Intervista con...

Ha scritto recentemente il testo “Il segreto di Audrey Hepburn” per il Centro teatrale Fabbricateatro, che debutterà il prossimo 6 Agosto al Giardino Pippo Fava di Catania, per la regia di Elio Gimbo, per la rassegna “Sere d’estate in giardino”. E’ lo scrittore e drammaturgo catanese Sal Costa, personaggio spontaneo, disponibile, preparato che è nato e vive a Catania. Negli anni Ottanta, per un breve periodo, si è trasferito a Londra dove è venuto a contatto con gli ambienti rastafariani e sposandone filosofia e pensiero. Successivamente la la lettura del “Kebra Negast”, libro sacro dei cristiani copti etiopi e degli stessi rastafariani, lo ha avvicinato per la prima volta alle tematiche religiose.

Lo scrittore Sal Costa

Tornato in Italia lavora e, quando può, gira il mondo scrivendo appunti di viaggio. La passione per gli scrittori della beat generation lo ha portato ad approfondire la conoscenza delle religioni orientali e solo dopo si è avvicinato all’ebraismo, mosso stavolta dall’interesse letterario per gli autori di cultura yiddish del Novecento, da Isaac B. Singer, il più amato, a Roth, Potok, fino a Richler. Ha scritto i romanzi: “Un du’ e tre. La vera storia di Johnny il pompiere” (1997), “Visioni di Jack” (1999), “Saravà” (2006), “Bollito duro” (2014). Si è occupato anche di teatrodanza, scrivendo “I frutti di Pomo Pusillo” e un monologo teatrale “Nine Steps”. Nel suo percorso ha poi collaborato con svariati musicisti per la produzione di testi, da Rita Botto a Cecilia Pitino, i Dounia e Luftig. L’ultimo suo, apprezzato romanzo è “Il Mercante di Dio”.

Ho incontrato il drammaturgo e scrittore Sal Costa al Giardino Pippo Fava di Catania e si è parlato dei suoi inizi, della sua terra, della passione per la scrittura, della crisi del mondo culturale e dei suoi prossimi impegni a teatro e come scrittore.

Com’è nata l’idea di scrivere per il teatro “Il Segreto di Audrey Hepburn” in scena dal 6 Agosto al Giardino Fava di Catania, regia di Elio Gimbo e cosa racconta lo spettacolo?

L’attrice Audrey Hepburn

L’idea è nata da una discussione avuta con Elio Gimbo, il regista di Fabbricateatro, nonché regista di questa commedia, in occasione di una scampagnata, sarà stato il 25 aprile o il primo maggio, non ricordo. Parlavamo di ebraismo, tirammo in ballo Anna Frank e da lì arrivammo alla Hepburn. Elio mi disse che la Hepburn era nata nello stesso anno e a poca distanza da Anna Frank, in Olanda e che era in uscita una biografia che raccontava la Hepburn negli anni del secondo conflitto mondiale. “Chissà, mi disse, potremmo lavorarci su”. Io, nonostante sapessi poco della Hepburn, non so, mi venne a galla quel suo sorriso malinconico e il sospetto che qualcosa la tormentasse, probabilmente la stessa cosa che le causò il cancro allo stomaco di cui morì a soli 63 anni. Insomma, mangiavo, bevevo, chiacchieravo e intanto la struttura della commedia mi montava dentro, ancora priva di particolari, anzi addirittura priva di contenuti ma, come dire, l’involucro era fatto. La lettura della biografia confermò la mia intuizione e mi diede gli strumenti per la stesura. La mia Hepburn è matura, ha già vinto l’Oscar per “Vacanze romane”, sta girando “Colazione da Tiffany”. Da contratto con la Paramount deve rilasciare interviste per pubblicizzare il film. Un giornalista le fa domande scomode e poco pertinenti al film e scatena in lei una tempesta emotiva. Il giornalista sarà cacciato, ma ha aperto il famigerato vaso di Pandora. Fluiscono ricordi, emozioni, materiale faticosamente rimosso. E su tutto la figura di una madre forte e ingombrante”.

Sal Costa ed il regista Elio Gimbo

Quando è nata in Sal Costa la passione per la scrittura?

Volevo fare il veterinario, no, meglio la rock star, e, insomma, a vent’anni incontrai Kerouac e me ne innamorai. La verità è che mi innamorai della letteratura. Cominciai a leggere e non ho più smesso. È quello che dico sempre a chi mi chiede: Come si fa a diventare scrittori? Leggere, leggere forsennatamente, con spirito  critico, facendo attenzione ai contenuti ma anche alla forma. Leggere anche il cinema e il teatro, non so, come vedessi scritto ciò che senti e come se scrivessi i movimenti sulla scena. Una specie di mania. Ritmo e sintesi è la poesia. Per quello ho cominciato da lì. Poi appunti di viaggio, racconti brevi e finalmente il primo romanzo”.

Ci parli della sua terra, la Sicilia.

Un vestito scomodo che fa tanto figo. Cioè, il bello di star male. L’estrema flessibilità di regole che in qualche maniera ti fa sentire libero, anche se è la stessa flessibilità che permette ai peggiori di farla da padroni. E comunque, la flessibilità è un pregio. Come si dice: caliti juncu ca passa la china e noi siciliani siamo ancora qua, fra una piena e un’altra. Resilienza?“.

