Cultura

Isacco il Siro, mistico, teologo e  vescovo della Chiesa  di Ninive in Mesopotamia dal 676 al 680, nacque nella regione del Bet Qatraye (l’attuale Qatar), sulle rive del Golfo Persico, agli inizi del VII secolo. Dalle scarne notizie biografiche che ci sono state tramandate da due fonti, il Liber castitatis, una storia monastica scritta da Isho‘denah di Basra tra l’860 e l’870, e una breve testimonianza di data e di origini incerte, edita da I. Rahmani nel 1904, sappiamo che si diede alla vita monastica fin da giovane assieme al fratello.

Fu consacrato vescovo dal Katholikòs di Seleucia-Ctesifonte, Giorgio I (658-680), seguace della dottrina del patriarca di Costantinopoli Nestorio (386-451), che riconosceva in Cristo due nature e due persone, una umana e una divina, legati tra di loro da una unione morale. Questa dottrina venne condannata prima dal concilio di Efeso nel 431 poi dal concilio Calcedonia nel 451. Ma appena cinque mesi dopo la consacrazione episcopale, Isacco – non non sappiamo per quali motivi – lasciò la sede di Ninive e si ritirò come eremita, dapprima sul monte Matut, poi nel monastero di Raban Shabur, nella regione del Bet Huzaye, in Persia. Isacco è autore di un numero considerevole di lettere e di discorsi. Nel IX secolo una parte della sua produzione, ottantasei discorsi e quattro lettere, fu tradotta dal siriaco al greco da due monaci del monastero palestinese di San Saba, abba Patrikios e abba Abramios.

La fama di Isacco, come grande mistico e profondo conoscitore dell’animo umano, si diffuse in tutto l’Oriente. Ad una Prima collezione, comprendente i testi della versione greca, si sono aggiunti, nel 1983, i quarantuno discorsi della Seconda collezione, scoperti da Sebastian Brock in un manoscritto della Biblioteca Bodleiana di Oxford. E, in anni più recenti, i testi di una Terza collezione, ritrovati presso un antiquario da mons. Yuhannan  Samaan  Issayi, arcivescovo Caldeo di Teheran dal 1970 al 1999. Se altri scritti restano verosimilmente da scoprire, il corpus isacchiano consente ormai di delineare con sufficiente precisione la dottrina e l’insegnamento di un maestro di spiritualità tra i più amati non soltanto negli ambienti monastici dell’Oriente cristiano.

Isacco, che è il cantore dell’amore infinito di Dio, che si estende a tutte le creature scrive: «Sarebbe fuori luogo pensare che i peccatori nella geenna siano privati dell’amore di Dio… Ma la forza dell’amore ha un duplice effetto: tormenta i peccatori… e richiama a sé quelli che pagano il loro debito» (Isaac le Syrien, Œuvres spirituelles (a cura di J. Touraille), Discorso 84, Parigi, Desclée de Brouwer, 1981, p. 415). A immagine di questo amore senza limiti, un cuore misericordioso – scrive Isacco – «è un cuore che arde per tutta la creazione, per gli uomini, gli uccelli, gli animali, i demoni e ogni creatura» (Ibdem, p. 395). Influenzata dal diacono Evagrio Pontico (+399), dal vescovo Teodoro di Mopsuestia (+428) e dai Padri del deserto, l’opera di Isacco non ha carattere sistematico, anche se è possibile trovarvi almeno tre fili conduttori: l’insistenza sulla misericordia di Dio; una riflessione sulle passioni e sui modi per tenerle a freno; la purificazione della mente e del cuore per giungere alla contemplazione dei divini misteri.

Da Giovanni di Apamea, un autore siriaco vissuto a cavallo tra il IV/V sec., Isacco mutua lo schema in tre parti che caratterizza la vita spirituale, tre tappe da intendersi come elementi di «un processo graduale di liberazione dalle passioni cattive» (Sebastian Brock, Prière et vie spirituelle. Textes des Pères syriaques, Abbaye de Bellefontaine, Spiritualité Orientale n. 90, 2011, pp. 269-272). Nella prima tappa, quella corporea, bisogna lottare contro tutto ciò che ci rende schiavi del corpo e dei suoi desideri violenti; nella seconda, la tappa psichica, l’anima prende coscienza del peccato e lotta contro i pensieri cattivi, mettendo in pratica le virtù spirituali; nella terza tappa, quella spirituale, l’anima, sbarazzatasi da tutto ciò che la ingombra, si eleva alla contemplazione delle realtà più alte. La preghiera delle labbra cede così il passo a uno stupore estatico: la mente si trova al di là della preghiera, sperimentando un’ignoranza «che è superiore alla conoscenza».

