Cronaca

In Sicilia i pescatori sono 7000 e Catania annovera 240 imbarcazioni per un totale di circa 1000 lavoratori.

E sono altrettanti i pescatori che nel capoluogo etneo rischiano di perdere il lavoro. La crisi che sta uccidendo un mestiere antico è composta da tanti aspetti: l’incentivazione alle demolizioni della barche che spinge molti armatori a reinvestire in Libia, o a cambiare attività. O la concorrenza sleale dei pescatori sportivi che mantengono un rapporto privilegiato con i ristoratori locali, ma lavorando in nero e senza riguardi per le regole della pesca. Infine, la mancanza di ammortizzatori sociali e il mancato riconoscimento di malattie professionali come reumatismi, depressione (per la legge fare il pescatore non è lavoro usurante), chiude il cerchio di un mestiere che i giovani non vogliono più fare.

Sono questi i temi più importanti trattati dall’assemblea dei pescatori della FLAI Cgil di Catania sul tema “CHE PESCI PRENDERE?”, per confrontarsi su ammortizzatori sociali, lavoro usurante, malattie professionali, sicurezza sul lavoro, nell’ambito dell’applicazione del “Testo unico su salute e sicurezza” nel settore della pesca.

Ha introdotto i lavori Pino Mandrà, segretario generale della FLAI CGIL Catania. “I lavoratori italiani della pesca vengono retribuiti in base al prodotto venduto, secondo una pratica quasi medioevale come quella della ‘paga alla parte’. Ciò li porta ad affrontare il mare anche con condizioni meteo avverse, mettendo a repentaglio la propria incolumità pur di garantirsi un reddito. Noi della CGIL da tempo abbiamo sollecitato i governi che si sono succeduti affinché fosse stabilito un regime di ammortizzatori sociali in grado di garantire reddito ai lavoratori anche in caso di maltempo e calamità naturali, evitandogli così il rischio di uscire in mare a tutti i costi. Le misure fissate dal Parlamento europeo sono orientate al modello di pesca dei Paesi Nordici con penalizzazione per le marinerie mediterranee. Giusto tutelare le risorse marine, ma i costi non possono ricadere sulle aziende e i pescatori”.

I lavori sono stati coordinati da Antonino Calandra, segretario FLAI CGIL Catania. Tra gli interventi, oltre a quelli di molto pescatori catanesi, quello dell’assessore comunale Alessandro Porto, della Capitaneria di Porto, del rappresentanti della Lega Coop Sicilia, Pino Gullo, di Stefano Pennisi della Federcopesca, di Anna Lisa Spanò della Co. Ge. Pa. Catania, di Giacomo Rota, segretario generale CGIL Catania, di Tonino Russo segretario FLAI-CGIL Sicilia.

Ha concluso Antonella De Marco – Dipartimento Pesca FLAI CGIL nazionale.

Per la Flai il settore della pesca va dunque rilanciato incentivando la ricerca scientifica per modernizzare i sistemi di pesca e per rendere questo lavoro più appetibile per le nuove generazioni; il sindacato chiede inoltre il riconoscimento delle malattie professionali collegate e al Comune di Catania, che si è detto disponibile a promuovere uno speciale tavolo di collaborazione tra i vari attori della Pesca, e all’autorità portuale, di garantire condizioni di sicurezza a terra.

“I pescatori svolgono i lavori di sistemazione dei pescherecci e delle reti in condizioni assolutamente precarie e di insicurezza”, conclude la Flai.

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