Intervista con...

Sarà impegnato nei prossimi mesi nel lavoro d’apertura della nuova stagione di Fabbricateatro, “Il dott. Di Martino è desiderato al telefono”, da un racconto di Antonio Tabucchi. Lo abbiamo apprezzato come interprete in vari lavori diretti da Elio Gimbo, l’ultimo a Marzo 2017, “Il Principe” da Machiavelli e come oculato ed attento presidente ed organizzatore della neonata Sala Giuseppe Di Martino e del Giardino Fava, in via Caronda 82-84 a Catania.

Daniele Scalia Girgenti e la passione per il tango argentino…

Stiamo parlando di Daniele Scalia Girgenti, già insegnante di lingua e letteratura italiana alle Superiori di Catania ed oggi attore e presidente dell’associazione Fabbricateatro – I Siciliani, gruppo nato nel 1992 con il principale scopo di rinnovare le pratiche del teatro contemporaneo catanese sull’onda del movimento siciliano antimafia, per volontà di Elena Fava, Giacinto Ferro, Elio Gimbo, Cinzia Finocchiaro, Cinzia Caminiti, Bruno Torrisi, Domenico Gennaro, Marco Marano, Giusi Gizzo.

Incontriamo Daniele Scalia Girgenti alla Sala Di Martino di Catania e parliamo della sua vita, della sua passione per l’insegnamento e per il teatro, dei suoi inizi come attore, dell’incontro con il regista Elio Gimbo e dei suoi obiettivi futuri come persona e come presidente di Fabbricateatro.

In “Il Principe”

“Nella mia prima giovinezza e maturità – racconta Daniele Scalia Girgenti – non avevo mai pensato di diventare attore o cantante, ero molto concentrato sugli studi umanistici, storici, letterari, legati alla facoltà di Lettere. Dopo la laurea divenni insegnante nelle scuole superiori. Negli anni Novanta la mia attività scolastica era al massimo dell’impegno, frequentavo corsi di aggiornamento professionale organizzati dal ministero e da enti privati, tra i quali si distingueva il CIDI (Coordinamento Insegnanti Democratici Italiani). Nel 1994/95 si organizzò un corso di addestramento dei docenti alla conduzione di laboratori scolastici nelle scuole e l’attenzione era focalizzata sugli istituti nei quartieri a rischio di Catania e della provincia, il centro di riferimento era la Scuola Media Manzoni, allora diretta dalla valentissima Preside Zina Bianca. I conduttori del corso erano Piero Ristagno e Monica Felloni, tuttora attivi, nel nostro territorio, con i loro spettacoli realizzati da ragazzi audiolesi e down. Noi docenti eravamo invitati a eseguire dei giochi teatrali che a nostra volta avremmo dovuto proporre ai ragazzi: una scoperta destabilizzante per molti di noi abituati a organizzare recite scolastiche con particine da imparare a memoria. La maggior parte dei colleghi e delle colleghe del gruppo insegnavano nelle scuole medie inferiori e potevano applicare questi metodi; io ero al Liceo Scientifico Boggio Lera e non avevo molto spazio per applicare questo metodo nei laboratori teatrali in essere in quel liceo, condotti in modo tradizionale da colleghi estranei a questo metodo; in ogni modo cominciai a sviluppare un interesse autonomo per il teatro. Ebbi modo poi di affiancare la collega di lingue a dirigere uno spettacolo in tedesco ispirato al Diario di Anna Frank.  Nel luglio del 1994 frequentai un corso di mimo ad Alès, nella Francia del Sud, condotto da Gérard Le Breton, un artista che aveva lavorato con Barrault e con Marceau, approfondii la conoscenza dei classici del teatro francese e del famosissimo film “Les enfants du paradis”. Negli anni successivi, fino al 2000, seguii dei corsi di recitazione al Teatro del Molo di Gioacchino Palumbo che praticava il metodo Stanislavski e partecipai a degli spettacoli conclusivi dei laboratori”.

