Cultura

L’organizzazione della Pasqua ebraica avveniva alla vigilia della solennità stessa; in essa si preparava la cena pasquale all’ora sesta, cioè a mezzogiorno. A quell’ora doveva sparire dalle case ogni pezzo di pane lievitato, simbolo della corruzione, ed essere messo in tavola solamente pane azzimo, che stava a rappresentare le tribolazioni degli Ebrei, ma soprattutto la rottura con le idee e i costumi egiziani.

L’evangelista Giovanni dichiara in modo esplicito che <<era la parasceve della Pasqua, verso mezzogiorno>> (Gv19,14), cioè la vigilia, e che gli ebrei non avevano ancora celebrato la cena. Gli altri evangelisti invece rappresentano l’Ultima Cena di Gesù come quella tipicamente pasquale, cioè il Giovedì sera. Il 14 di Nisan, (Mt 26,2; 26,17-29; Mc 14,12-25; Lc 22,7-23; Gv 13,21-30) doveva essere l’inizio della Pasqua e non il Venerdì come suppone Giovanni. Per risolvere questa difficoltà sono state escogitate dagli studiosi molteplici spiegazioni abbastanza complesse. Una di queste è stata proposta dalla studiosa francese Annie Jaubert (1912-1980 – La Date de la Cène, Calendrier biblique et liturgie chrétienne. Collection des « Etudes Bibliques ». Paris, Gabalda,1957), la quale suppone che Gesù e larghi strati popolari di quel tempo seguissero un calendario liturgico diverso da quello ufficiale. Di ciò si ha avuto notizia nel 1947 con la scoperta dei manoscritti di Qumran, che attestano che i componenti della comunità essena seguivano un calendario diverso da quello comune.

Di fronte alla serietà con cui i Vangeli canonici raccontano gli avvenimenti dell’Ultima Cena, gli Atti apocrifi di Giovanni (94-96), invece, introducono nel contesto del sacro convito una danza eseguita dagli Apostoli mentre Gesù la dirigeva e intonava un inno al quale tutti, ad ogni fine versetto, rispondevano <<amen>>. Varie frasi di quest’inno pasquale, probabilmente introdotto da qualche setta cristiana, sono interpretate in senso eterodosso, però nell’insieme si riceve l’impressione che sia un ripensamento assai profondo della vita di Gesù. Melitone di Sardi (+190), nelle sue Omelie pasquali, ed altri scrittori a lui contemporanei, confermano ciò e, addirittura, scrivono frasi assai simili.

L’autore degli Atti di Giovanni scrive: Prima che fosse preso dagli empi giudei, la cui legge trae origine da un empio serpente ci raccolse tutti e ci disse: Mentre non sono stato ancora consegnato nelle loro mani, inneggiamo al Padre e così andiamo verso ciò che ci attende. Ci comandò di fare come un giro, tenendoci l’un l’altro le mani; quindi Lui si mise in mezzo e disse: <<Gloria a te, o Padre!>. E noi muovevamo in circolo, rispondendogli amen. <<Gloria a te, Logos! Gloria a te, Grazia! Amen>>. <<Gloria a te, Spirito! Gloria a te o Santo! Gloria alla tua gloria! Amen>>. <<Noi ti lodiamo, Padre, ti ringraziamo, o luce in cui non c’è tenebra. Amen>>. E ora dirò perché ringraziamo:<<Voglio essere salvo e voglio solcare. Amen>>>. <<Voglio essere sciolto e voglio sciogliere. Amen>>. <<Voglio essere ferito e voglio ferire. Amen>>.<<Voglio essere generato e voglio generare. Amen>>. <<Voglio mangiare e voglio essere mangiato. Amen>>. <<Voglio essere pensato, io che non sono tutto pensiero. Amen>>. <<Voglio essere lavato e voglio lavare. Amen>>. <<La Grazia danza. Voglio suonare il flauto. Danzate tutti. Amen>>. <<Voglio lamentarmi, piangete tutti. Amen>>. <<L’unica ogdoade salmeggia con noi. Amen>>. <<Il numero dei dodici danza in alto. Amen>>. <<Al tutto è concesso in alto di danzare. Amen>>. <<Chi non danza, non sa cosa succede. Amen>>. <<Voglio fuggire e voglio rimanere. Amen>>. <<Voglio ornare e voglio essere ornato. Amen>>. <<Voglio essere unito e voglio unire. Amen>>. <<Una casa non ho e case io ho. Amen>>. <<Un luogo non ho e luoghi io ho. Amen>>. <<Un tempio non ho e templi io ho. Amen>>

<<Una lampada son io per te che mi guardi. Amen>>. <<Uno specchio son io per te che mi intendi. Amen>>. <<Una porta son io per te che mi bussi. Amen>>. <<Una strada son io per te, passeggero. Amen>> (At. Giov. 94-96).

