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Quello che è stato presentato sabato scorso al “Giardino Martoglio” di Belpasso, in occasione della Sagra del Ficodindia, non è semplicemente un libro di ricette tradizionali. Anzi non lo è affatto. Nel libro “Il pane fritto e altre storie”Algra Editore – di Cinzia Caminiti Nicotra, ci troverete le ricette, sì. Ma le ricette che leggerete e potrete anche utilizzare per le vostre pietanze, provengono da storie, ricordi, che hanno lasciato non solo malinconia e nostalgia per le persone che non ci sono più e per un mondo che più non tornerà, ma soprattutto un’esperienza viva, spendibile oggi e domani, un’energia che parte dall’amore tra una nonna e la sua nipotina, tra l’amatissima nonna Cortese Vincenza e l’amatissima nipote, Cinzia Vincenza Maria Caminiti.

La copertina del libro

Un libro di voci interiori, che salgono, evocate misteriosamente, dalle pagine del libro come da un pozzo fatato, un secchio d’acqua traboccante, tirato su con la carrucola delle parole e delle visioni. Nel ricordo di Cinzia la nonna Vincenzina è la nonna che tutti vorremmo avere e avere avuto: una persona sempre piena di volontà di vivere, di amore per la vita, per i figli, per i nipoti, per gli animali, per il vicinato, per il prossimo. Una donna che ha dovuto affrontare da sola tante difficoltà e si è inventata dei lavori, in un tempo in cui forse, più di adesso, era possibile seguire il proprio talento, anche con umiltà e semplicità. Semplicemente, cioè, stando in mezzo agli altri e condividendone le sorti. E si improvvisa modista, pur senza avere studiato, ma con gusto (“tutto è sempre e solo un fatto di gusto!”), e si inventa di disegnare e modellare cappellini per le donne ricche e per quelle povere.

Ma, soprattutto, nel quotidiano, la nonna Vincenzina cucina, e cucina per tutti e per tutte le occasioni: per i pranzi eccezionali come per le merende e le cene di tutti i giorni. Una sorta di catering ante litteram e gratuito. “Veglio su di te, bambina mia. Cucinare è un modo di dare ed è come amare… Non dimenticarlo mai.” Davvero sfortunato chi non ha mai conosciuto un affetto talmente assoluto e gratuito come quello di una nonna così. Il libro di Cinzia, mentre lo leggerete, farà riaffiorare gli affetti più cari, il cui ricordo stringe il cuore, ma riconcilia anche con la vita e ci fa risentire quello sguardo su di noi, come di un guardiano instancabile, quella carezza come una benedizione per sempre. Mentre lo leggerete, sarà come riscriverlo insieme, aggiungendo i vostri ricordi, le personalissime scene conservate nella memoria, e quello sbotto di affetto, quel tuffo al cuore-  che è il premio a chi ci ha tanto amato- vi spingerà ad arrivare fino in fondo, senza sforzo.

Un momento della presentazione

“Il pane fritto e altre storie”, inoltre, è più che un omaggio a una persona cara e significativa. E’ un libro sonoro: pieno di parole antiche, di versi, di canzoni, di filastrocche, quelle dei giochi, ma anche quelle dei riti propiziatori e della “fatagione”, di auguri e di scongiuri. Nulla affiora per bisogno di analisi storico-sociologica o letteraria. Qui non ce n’è la necessità. Quella carrucola che riporta su, alla luce del sole e della luna, il secchio dell’acqua buona, potabile, per bere e per cucinare, non stride, non cigola. La sua corda è corda vocale, è la sonda che ha scandagliato i cuori, la stringa d’oro rosso che ha legato le generazioni, consegnando e trasmettendo un patrimonio genetico e culturale tra quelli che sono stati, quelli che sono e quelli che saranno e che verranno. “Me la ricordo…sì…parlava piano, adagio adagio e mentre parlava mi accarezzava sempre e poi cantava… che bella voce che aveva… Di lei tu hai preso, Cinziù…”.

E le ricette che Cinzia trascrive (qualche volta fotografandone la copia autografa di Vincenzina) alla fine di ogni capitolo, lei, alla morte della nonna, le trovò avvolte in un panno di pizzo color verde smeraldo: un fascio di foglietti scritti a mano, ormai ingialliti. Ma a tenerli legati insieme, sapete cosa c’era? Una corda, sì, ma una corda di chitarra! La musica è presente in tutto il libro, è la colonna sonora di una storia, di tante storie, che vanno dal principio del Novecento, alla Prima e alla Seconda Guerra Mondiale e dopo, agli anni Settanta e Ottanta. E’ il fascino del canto di Orfeo che suona la cetra e ferma il giorno e commuove gli dei e richiama dalla morte. E’ la stessa vocazione di Cinzia che ha cantato tutta la vita e canta ancora, nei dischi di “Schizzi d’arte”, negli spettacoli teatrali di Elio Gimbo e di Fabbricateatro, a casa, con Gianni e Nicoletta, come sentirete tra poco. Ed è un libro di parole musicali ed evocative, come formule magiche, parole di uso comune un tempo: ‘u tuppu, ‘u spurugghiaturi, l’acqua dô risìnu e petali di rose per lavarsi la faccia al mattino, ammuccia ammuccia, acchiappa acchiappa, a-mmiffa, ‘a lisciva e l’azzolu, ‘a frutta gilippata, la brunia, ‘i jaddini, ‘u cani, ‘u jattu, ‘i surci, diminiscanza! E cucivuli, ‘a vastedda, ‘u cucciddatu, ‘u bacilicò, ‘i viscotta ccâ liffia…

