Dolce, salato, inebriatoRubriche

Non è il primo allarme lanciato da Compag per la tutela del prezioso patrimonio agro-alimentare italiano: numerosi dei Prodotti di Origine Protetta italiana sono a rischio e vanno salvaguardati attuando politiche agricole più lungimiranti e – non si stanca di ripetere Fabio Manara, Presidente della Federazione delle rivendite agrarie in Italia Compag – imparando ad agire uniti.

L’Italia è il Paese europeo con il maggior numero di prodotti agroalimentari a denominazione di origine riconosciuti dall’Unione. Una ricchezza inestimabile per l’economia e la cultura del Paese. Una dimostrazione della grande qualità delle produzioni italiane e del forte legame che le lega indissolubilmente al territorio di origine. Un patrimonio di eccellenze grazie alle quali l’Italia si distingue nel mondo intero e a cui non è possibile rinunciare per semplice indolenza o miopia.

Ma cosa significa DOP, e perché creare dei marchi DOP? Significa prodotto di alta qualità. Alta qualità legata all’area di provenienza, perché il prodotto mantiene i profumi del territorio nel quale è ottenuto da centinaia di anni, secondo le tecniche e le procedure maturate da persone esperte, che hanno saputo affinarle, curando e migliorando il prodotto fino all’attuale risultato. La normativa europea e quella italiana hanno cercato di fornire valore alla sapiente capacità dei territori di ottenere prodotti di elevata qualità, attraverso la creazione di marchi specifici.

Il pane ottenuto con grani prodotti in territori diversi dal nostro non potrà avere le stesse caratteristiche organolettiche, lo stesso profumo, la stessa fragranza di quello ottenuto con grani coltivati sui terreni ricchi di limo, argilla e sostanze minerali combinate fra loro in modo da creare un substrato unico, inimitabile.

Ma la difesa della qualità significa anche difesa della reddittività dei nostri agricoltori. Per questo è necessario proseguire e migliore le politiche di valorizzazione dei prodotti tradizionali italiani.

“Emblematica”, ha sottolineato il presidente di Compag, “è la situazione del mais nazionale e dei prodotti alimentari tipici che si ottengono dagli allevamenti nostrani che dovrebbero essere alimentati con il mais nazionale”.

Il Parmigiano Reggiano, il Grana Padano, i prosciutti sono solo alcuni degli esempi di prodotti tipici che richiedono la disponibilità di mangimi nazionali per poter ricevere il marchio DOP secondo la normativa europea. Ma se fino a una decina di anni fa l’Italia era quasi autosufficiente per l’approvvigionamento del mais, ora il prodotto nazionale soddisfa poco più del 50% del fabbisogno interno a causa della diffusione delle micotossine, sostanze tossiche per l’uomo e prodotte da funghi saprofiti che, se ingeriti dagli animali, rimangono anche negli alimenti. I cambiamenti climatici ne hanno favorito la diffusione nei nostri areali, che già presentavano le caratteristiche idonee al loro sviluppo.

Fabio Manara

“Le difficoltà di coltivazione”, prosegue Manara, “hanno spinto molti agricoltori ad abbandonare la coltura del mais per dedicarsi ad altre, ma ciò mette in crisi le filiere. È quindi necessario prendere iniziative per fare rinascere il mais, fare in modo che torni ad essere la coltura da reddito che è sempre stata”. Anche la politica deve dimostrarsi sensibile, indirizzando gli aiuti europei che derivano dalla politica agricola comunitaria a spingere sulla produzione piuttosto che sulla messa a riposo dei terreni.

Le associazioni di categoria, da quelle agricole fino ai mangimisti e alle industrie alimentari, passando per gli stoccatori, hanno iniziato un percorso per creare una filiera che dovrebbe essere in grado di ricavare le risorse per garantire agli agricoltori quel giusto premio produttivo per affrontare i maggiori costi che le tecniche per prevenire lo sviluppo delle micotossine comportano.

Cosa sarebbe dell’economia italiana senza le produzioni che più la rendono famosa nel mondo e che costituiscono uno dei capisaldi del nostro export? Come si potrebbe immaginare un’industria alimentare italiana senza il Grana Padano, il Gorgonzola, il lardo di Colonnata, le mortadelle, la mozzarella di bufala campana, il Parmigiano Reggiano, il Pecorino o i prosciutti di Parma e di San Daniele?

La consapevolezza che il nostro Paese non potrebbe sopravvivere senza le esportazioni dei prodotti tipici della nostra tradizione culinaria ed alimentare si sta finalmente facendo strada. Ne è la riprova il tavolo convocato a Bologna da parte dei produttori di mangimi per il contratto-quadro sul mais, un contratto triennale per incentivare la coltivazione di mais italiano che fa pensare a una progettualità che fino a un paio di anni fa sarebbe stata impensabile. E’ certamente un inizio, ma non si tratta certo di un’azione risolutiva. Da qui l’esortazione di Manara e della federazione Compag, che continua a invitare a unirsi per difendere il Made in Italy e, con esso, la competitività italiana.

www.compag.org

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