Interno Sala Di Martino

Il suo incontro con il regista Elio Gimbo e la nascita della Sala Giuseppe Di Martino…

“Nel 2003/2004 il regista Elio Gimbo venne a condurre un laboratorio teatrale al Liceo Mario Cutelli, in cui ero docente referente. In un biennio portammo i ragazzi sulla scena con l’Antigone e con le Baccanti. La conoscenza di Elio Gimbo mi aprì ad una nuova visione del teatro come attività che integrava testo, voce e corporeità. Mi riavvicinai allo studio nel 2006/2007, al Teatro del Canovaccio con il Maestro Piero Sammataro: il suo era un insegnamento tradizionale, soprattutto “teatro di parola”, basato sull’esempio dei grandi maestri italiani attivi negli anni ’50-’60; con lui ebbi una piccola parte in un “Sei personaggi” e, con i compagni del corso, in “Diario di un pazzo”, da Gogol. In quegli anni Elio Gimbo era regista di riferimento del Teatro e presi parte a uno spettacolo della sua famosa trilogia martogliana, a un “Tartufo” e a un “Re Lear”. Gimbo cominciò in quegli anni a scoprire alcuni aspetti della mia personalità che, nonostante fossi un aspirante attore, molto maldestro, potevano funzionare teatralmente. Poche battute, ma molto movimento: i miei ruoli erano poco rilevanti, ma li ritenevo una gavetta utilissima per imparare a stare sulla scena. Alla ricerca di una nuova scuola, mi imbattei poi in quella di Alberto Orofino ed Egle Doria. Conoscevo Alberto fin dai tempi del Boggio Lera, quando, da alunno partecipante ai laboratori, fin da giovanissimo aveva evidenziato le sue innate doti di attore. Essendo stato allievo adolescente, riusciva a capire i processi mentali di chi studiava recitazione non necessariamente per diventare professionista, ma per scoprire un percorso interiore, in una sorta di psicodramma personale. Riuscii a fargli condurre un laboratorio teatrale al Liceo Mario Cutelli, nel 2006/2007, nel 2012, nel 2013, nel 2015, nel 2016, presi parte ai suoi corsi e agli spettacoli finali: furono anni decisivi per la mia formazione. Imparai a stare sulla scena, a improvvisare, a perfezionare la dizione. L’unico limite era che gli spettacoli erano saggi di fine anno ed Orofino non dava parti ai dilettanti negli spettacoli in cartellone. Nel frattempo nel 2012 ebbi una parte di figurante nel “Riccardo III” di Elio Gimbo al  Castello di Aci; nel 2014 partecipai al “Faust” di Goethe al Parco Gioeni e a “L’Avaro” di Molière alla Sala Chaplin. Alla fine del 2014 Elio mi invitò a entrare nell’Associazione Fabbricateatro e a partecipare al suo nuovo spettacolo, “Discorso su noi italiani”. Per le prove misi a disposizione una bottega sfitta di mia proprietà. La mia parte non prevedeva parlato, ma era incentrata su un’impegnativa gestualità, fonte di sforzo fisico non indifferente. A un certo punto ad Elio venne l’idea di trasformare in teatro la piccola sala ed all’inizio fui riluttante, data le piccolissime dimensioni della sala. Quasi immediatamente diedi il mio consenso, i lavori iniziarono nella primavera del 2016 e si conclusero a febbraio 2017. La sala è stata inaugurata a Marzo 2017, con lo spettacolo “Il Principe”, da Machiavelli”.

Con Elio Gimbo e Sabrina Tellico, i tre componenti di Fabbricateatro

Insegnamento a scuola e passione per il teatro. C’è un filo che lega le due cose?