Ancora lo scrittore

Un suo pensiero sui giovani…

Penso che la gioventù sia sprecata in mano ai giovani. Ma è sempre stato così. A parte questo, credo che esista passione e talento in ogni generazione e che i giovani siano il motore del cambiamento, non sempre in bene storicamente, ma culturalmente indispensabili”.

Dove va oggi il teatro, la scrittura?

Dopo l’ubriacatura delle avanguardie degli anni ’60 e ’70, credo si torni al classico, ovviamente mediato da quel che si può salvare della lezione delle avanguardie. Insomma un classico arricchito e adattato ai tempi. Mi piace, non è male”.

Rosalba Bentivoglio e Sal Costa

La crisi della cultura in Italia, in Sicilia. Quali dovrebbero essere gli interventi per dare nuova linfa e rilanciare l’intero comparto?

Non credo ci sia crisi, o, se c’è, c’è sempre stata. Ci si deve adattare ai tempi, ai grandi cambiamenti dovuti al correre della tecnologia. Cambia il modo di esporsi più che il linguaggio. E comunque il senso di crisi stimola la creatività, o non si spiegherebbe come mai in Italia ci sia più fermento che in Danimarca o in Norvegia”.

Cos’è per lei la gioia, la vita, l’amore?

Mi vengono in mente i versi di Vinicius De Moraes: vivere non è cercare dei perché, ma usar la bocca, gli occhi e il cuore. Ci provo. Ogni giorno”.

Chi è Sal Costa nel quotidiano?

Un ragazzo che si guarda allo specchio e non riconosce il vecchio che ha davanti”.

Sal Costa durante una manifestazione

Un incontro particolare e che ha cambiato la sua vita…

“Se parliamo di incontri, ce n’è uno che mi ha davvero segnato. Avrò avuto sedici anni. Mio padre mi mandò a prendere ripetizioni di latino e greco da un certo professor Bruno. Professore in pensione, latinista e grecista, ricordo lavorava a un vocabolario greco-siciliano. Il professore viveva in una casa antica, in centro, una traversina senza sbocco dalle parti di piazza Rosolino Pilo, una grotta piena di libri e male illuminata, per niente arieggiata, puzza di muffa e di stantio. Il professore era peggio della casa. Grasso, coi capelli incrostati, tirati indietro a suon di pessima brillantina, occhiali spessi da miope, i classici fondi di bottiglia e il labro inferiore, carnoso e sporgente, sempre insalivato. Io volevo morire, ma vaglielo a raccontare a mio padre, sia benedetta la sua memoria. Per farla breve, quell’uomo cambiò il corso della mia vita, mi guidò all’età matura. Mi aprì un mondo. Dopo solo due lezioni lo vedevo bello e la sua tana accogliente. Mi chiedeva di declinare, che so, un aoristo passivo del tal verbo che io speravo quasi di sbagliare perché era da lì che partivano le sue dissertazioni sulla linguistica e di come sia inestricabilmente legata non solo alla cultura d’un popolo, ma al quotidiano, alla vita pratica in ogni suo aspetto. Molti degli studi che ho affrontato per scrivere Il Mercante di Dio erano approfondimenti su cose che lui mi aveva raccontato. Aveva una cultura immensa. Ti parlava, come se ci fosse nato e cresciuto, della Roma del primo secolo, o della Grecia del IV secolo avanti Cristo. Sapeva tutto: usi, costumi, vizi e virtù. Insomma, credo di essere una costola di quell’uomo. Mi trasmise l’amore per la storia e per la letteratura, trasformò un bambino in un uomo appassionato. Mio figlio si chiama Bruno”.

Il romanzo “Il Mercante di Dio”

Quali soddisfazione le ha dato il suo ultimo romanzo, “Il Mercante di Dio” che racconta i diciassette anni perduti della vita di Gesù Cristo?

“Grandi soddisfazioni, davvero. Il libro vende bene, e quel che più conta, piace. Piace alla critica e alla gente. Sono riuscito a parlare di Gesù, da laico, catturando atei e cattolici. In qualche modo sono riuscito a proiettare la mia esperienza di padre e di figlio in un contesto solo apparentemente distante da quello attuale. Insomma, scrivere il Mercante mi ha dato l’opportunità di sviscerare temi per me importantissimi: la paternità, il viaggio, la spiritualità, l’amicizia, il sentimento e, su tutto, l’andamento storico, il suo ciclico ripetersi con attori diversi ma simili, prototipi che vanno bene per tutte le ere. Per quello il successo del libro: i lettori riescono a specchiarsi nei personaggi, ma anche nella cultura che li contiene, ad avere empatia, a soffrire e gioire con loro, ad abbracciare il loro “personal Jesus” (cit. Depeche Mode)”.

A cosa sta lavorando, quali i prossimi impegni? Un sogno da realizzare?

Sto lavorando a un nuovo romanzo. Ho già l’incipit e un sacco di idee che mi frullano per la testa. Diciamo che sono ancora in fase di elaborazione. Nel frattempo porto in giro due libri: Il Mercante di Dio e Sicilia D’autore e, come ben sai, ho appena scritto la commedia Il segreto di Audrey Hepburn per la regia di Elio Gimbo. Il sogno da realizzare è scrivere per il cinema”.

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