Cronaca

La Convenzione sulla diversità biologica (CBD) è lieta di avere Slow Food come partner per la Giornata mondiale della biodiversità di quest’anno, il 22 maggio. Tema per il 2019 è Our Biodiversity, Our Food, Our Health proprio per sottolineare la stretta interdipendenza esistente tra la biodiversità, i sistemi alimentari e la salute umana, toccando gli aspetti della diversità biologica e culturale più tangibili nella vita quotidiana delle persone .

«La biodiversità non è un lusso, ma una condizione imprescindibile per il nostro benessere», sottolinea Cristiana Paşca Palmer, segretario esecutivo della Convenzione sulla diversità biologica. «È il fondamento alla base dei sistemi alimentari e della nostra salute. Non possiamo permetterci di trascurare la nostra dipendenza dalla natura e dare per scontata l’abbondanza dei suoi frutti».

Della stessa idea è Carlo Petrini, presidente di Slow Food. «La biodiversità dei microrganismi, delle specie animali e vegetali, degli ecosistemi, dei saperi tradizionali, è la nostra garanzia per il futuro perché consente l’adattamento ai cambiamenti climatici e garantisce il benessere delle comunità locali. Il sistema di produzione e distribuzione alimentare globale, che si regge su un modello industriale applicato alla natura, non ha risolto i problemi della fame e della malnutrizione, ma ha anzi prodotto conseguenze devastanti, trasformando l’agricoltura in un’attività di sfruttamento e distruzione degli ambienti naturali. Per questa giornata mondiale, Slow Food chiede ai governi di adottare misure incisive a favore di un modello agroalimentare sostenibile, che rispetti la salute umana e quella ambientale. Agli agricoltori e ai produttori di cibo chiede di impegnarsi per promuoverlo e applicarlo e ai consumatori di sostenerlo con le loro scelte alimentari quotidiane».

Nel corso del 2019 la popolazione mondiale raggiungerà i 7,7 miliardi di persone, concentrate per più della metà in zone urbane[1]. In un contesto del genere, il cittadino medio di un paese sviluppato, facendo i suoi acquisti tra gli scaffali del supermercato, può credere che il moderno sistema di produzione alimentare globalizzato gli garantisca una varietà di scelta senza precedenti.

E che la diversità sia in aumento nel mondo, dato che le persone, grazie alla crescita economica e all’urbanizzazione, possono ridurre il consumo di alimenti di base come riso e fagioli, avendo maggior accesso a cibi come carne, prodotti lattiero-caseari e alimenti trasformati. La globalizzazione e le regole del libero mercato hanno permesso l’espansione di grandi marchi alimentari a livello globale, segno tangibile della vastità di scelta.

Ma anche se l’offerta commerciale è sempre più diversificata, i prodotti che i consumatori acquistano e mangiano sono sempre più omogenei. La semplificazione – ben più che la diversificazione – è la colonna portante del sistema di produzione alimentare globale e questo è un rischio, sia per la conservazione della biodiversità che per la tutela della salute umana.

Basti pensare, ad esempio, che negli ultimi 100 anni più del 90% delle varietà vegetali sono scomparse dai suoli coltivati, così come la metà delle specie animali domestiche. Lo sfruttamento ittico delle 17 principali zone di pesca del globo attualmente tocca o supera i limiti di sostenibilità e numerose specie ittiche sono vicine alla scomparsa o si sono già estinte. La perdita di copertura forestale, zone umide costiere e altri ambienti selvatici incolti, il degrado dei suoli, la distruzione di ambienti marini e terrestri e la diffusione di specie invasive accentuano l’erosione genetica dell’agro-biodiversità, causata dalla sostituzione delle varietà locali con specie o varietà “migliorate”.

L’impatto di questa globale omogeneizzazione sugli individui e le comunità è impressionante. I sistemi di produzione alimentare locali, con i relativi patrimoni di conoscenze e saperi indigeni tradizionali, così come le diverse culture e competenze dei coltivatori e coltivatrici di piccola scala, sono seriamente a rischio.

A essere minacciata è anche la salute umana. L’abbandono di diversi tipi di dieta è direttamente legato a malattie non trasmissibili come il diabete e l’obesità e ha un impatto diretto sulla disponibilità di alimenti sani e medicine tradizionali.