“Vi sono alcune analogie tra l’insegnamento e l’arte attoriale. Dal punto di vista generale c’è un aspetto importante che chiunque si relazioni col pubblico deve curare: la prossemica (la disciplina semiologica che studia i gesti, il comportamento, lo spazio e le distanze all’interno di una comunicazione, sia verbale sia non verbale).  Il mio primo preside raccomandava a me, professorino pivello l’importanza della postura e dello sguardo per mantenere la disciplina nelle classi. Dal punto di vista specifico delle mia materia principale d’insegnamento, lingua e letteratura italiana, già prima di occuparmi direttamente di teatro, mi preoccupavo dell’importanza di una buona lettura espressiva dei testi, al fine di rivelarne gli aspetti emozionali. Avvertivo allora che analisi del testo, interpretazioni storiche o sociologiche, utilissime certamente, rischiavano di rimanere aride senza un ascolto dei suoni. A volte leggevo ad alta voce pezzi della Divina Commedia, mi infervoravo gesticolando, diventando oggetto di imitazioni da parte degli alunni durante le loro festicciole”.

Con Sabrina Tellico in “Discorso su noi italiani”

Cosa provava con i ragazzi quando insegnava alle Superiori e cosa sente, invece, quando recita davanti al pubblico?

“Fare lezione, valutare, risolvere problemi più o meno gravi, interagire con le componenti scolastiche, sentire il polso della classe e mantenerne il controllo è un’attività divoratrice di energie e che mette a dura prova la salute psichica e fisica di noi docenti. Saper insegnare è un’arte, non una scienza; per sapere insegnare non ci sono ricette predefinite e il rischio del “burn out”, lo stress lavorativo, è sempre presente. Nella mia carriera di insegnate ci son state fasi di grande produttività e momenti di scarsa energia, di demotivazione. In ogni modo, quando ho avuto anni scolastici difficili, non mi sono tirato indietro, non mi sono mai messo in malattia diplomatica. Forse per questa capacità, laboriosamente acquisita, di sopportazione, sono in grado di fare l’attore, un attore dilettante che cerca, per quanto gli sia possibile, di avvicinarsi al modello del professionista. Devo dire che gli studenti, verso gli insegnanti, sono giudici più indulgenti degli spettatori verso gli attori. In classe potevo permettermi di sbagliare una data o un titolo senza essere considerato un incapace, perché gli alunni conoscono la mia capacità. A teatro, invece, un errore può compromettere la riuscita di uno spettacolo e il pubblico, giustamente, è spietato”.

Dove va, oggi, il teatro e qual è la funzione dello spettatore e dell’attore?

“Di solito non mi piace trattare dei massimi sistemi: non amo discettare sull’utilità o sull’inutilità del teatro oggi. Pirandello, ne “I giganti della montagna”, si è posto delle domande al riguardo e si è dato delle risposte, sempre aperte. Molti dicono che il teatro è inutile nella società di oggi, perché il suo linguaggio non risponde alle nuove esigenze della società di oggi. Pure io sono convinto che la struttura, per quanto obsoleta, debba essere mantenuta in vita, anche con contributi pubblici, nello stesso modo in cui manteniamo in buono stato i monumenti delle nostre città. Credo fermamente che educare, “costringere” al teatro, sia un modo per mantenere viva la nostra identità collettiva. È un bene che i vecchi rituali siano mantenuti in vita, per rinsaldare il patto di alleanza tra attori e pubblico”.

In scena con “I cunfidenzi di Martoglio

Cosa deve proporre un gruppo, una compagnia, oggi, per coinvolgere gli spettatori in sala?

“Molti registi, molti autori, scelgono dei contenuti d’attualità (migranti, violenza sulla donna, per esempio), convinti che il pubblico ne sia attratto. Ma non basta: molti spettacoli risultano sterili declamazioni retoriche, non trasmettono emozioni. Qual è la ricetta? Non sono in grado di dirlo, non c’è una formula magica, se c’è un flusso positivo tra attori e regista, avviene”.

Quali autori preferisce da docente e da attore?

“Da docente amo soprattutto le opere narrative. Tra gli italiani Manzoni (grandissimo!), Verga, Nievo, Pirandello e Svevo; tra gli stranieri i francesi e i russi dell’Ottocento. Ho una passione particolare per la narrativa israeliana contemporanea: Yeoshua, Grossmann, Oz, per fare i nomi principali. Come attore vorrei recitare i grandi classici del teatro, da preferire ai riadattamenti di opere narrative e ai rifacimenti. Sofocle, Shakespeare, Molière, Goldoni, hanno scritto per il teatro, di cui conoscevano regole e linguaggi specifici. Circolano drammaturgie improbabili, scritture sciatte e quindi non ne possono nascere spettacoli convincenti, belli”.

