Catania News

Domenica 23 giugno, prima dopo Pentecoste, e non il 1° e il 2 novembre, le comunità cristiane catanesi delle quattro comunità parrocchiali ortodosse (Greco-costantinopolitana “San Leone il Taumaturgo vescovo di Catania”, Rumena “Sant’Agata martire”, Russo-ucraina “Sant’Agata di Catania”, Copta di Alessandria d’Egitto) ubicate nel vecchio quartiere San Berillo, festeggiano le ricorrenze di Ognissanti e dei Defunti, con celebrazioni tipiche dell’anno liturgico bizantino.

   Sono entrambe feste mobili e dipendono dalla data della Pasqua annuale: la domenica di Tutti i Santi, a conclusione della settimana di Pentecoste, segna la chiusura del ciclo pasquale, e i due psicosabati, cioè il Sabato dei Defunti -che introduce alla domenica di carnevale, 8 giorni prima dell’inizio della grande quaresima, e in cui si fa memoria di tutti i cristiani ortodossi defunti dall’inizio del mondo- e il “Sabato dei Defunti”, prima di Pentecoste in cui si fa memoria di tutti coloro che si sono piamente addormentati nella speranza della risurrezione per la vita eterna.

   La festa tradizionale della Chiesa Occidentale, Ognissanti e  Commemorazione dei Defunti, trova riscontro in un altro momento liturgico della Chiesa Ortodossa: una doppia celebrazione, per i fratelli addormentati nel cosiddetto psicosabato delle anime e per Ognissanti con la stessa totale partecipazione di una Chiesa trionfante, che è quella del Paradiso, ma soprattutto la commemorazione di coloro che non trovano i cosiddetti “onori degli altari”, ma sicuramente sono santi dinanzi a Dio, anche se non sono canonizzati.

  Bisogna ricordare che santi vengono definiti tutti i battezzati; nella Divina Liturgia c’è un momento in cui il sacerdote, a conclusione dell’anafora, prende tra le mani l’agnello e sollevandolo canta: “Le cose sante ai santi” e il coro corrispondendo canta: “Uno solo è il Santo, uno solo è il Signore, uno solo è Gesù Cristo”.

   Padre Seraphim Rose, monaco ortodosso californiano studioso della sorte delle anime nel momento in cui s’addormentano, afferma: ‘Noi non sappiamo perché preghiamo per coloro che ci hanno preceduto nella dormizione, ancor che nel funerale e nel ricordo dei defunti siamo sicuri che loro s’addormentano nel seno di Abramo e di Isacco; verrà il giorno della seconda Parusìa che, al pari dell’anastasi del Cristo che scende agli inferi, libererà coloro che sono addormentati. I defunti vivono in un luogo di refrigerio, laddove non c’è morte e dolore. In  una preghiera un gesuita fa parlare un’anima addormentata: “Io sono qui, in un luogo dove non c’è sofferenza e sono nella gioiosa attesa del tuo arrivo tra noi”.

   Il vero cristiano non ha paura della morte e sa che la morte è la liberazione dalla sua condizione di peccato e la gioia totale nell’abbraccio di Cristo salvatore e risorto; la morte è soltanto la condizione voluta da Dio per ridarci la dignità umana di creati per l’eternità. Secondo la teologia greca la morte è atto d’amore di Dio per ridare all’uomo la sua dignità perché è stato creato per l’eternità.

  Una riflessione di un sacerdote cattolico così recita: ‘La morte non è un atto voluto da Dio, è innaturale, noi siamo stati creati per essere eterni, per l’eternità della vita nell’amore del Risorto’. In tutti i sabati della grande Quaresima si fa memoria dei defunti, tranne l’ultimo, quello di Lazzaro, che precede la domenica delle Palme.

  Per quanto riguarda la pietà popolare verso i defunti c’è l’usanza dei 40 giorni dopo la morte, perché è il momento in cui l’anima ha percorso tutte le stazioni di pedaggio dove è stata tirata da una parte dagli angeli che dicono il bene fatto e dall’altra parte dai demoni che dicono il male fatto; al 40° giorno l’anima s’addormenta in via definitiva; ha subìto un primo giudizio e nella seconda Parusìa subirà il giudizio definitivo.

   Nel 40° giorno viene fatto il pranzo funebre, in silenzio, ma dove non si piange, anzi si lascia un posto apparecchiato vuoto in cui, secondo l’uso antico è presente il fratello che ci ha lasciato; poi si va al cimitero a pregare e si porta il cibo sulla nuda terra, perché secondo la tradizione la pietra tombale si mette all’anno. Lì si posano il cibo che i familiari hanno consumato a pranzo con lui, nella continuità rituale che unisce defunti e coloro che sono in vita.

  Lo stesso avviene nel 3°, 6°, 9° giorno. Nei tre giorni successivi alla morte, l’anima vaga nei luoghi più amati della sua vita terrena. Ciò fa ricordare soprattutto a noi siciliani che per tre giorni non si puliva la casa, non si lavava, non si cucinava per rispetto al morto, per il pianto di lutto che era molto stretto. Il 6° giorno la Chiesa ancora prega per l’anima neoaddormentata; lo stesso al 9° giorno fino al 40°; poi lo farà negli anniversari, nella liturgia della preparazione dei doni, nei sabati delle anime. Il nero, che una volta era segno liturgico del lutto, è stato sostituito nella Chiesa Cattolica Occidentale dal viola; ma questo non è un segno di disperazione ma il segno dell’avvento, della preparazione alla gioia.                                                                                 

Antonino Blandini

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