È la preghiera pura dei mistici (Mistici bizantini, a cura di Antonio Rigo, Torino, Einaudi, 2008, pp. XVI-XIX), dettata dallo Spirito e che non ha bisogno di forme o di immagini mentali (Sebastian Brock, Prière et vie spirituelle. Textes des Pères syriaques, Abbaye de Bellefontaine, Spiritualité Orientale n. 90, 2011, pp. 269-272). Di Isacco, infine, si deve sottolineare l’insegnamento sull’incarnazione: «Una sola è la causa dell’esistenza del mondo e della venuta di Cristo nel mondo: l’annuncio del grande amore di Dio, che ha mosso l’una e l’altra all’esistenza» (Isacco di Ninive, Un’umile speranza, a cura di S. Chialà, Bose, Qiqajon, 1999, p. 35). Per Isacco, come ha scritto Kallistos Ware, «il motivo principale dell’avvento del Salvatore fra noi non fu negativo ma positivo, non il peccato dell’uomo ma l’amore di Dio» (Kallistos Ware, «Prefazione», in Ilarion Alfeev, La forza dell’amore. L’universo spirituale di Isacco il Siro, Bose, Qiqajon, 2003, p. 7). Anche se i suoi scritti non furono inseriti nella Philocalia (= amore per il bello) dove però sono ampiamente citati da molti altri autori, Isacco ha esercitato una grande influenza in tutto l’Oriente cristiano, ben al di là degli ambienti monastici.

A lui si ispirarono teologi e maestri spirituali come Pietro di Damasco (+715), Gregorio Palamas (+1357), Gregorio Sinaita, che visse nella prima metà XIV sec., i fratelli Callisto e Ignazio Xantopuloi (prima metà XIV sec.), e, in anni a noi più vicini, Silvano del Monte Athos (1866-1938).. Anche il russo Fëdor Dostoevskij (1821-1881) fu profondamente colpito dall’insegnamento di Isacco, facendone eco ne I fratelli Karamazov (ed. Garzanti Libri, pp. 442-445). Il cantautore Franco Battiato, nel 1989 lo cita nella sua canzone Mesopotamia: << … La valle tra i due fiumi della Mesopotamia che vide alle sue rive Isacco di Ninive… >>. In un suo discorso, Isacco dice: <<La misericordia che si limita alla giustizia non è affatto misericordia. L’autentico misericordioso non è pago di far la carità con ciò che è suo; lieto sopporta l’ingiustizia da parte degli altri e vi risponde con il perdono.

Tuttavia, poiché ha vinto la giustizia con la sua misericordia, ad ornargli la fronte non è la corona dei giusti secondo la legge; egli invece riceve il trofeo dei perfetti secondo il vangelo. Distribuire elemosine ai poveri mediante ciò che si possiede, vestire chi è ignudo, amare il prossimo come se stesso, non offenderlo mai, evitare la menzogna: ecco i comandamenti del Vecchio Testamento. Ascolta ora quello della perfezione evangelica: Dà a chiunque ti chiede, e a chi prende del tuo, non richiederlo (Lc 6,30). Bisogna accettare con gioia di vedersi privati di ogni oggetto, di ogni cosa materiale, anzi, ben di più, di essere chiamati a sacrificare la vita per i fratelli. Costui è il misericordioso, ben diverso da quello che si limita a dare un’elemosina all’altro. Sta’ ancora a sentire: misericordioso è l’uomo che vedendo o ascoltando l’afflizione del fratello, vi compatisce dal fondo del cuore. O anche colui che, colpito dal fratello, non avrà l’impudenza di rispondere all’oltraggio, ma eviterà di affliggere l’altro>> (Discorsi ascetici,23,152-153). Isacco, ormai cieco, morì a Ninive nel 700 circa. È venerato come santo in tutte le Chiese dell’Oriente cristiano, che ne celebrano la memoria il 28 gennaio.

Diac. Sebastiano Mangano 

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