerso che soltanto Corrado Labisi ha utilizzato per fini diversi oltre 1,3 milioni di euro e la coniuge 384.000 euro.

Secondo gli inquirenti sarebbe emerso che il Labisi  da una parte si manifestava paladino della legalità, tanto da ricoprire la carica di Presidente dell’associazione denominata Saetta – Livatino, impegnata a sostenere le iniziative antimafia, mentre poi senza scrupolo alcuno, avrebbe distratto ingenti somme di denaro per soddisfare esigenze diverse tra le quali il pagamento di fatture emesse dalla Pubblicompass per pubblicizzare gli eventi dal medesimo organizzati, la copertura di spese sostenute dalla moglie e dalle figlie, il pagamento di fatture emesse per cene e soggiorni ad amici vari.

Secondo gli inquirenti Labisi avrebbe distratto somme di denaro per iniziative connesse all’organizzazione, all’Hotel Nettuno, di eventi relativi all’Associazione “Antonietta LabisI”, madre di Corrado impegnata in vita nell’opera di assistenza verso i minori e gli anziani nelle zone di degrado catanesi. La famiglia Labisi non si sarebbe occupata  veramente dei malati accolti nell’Istituto “Lucia Mangano”. Soltanto grazie all’attività caritatevole del personale i malati venivano curati e non certamente per la illecita gestione della famiglia Labisi.

In una conversazione captata tra Corrado Labisi ed un suo amico, all’indomani di una perquisizione delegata operata dalla Dia di Catania, presso la struttura sanitaria “Lucia Mangano” e presso lo studio del commercialista di riferimento, che ha portato al sequestro di copiosa documentazione contabile. Nel corso della citata conversazione, avvenuta con un amico di Labisi già appartenente al Ministero della Difesa, che l’episodio affermava testualmente “dobbiamo capire a 360° se c’è qualcuno che deve pagare perché questa è la schifezza fatta a uno che si batte per la legalità …  vediamo a chi dobbiamo fare saltare la testa”. In questa circostanza appare chiaro il riferimento alla struttura investigativa della Dia, ed ai magistrati inquirenti che svolgono le indagini. Secondo gli inquirenti Labisi in passato avrebbe mantenuto contatti con il pregiudicato Giorgio Cannizzaro, noto esponente della famiglia mafiosa Santapaola – Ercolano.

Per la Procura di Catania un vero e proprio quadro associativo, tessuto prevalentemente in ambito familiare, fatto di assunzioni finalizzate all’unico scopo di drenare risorse e di compensi erogati in modo spropositato, tanto da indurre l’istituto in una situazione debitoria pari a 10 milioni di euro. Un’attività molto grave perché a causa delle ripetute appropriazioni indebite per importi elevati, hanno creato i presupposti per la distruzione di un ente benefico, che è stato posizionato nel tempo a livello di un azienda con scopo di lucro e assoggettabile al fallimento, ponendo le basi concrete per privare la società civile di una struttura di assistenza ai bisognosi, soprattutto ai disabili e agli anziani e con la prospettiva di una perdita di 180 posti di lavoro.

Per sanare la pesante condizione debitoria Labisi avrebbe proceduto, nel corso del 2017, alla vendita del ramo dell’azienda facente capo alla struttura destinata a Rsa ubicata in locali di proprietà dell’ente nel Comune di Mascalucia. L’operazione, conclusa con la cessione a una associazione calatina, si è concretizzata, nei suoi aspetti operativi, nell’accollo di un’importante quota di debiti erariali e previdenziali. L’operazione, conclusa con la cessione del ramo d’azienda ad una associazione calatina, si è concretizzata, nei suoi aspetti operativi, nell’accollo di un’importante quota di debiti erariali e previdenziali. Gli altri due indagati, i collaboratori Cardì e Consiglio, regolarmente assunti presso l’istituto con mansioni differenti da quelle effettivamente svolte, mettevano consapevolmente a disposizione le loro buste paga, dove venivano inserite voci di costo giustificative delle uscite indebite dell’istituto. Questo  a fronte di benefit e premi di produttività, dai 500 e 1.500 euro.

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