Nino Bellia

Ed è un libro di sintassi musicale: sia quando si citano le frasi, le cadenze, l’andamento della parlata nostra, così prossima alla pienezza e compiutezza del latino classico, sia quando i ricordi invadono la lingua italiana di una donna colta e matura…

Ho pensato, allora, di poter suggerire ai lettori la suddivisione di questo libro di Cinzia Caminiti in tre sezioni:  per le prime due, qualcosa vi posso anticipare e, insieme a Cinzia, a Nicoletta, a Gianni e ad Agata Longo, offrirvene un assaggio. Per la terza, no, dovrete avventurarvi voi stessi, senza guida, da soli, col rischio di un’immersione totale e fatale, di un vero e pericoloso naufragio nella commozione, come è successo a me e a quanti abbiamo potuto leggerlo fin dalla sua pubblicazione. E se avete paura di questi sentimenti, non compratelo, non leggetelo.

Così, la prima parte la chiameremo “carillon”… Qui, almeno per i primi cinque capitoli, (ma il conto non è rigido, il carillon risuona sempre, anche dopo), si susseguono scene, come, appunto, per la giostra delle figurine di un carillon: e sono personaggi e vicende, storie di vita, di fidanzamenti e di matrimoni, funerali e feste in famiglia. La maggior parte divertenti o, addirittura, esilaranti: le storie di Elvira e Vincenzina, quando si fidanzarono, di Ferdinando La Mantia e di Giuditta (due emarginati per pregiudizio sociale, che si incontrano e si innamorano e riscattano la loro immagine pubblica) o quella di Milio e Mariuccia (destinati a restare zitelli e che si sposano inaspettatamente e fanno sette figli), o della moribonda “sbinnonna” che, come ultimo desiderio, chiede due arancini di Vincenzina. E abbivirìsci! In questa sezione troverete quadretti deliziosi, come la visione della ragazza che lucida “i visuli”, scivolando su due pezze e che, con i lembi della gonna rigirati e tenuti con le mani, si muove agilmente per la casa, come una soubrette: hip hop casalingo, latino-americano domestico…

Cinzia Caminiti Nicotra, Nino Bellia, Elio Gimbo, Daniele Scalia, Nicoletta e Gianni Nicotra

La seconda parte la chiameremo invece “dô riscignolu”, cioè dell’ocarina in terracotta, che ha la forma di un uccello, e cinguetta e sciorina un vero e proprio gorgheggio, se piena di acqua.  Anche qui ci sono scenette e personaggi, ma si fa avanti più decisamente un gorgoglio del cuore sempre più netto e distinguibile: sono i capitoli dal sesto al dodicesimo circa, ma “sempri a trasi e nesci”, “a va e veni”: sono le pagine dove compaiono le storie di Giufà, con cui la nonnina faceva divertire la nipote, e poi il ricordo della raccolta delle olive, l’incanto della domenica mattina, la crema al cioccolato, vero antidoto contro la delusione del primo amore.

Il riscignolo del cuore di Cinzia suona e suona, gorgoglia e gorgheggia, e la sua voce liquida ci accompagna verso un’acqua più fluente, dirompente, torrenziale, una piena che sfocia in un mare.  E lì, dal capitolo 13 al 15, mi fermo, e non v’accompagno più…

Sulla soglia di quest’ultima sezione, vi lascio, citando alcune parole di nonna Vincenzina, a proposito dell’amore: “L’amuri tuttu pò! ca l’amuri è sempri santu e pacinziusu, tuttu supporta e tuttu spera, non cerca vanto né dinari, spera l’amuri e cridi e pò; e chiddu ca si fa pp’amuri, va sempri cchiù ddà di lu beni e di lu mali, chiù di la biddizza, chiù di la ricchizza e di la puvirtà… L’amuri quannu è veru? Tuttu po’, Tuttu! Senti cista ca ti cuntu…”.

Carissima Cinzia, magari tu non sarai “frequentante”, ma queste parole di nonna Vincenzina, gran donna, sono niente di meno che l’Inno alla Carità di San Paolo!

Nino Bellia

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