In un mondo in cui la metà della popolazione non ha accesso ai servizi di salute essenziali e 100 milioni di persone rischiano di cadere in povertà estrema a causa delle spese sanitarie, la medicina alternativa e le cure tradizionali sono sempre più spesso la prima risposta a cui poter accedere. Per la maggior parte della popolazione di molti paesi, in caso di malattia la medicina tradizionale costituisce una fondamentale fonte di cure[2].

La Convenzione sulla diversità biologica delle Nazioni Unite (Cbd), Slow Food e altri partner quali l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l’Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura (Fao), Il Fondo internazionale per lo sviluppo agricolo (Ifad), il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia (Unicef), l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura (Unesco), il Forum permanente delle Nazioni Unite sulle questioni legate ai popoli indigeni (Unpfii), e movimenti internazionali come EAT Foundation e la Food and Land Use Coalition (Folu), stanno lavorando congiuntamente per individuare azioni trasformative nella produzione alimentare globale, tali da poter garantire un futuro sereno per l’umanità e per la natura. La promozione dell’agro-biodiversità e di produzioni alimentari autoctone, stagionali e diversificate è una misura concreta che, se assunta dai governi, dai coltivatori e dai consumatori, è in grado di aumentare la resilienza ai cambiamenti climatici, migliorare la qualità dei cibi e della salute e incrementare la sicurezza alimentare.

Invitiamo tutti i cittadini allarmati dalla sempre più rapida erosione della diversità biologica del pianeta e preoccupati per i danni che stiamo arrecando alla natura, a celebrare la Giornata mondiale della diversità biologica del 22 Maggio 2019 – Our Biodiversity, Our Food, Our Health, condividendo a tavola con le persone care qualche momento di riflessione sul legame tra la natura, gli alimenti e i prodotti medicinali naturali che questa ci dona.

Convenzione sulla diversità biologica

La Convenzione sulla diversità biologica (CBD), aperta alla firma al Vertice della Terra di Rio de Janeiro nel 1992 ed entrata in vigore dal 1993, è un trattato internazionale per la conservazione della biodiversità, l’uso sostenibile delle sue componenti e una giusta ed equa ripartizione dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche; con 196 parti firmatarie, vede un’adesione quasi universale presso i paesi del mondo. L’obiettivo della Convenzione è il contrasto di ogni minaccia per la biodiversità e i servizi ecosistemici, comprese quelle derivanti dal cambiamento climatico, attraverso valutazioni scientifiche, lo sviluppo di strumenti, incentivi e processi innovativi, il trasferimento di tecnologie e buone pratiche e il coinvolgimento attivo dei soggetti interessati, dalle popolazioni indigene e le comunità locali alle donne e ai giovani, dalle organizzazioni non governative alla comunità imprenditoriale.


Dati

100 ANNI DI CAMBIAMENTO AGRICOLO: ALCUNE CIFRE E TENDENZE RELATIVE ALL’AGRO-BIODIVERSITÁ[3]

Nell’ultimo secolo, circa il 75% della diversità genetica delle colture è andata perduta, quando gli agricoltori di tutto il mondo hanno abbandonato molte delle varietà locali per passare a varietà geneticamente uniformi e ad alto rendimento.
Il 30% delle razze animali è a rischio d’estinzione; ogni mese ne spariscono 6.
Attualmente il 75% del cibo prodotto sul pianeta deriva da sole 12 specie vegetali e 5 specie animali.
Delle 250000-300000 specie vegetali commestibili conosciute, solamente 150-200 vengono utilizzate dall’uomo; tra queste, tre sole specie – riso, mais e grano – contribuiscono per circa il 60% dell’apporto calorico e proteico proveniente da fonti vegetali.
Gli animali coprono intorno al 30% del fabbisogno umano in termini di cibo e in agricoltura, e il 12% della popolazione mondiale trae sostentamento quasi esclusivamente da prodotti ottenuti da ruminanti.


[1] Nel 2019 il 55.3% della popolazione vive in zone urbane.
[2] www.who.int/news-room/detail/13-12-2017-world-bank-and-who-half-the-world-lacks-access-to-essential-health-services-100-million-still-pushed-into-extreme-poverty-because-of-health-expenses
[3] United Nations Food and Agricultural Organization

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