Il Giardino Fava

I limiti e le potenzialità della Catania teatrale e culturale….

“Sono quelli di Catania e del Mezzogiorno in generale: grandi intelligenze guastate da un individualismo eccessivo, dal familismo amorale, dal clientelismo. Mi azzardo a dire che, nonostante quanto considerato, ci sono delle realtà interessanti a Catania, di qualità. Se non ci fossero quei difetti si potrebbe fare di meglio”.

Gli obiettivi della terza stagione della Sala Giuseppe Di Martino e del Giardino Fava…

“Il 9 marzo 2019 cadrà il terzo anniversario dall’inaugurazione della piccola sala. Dopo un primo periodo di bei lavori, ma di scarsa visibilità, abbiamo conseguito, con “Sperduti nel buio”, un successo di critica e di pubblico, grazie alla sinergia tra autore, regista e attori. Quest’anno abbiamo varato un cartellone, anche in abbonamento, con 4 lavori (3 produzioni Fabbricateatro): apriremo con “Il Dottor Di Martino è desiderato al telefono”, da un racconto di  Antonio Tabucchi e chiuderemo con “Capitan Seniu” di Nino Martoglio ed inoltre la novità sarà un Progetto Albert Camus, con “La peste” e “Lo straniero”, lavori diretti rispettivamente da Gianni Scuto ed Elio Gimbo. Per la stagione sono poi previste anche altre iniziative per incuriosire ed attirare gli spettatori. Per l’estate poi si penserà ad una rassegna variegata nell’accogliente Giardino Pippo Fava”

Alle prese con la musica…

Daniele Scalia allo specchio. Come si definisce e chi è nella vita di tutti i giorni?

“Sono un insegnante in pensione, dotato di una certa cultura che non mi piace ostentare, forse per il mio carattere schivo. Fare teatro a livello amatoriale ha significato per me scoprire emozioni ingiustamente sopite, superare le barriere tipiche delle persone colte: quelle dell’intellettualismo. Un’altra mia passione è il tango argentino, sia come ballo che come musica, di cui sono un cultore”.

Una sua particolare soddisfazione o delusione in questi anni di attività…

“Il mio apprendimento dell’arte della recitazione è stato lento, pieno di intoppi e difficoltà. Il regista di Fabbricateatro Elio Gimbo è stato capace di valorizzare le mie potenzialità, proprio partendo dai miei limiti. Per la mia lentezza nel memorizzare le battute, le prime parti a me assegnate contenevano poco testo, ma molta azione scenica. Alla fine del 2015 Elio, nella messa in scena di “Finale di partita di Beckett”, mi assegnò la parte di Nagg. I primi tempi delle prove furono per me difficilissimi, non riuscivo a memorizzare bene, si temeva che rovinassi lo spettacolo. Nonostante le brutte previsioni, la mia resa fu splendida, forse la migliore della mia tardiva carriera. Esibisco le foto di scena come un trofeo e credo che sia stata la migliore prova della mia carriera d’attore dilettante allo sbaraglio”.

Nel ruolo di Nagg in “Finale di partita”

A cosa sta lavorando al momento, quali i prossimi impegni ed un sogno che vorrebbe realizzare nell’ambito teatrale e culturale nella sua città…

“Per motivi di famiglia mi sono preso un anno sabbatico dalla recitazione e ho concentrato il mio lavoro dietro le quinte, dedicandomi ai pesanti incombenti amministrativi e burocratici che gravano su noi teatranti. Quest’anno, su espressa richiesta di Elio Gimbo, riprendo la mia attività di attore.  Ho nel cassetto la messa in scena di un testo di letteratura latina medievale ma per il momento preferisco non rivelare i particolari”.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenti sul post