Cronaca

Su proposta della Procura Distrettuale, i Finanzieri del Comando Provinciale di Catania hanno eseguito un decreto di confisca, emesso dal Tribunale di Ragusa (Sezione Misure di Prevenzione), nei confronti di Rosario D’Agosta, nato a Vittoria (RG) l’11 novembre 1953, soggetto ritenuto contiguo a “Cosa Nostra” catanese dopo un’iniziale affiliazione alla “Stidda”. Il provvedimento ablativo colpisce un patrimonio illecitamente accumulato di oltre 25 milioni di euro, costituito da 58 unità immobiliari (appartamenti, garage, magazzini, attività commerciali e terreni) ubicate tra Vittoria e Ragusa, tra le quali spicca una villetta sul mare sita nella frazione di Scoglitti (RG); 6 unità immobiliari (3 appartamenti con annessi garage) ubicate in provincia di Varese, in particolare nei comuni di Caravate e Cocquio-Trevisago; 4 autovetture.
Il patrimonio illecito risultato nella disponibilità, anche indiretta, di Rosario D’Agosta deriva dalla posizione di monopolio acquisita nel territorio vittoriese, fin dagli anni Novanta, nella gestione della commercializzazione e installazione degli apparecchi da gioco “truccati”, settore lucroso storicamente appetito dalle organizzazioni criminali anche per la implicita possibilità di riciclare denaro “sporco”.

Controlli Guardia di Finanza

La contiguità di D’Aosta a “Cosa Nostra” emerge dalla vicenda che lo ha visto condannato in primo grado, nel 2015, a 5 anni di reclusione per le lesioni (inizialmente qualificate come tentato omicidio) perpetrate nel 2009 a danno di Giuseppe Doilo (appartenente alla “Stidda”). I fatti in questione segnavano un momento di tensione tra fazioni opposte, rappresentanti di “Stidda” e “Cosa Nostra”, culminato nell’azione di Rosario D’Agosta che non esitava a sparare diversi colpi di pistola verso la vittima per poi essere provvidenzialmente bloccato da altri presenti prima che riuscisse a colpire gravemente il Doilo.
Altra significativa vicenda giudiziaria che ha visto coinvolto D’Agosta è la minaccia da questi rivolta nel 2014 a un collaboratore di giustizia (“… fermati che te la devo far pagare … ti devo uccidere”), in relazione alla quale il Tribunale di Catania, con sentenza del novembre 2016, lo ha condannato a mesi 6 di reclusione per minaccia aggravata dal metodo mafioso.
L’illecita attività condotta per decenni da D’Agosta è testimoniata anche dall’esito di diversi controlli amministrativi che hanno portato al sequestro di numerosissime “macchinette” illegali con conseguente revoca delle licenze per la gestione degli apparecchi da gioco. Tuttavia, D’Agosta ha continuato a permanere nel settore attraverso la creazione di società le cui quote, anche per evitare l’applicazione delle misure di prevenzione antimafia, venivano affidate al figlio e alla figlia della convivente.
Le indagini patrimoniali dei militari del Nucleo di Polizia Economico- Finanziaria di Catania – condotte anche con l’ausilio del software “Molecola”, sviluppato dalla Guardia di Finanza per l’acquisizione massiva e l’analisi di tutte le informazioni rilevabili dalle banche dati in uso al Corpo – hanno abbracciato l’arco temporale che va dal 1991 al 2015. I complessi accertamenti di polizia economico-finanziaria, supportati anche da plurime e convergenti dichiarazioni di collaboratori di giustizia, hanno evidenziato una significativa sproporzione tra i redditi dichiarati dal nucleo familiare di D’Agosta e le acquisizioni immobiliari realizzate nel medesimo periodo. Inoltre, in 12 annualità, su 25 monitorate, la famiglia D’Agosta non ha dichiarato alcun reddito al Fisco.

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