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Un testo complesso, ricco di sfaccettature ed uno spettacolo coinvolgente, pieno di rabbia, impetuoso e surreale, camaleontico come il protagonista, un Filippo Luna che, nei panni di due donne (madre e figlia), supera se stesso confondendo, coinvolgendo e intrigando il pubblico. La pièce in questione è “La veglia”, atto unico di circa 90′, di Rosario Palazzolo proposto lo scorso venerdì al Centro Zo di Catania all’interno della rassegna “Altrescene”.

E’ la terza parte, dopo “Lo Zom­po” e “Mari/​age”, della trilogia “Santa Samanta VS – sciagura in tre mosse” e rac­con­ta di una ma­dre, Car­me­la, pri­va­ta sin dal­la na­sci­ta del­la fi­glia Sa­man­tha per via del dono di gua­ri­gio­ne che la bam­bi­na pos­sie­de e che alla fine la porte­rà al sui­ci­dio. La ma­dre ri­ma­sta muta per ven­tu­no anni, adesso ha trasformato il suo si­len­zio in un flus­so di pa­ro­le ur­la­te nel­le tra­smis­sio­ni te­le­vi­si­ve ed è in­gab­bia­ta nel mec­ca­ni­smo di un te­le­vo­to che de­ci­de­rà chi, fra lei e le zie che l’han­no cre­sciu­ta, co­strin­gen­do­la a gua­ri­re gli am­ma­la­ti, do­vrà sep­pel­li­re il corpo del­la ra­gaz­za.

Una scena de “La veglia”

Si tratta di un lavoro affrontato con la solita professionalità e incisività da un convincente Filippo Luna coadiuvato da una squadra affiatata: Luca Mannino per le scene, Daniela Cernigliaro per i costumi, Alice Colla per le luci, Francesco Di Fiore per le musiche e gli effetti, Angelo Grasso e Clara De Rose (assistenti) e con la produzione del Teatro Biondo di Palermo. Lo spettatore, immerso in una sorta di studio televisivo, pur intrigato da testo e rappresentazione, è, a tratti, confuso dalla vicenda narrata ed ha bisogno di tempo per entrare nel vivo, per capirne le dinamiche, per entrare all’interno del suo meccanismo. Filippo Luna, con grande efficacia e rabbia, si trova a meraviglia nei monologhi ed infatti ne “La veglia” si esalta e si esprime in scena in una sua lingua sgrammaticata che mescola la passione del dire con la bellezza dell’errore, un parlato che affascina, che diverte, lo spettatore trascinandolo in una dimensione surreale, senza filtri, caratterizzata da uno slang di periferia.

Filippo Luna, che accoglie lo spettatore con un vero e proprio parto in diretta (la nascita urlata, tempestosa, della figlia), è Carmela, una madre di quartiere che ha perso la figlia-santa Samantha e che adesso – protagonista di un reality live in mondovisione – è in tv, recitando la parte di se stessa, davanti a Barbara D’Urso, a una giuria popolare di telespettatori da casa che possono, con il televoto, renderle il corpo della piccina o tenerselo per farne una santa. Nella rappresentazione si va oltre la tv del dolore, si oltrepassa  il concetto del reality con Carmela  che è sola nello studio e parla con l’organizzatore-regista chiamato Piero Angelo, che non le risponde mai con un gigantesco On Air e si rivolge al pubblico in platea (quando appare la scritta Off) raccontando i dettagli.

Filippo Luna nei panni di Carmela

Tra il pubblico e Carmela c’è subito empatia: si dialoga, ci si interroga su quello che accade e si vede. Ognuno – in sala studio – finisce per sentirsi  colpevole, complice, davanti allo scempio proposto dalla tv nelle nostre case e tutti noi, in preda ad un dilagante voyeurismo, vediamo passare sullo schermo le tragedie quotidiane, perdendo la nostra umanità in nome di quel dolore spettacolarizzato ed offerto a tutti, tra pubblicità, studi tv e talk show. Le storie reali oggi vengono trattate come fiction e le persone non sono più reali, ma diventano personaggi ed i ruoli vengono scritti da sceneggiatori che giocano con il torbido, coinvolgendo tutto e tutti nel surreale. Quella de “La veglia”, così come quella dei nostri giorni, è una tv che ha sempre bisogno di nuovi elementi, nuove facce, nuove storie da raccontare, per mandare avanti il proprio programma fatto di applausi concordati, di commozione fasulla, di ilarità inventata.

Lo spettacolo in tutta la sua durata risulta quindi, un gioco crudele dove Carmela è elemento fragile ed anche complice perché accetta quel ruolo che l’ha portata in tv e, anche se per poco, famosa. La lingua creata dall’autore Rosario Palazzolo è sfaccettata, infarcita di parole storpiate (“amore maleminchiato”,“cazzipicchia”, “voi siete scuolati”), impastate di dialetto, che creano un impianto trash, simbolo di solitudine, di ignoranza diffusa e di abbandono.  Sulla scena – studio Carmela è vittima dal mez­zo te­le­vi­si­vo, in cui il desiderio di san­gue dei te­le­spet­ta­to­ri si nasconde dietro un pul­san­te, mentre Sa­man­tha è sfruttata, utilizzata dal­la so­cie­tà per la sua vir­tù.

Mo­no­lo­go intenso, ripetiamo, complesso, con un intelligente impianto scenico, molto funzionale (una cas­sa bian­ca smon­ta­bi­le e ri­com­po­ni­bi­le che diventa, a seconda delle esigenze, un let­to, un sa­lot­to tv o un ban­co di la­vo­ro), con una regia dell’autore che guarda molto al cinema e con un Filippo Luna davvero straordinario che da il massimo nei panni dolorosi, sofferenti di Carmela mostrando un mondo fatto di finzione come quello della tv spazzatura. Alla fine applausi convinti e reiterati del pubblico.

Scheda

La veglia

di Rosario Palazzolo

Regia di Rosario Palazzolo

con Filippo Luna

Scene Luca Mannino

Costumi Daniela Cernigliaro

luci Alice Colla

Musiche e effetti Francesco Di Fiore

Produzione Teatro Biondo Palermo

Rassegna Altrescene – Centro Zo Catania – 22 Marzo 2019

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