L’evangelista Matteo, nel descrivere sobriamente l’Ultima Cena, dice: <<Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: <<Dove vuoi che ti prepariamo per mangiare la Pasqua?>>. Ed egli rispose: <<Andate in città, da un tale, e ditegli: <<Il Maestro ti manda a dire: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli>>. I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù e prepararono la Pasqua. Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici. Mentre mangiavano disse:<<In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà>>. Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: <<Sono forse io, Signore?>>. Ed egli rispose: <<Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà. Il Figlio dell’uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell’uomo viene tradito: sarebbe meglio per quell’uomo non essere mai nato!>>. Giuda, il traditore, disse: <<Rabbi, sono forse io?>>. Gli rispose: <<Tu l’hai detto>>. Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: <<Prendete e mangiate; questo è il mio corpo>>. Poi rese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro dicendo: <<Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti in remissione dei peccati. Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio>>. E dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi>> (Mt 26,17-30; cfr. Mc14,12-26; Lc 22,7-23; Gv 13,21-30; 1Cor 11,13-25).

L’evangelista però non specifica quali fossero gli inni, mentre in Lc 22,39, omettendo ogni riferimento agli inni, evidenzia il tema della preghiera. Forse l’autore degli Atti di Giovanni ha voluto riferire gli inni omessi dall’evangelista. Questo inno, che non sembra avere un filo logico, certamente sarà sgorgato dall’affetto nutrito verso la comunità. La volontà di Gesù: <<Voglio>> dà il tono generale. Egli, il Maestro, vuol salvare, sciogliere l’umanità dai vincoli del peccato, ferire di amore, generare lavando col battesimo, nutrire con l’eucaristia. Egli vuol essere tutto per i cristiani: essere udito, pensato, pianto nella sua passione, essere specchio, lampada, porta per la quale tutti debbono passare. E’ appunto per questa denominazione di <<Gesù porta>>, pronunziata da <<Giacomo fratello del Signore>> (Gal 1,19) davanti al popolo nell’area del Tempio, che lo fece divenite martire. L’autore delle Odi di Salomone (I/II sec. d.C) ricorre anche lui alla figura di <<Cristo specchio>>: <<Ecco: il Signore è nostro specchio: aprite gli occhi e riguardatevi in lui. Imparate a riconoscere le vostre facce! Glorificate altamente il suo spirito! Cancellate il colore della vostra faccia, amate la sua santità e rivestitela. Allora sarete senza biasimo in ogni tempo con lui. Alleluja!>> (n°.13).

L’Ultima CenaMosaico del XII sec. Duomo di Monreale

Guidati dalle Omelie pasquali di Melitone di Sardi e dei suoi seguaci, che usarono un linguaggio simile, crediamo che una parte del discorso di Pietro, fatto alle vedove di Roma, secondo gli Atti apocrifi di Pietro (20), sia un ripensamento simile a quello degli Atti di Giovanni, rievocato specialmente in occasione della Pasqua.

L’autore di questi Atti scrive che: <<Egli ha mangiato e bevuto con noi; Lui che non aveva né fame e né sete. Lui ha portato e sofferto gli oltraggi per noi; è morto e risuscitato a causa nostra… Una volta non era udito, ma ora è conosciuto. Lui, già impassibile, ora è con noi esperto nel dolore. Esistente prima dell’eternità, ora è compreso nel tempo. Lui, il massimo principio di ogni potere, ora è consegnato ai principi… Fratelli, questo è il Gesù che voi possedete: porta, luce, via, pane, acqua, vita, resurrezione, refrigerio, pietra preziosa, tesoro, seme, abbondanza, grano di senapa, vigna, aratro, grazia, fede, verbo. Egli è tutto e nessun altro è maggiore di lui. A lui la lode nei secoli dei secoli. Amen>> (At. Pt. 20).

In questo brano le allusioni alla vita di Gesù non mancano. Il dolore, la passione, l’iniquo giudizio, tenuti in mano dai fedeli nell’eucaristia, sono divenuti vita del cristiano. Epifanio di Salamina (310-403), riportando una frase del Vangelo degli Ebioniti, per mostrare la deviazione di quella setta nella pratica eucaristica, scrive: <<Abbandonando il vero ordine delle parole, egli,   alterando la frase, sebbene sia chiara da tutto il contesto, farà dire ai discepoli: Dove vuoi che prepariamo da mangiare la Pasqua? Al che egli (Gesù) rispose: Forse che io ho desiderato mangiare la carne in questa Pasqua?>> (Ep. Adv. haer. 30,22,4).

La pratica ebionita consisteva nel non mangiare l’agnello che, invece, era essenziale nelle cerimonie e che Gesù stesso aveva osservato. L. Moraldi, riportando questo testo, annota che <<si potrebbe tradurre  anche: Forse che io ho desiderato questa Pasqua per mangiare la carne?>>[1], che avrebbe tutt’altro significato. Però di fatto troviamo che nel VI sec. nella grotta del Getsemani si era soliti far sostare i pellegrini per mangiare, escludendo in modo categorico la carne; ciò sembra un residuo della vecchia tradizione ebionita. Epifanio di Salamina,  che ci ha fatto conoscere questo vangelo apocrifo, a proposito dell’istituzione del sacrificio eucaristico nell’Ultima Cena, riporta un frammento che fa dire a Gesù: <<Vengo a mettere fine al sacrificio, e se non cessate di sacrificare, la collera non si allontanerà dal vostro capo>> (Ep. Adv. haer. 30,16). A giudicare da questo brano, l’opera doveva essere stata scritta per sostenere qualche setta ostile al sacrificio eucaristico.

La sala del Cenacolo di Gerusalemme, oggi

Negli Atti di Pietro si racconta che i cristiani di Roma <<offrirono a Paolo del pane e dell’acqua per il sacrificio, perché, dopo la celebrazione, ne distribuisse a ciascuno>> (2). 

L’autore ci vuol fare sapere che presso alcune sette veniva celebrata l’eucaristia sostituendo il vino con l’acqua. Questa e tutte le pratiche encratiche sono state sempre ripudiate e condannate dalla grande Chiesa. A prima vista, queste tradizioni diverse da quelle tramandateci dalla Sacra Scrittura, sia di non mangiare la carne a Pasqua, sia di celebrare l’Eucaristia con l’acqua invece che col vino, possono sembrare delle innovazioni arbitrarie, ma guardate più da vicino mostrano radici molto profonde.

Alcune sette religiose, come quella dei nazarei, avevano spinto il loro ascetismo fino a non bere mai vino e a non mangiare mai carne per essere in stretta amicizia con Dio. Nonostante le parole di Gesù, mai si piegarono ad interrompere le loro astensioni credendole migliori e più giuste dell’insegnamento della Chiesa. Le loro idee non morirono tanto presto e ciò lo notiamo anche dal riflesso lasciato nell’arte. Vi sono molte rappresentazioni che passano come Ultima Cena del Signore dove sulla tavola al posto dell’agnello c’è rappresentato il pesce; ne è testimonianza il mosaico del VI sec. che rappresenta una Cena pura realizzato per ordine dei Goti ariani. in Sant’Apollinare Nuovo di Ravenna

La  Cena puraRavenna – S. Apollinare Nuovo – Mosaico del V sec.

Giovanni Damasceno (676- 749)  nella II Omelia sulla Dormizione di Maria indica a Gerusalemme il Sion come luogo della Cena e a tal proposito così scrive: <<E’ su questo monte che Cristo il legislatore pose fine alla Pasqua simbolica, e su questo monte il Dio dell’Antica e della Nuova Alleanza ha trasmesso la vera Pasqua. Qui l’Agnello di Dio, che pose su di se i peccati del mondo, ha iniziato i discepoli al mistico banchetto e per essi si è immolato come vitello grasso ed ha spremuto l’uva della vera vigna>> (n. 4).

Diac. Sebastiano Mangano


[1] Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di Luigi Moraldi, Piemme 1997, 30, 22, 4.

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