MusicaSpettacolo

Quanto durerà il dopo “Tutti a casa” per il Coronavirus e quanto tempo ci vorrà per i musicisti, per l’intero comparto, perché si torni alla normalità dopo la fine dell’emergenza? La questione, che accomuna molti lavoratori ed operatori dello spettacolo, preoccupa particolarmente la categoria dei musicisti. L’attività concertistica – per definizione – comporta l’assembramento ed è evidente che sarà una delle ultime attività che riprenderanno a tempo pieno. Ecco quindi l’ansia di avere la prospettiva di un periodo molto prolungato di stop. L’emergenza Covid-19 da oltre due mesi ha bloccato tutto e per un musicista, che vive facendo concerti, prove in sala, registrazioni, tenendo lezioni di musica, rappresenta un colpo psicologico ed economico molto difficile da digerire.

Dopo aver sentito attori, registi, direttori artistici di piccole sale teatrali e di compagnie di danza, stavolta ho voluto ascoltare il parere, l’opinione sull’argomento di Mario Gulisano (musicista, compositore, operatore culturale e docente catanese, componente del trio “Oi Dipnoi”), Marcello Leanza (sassofonista e flautista catanese) e Tania Cardillo (pianista e docente) che parlano del loro difficile momento e di cosa ha provocato nella loro vita e nel loro settore l’emergenza Covid-19.

Mario Gulisano

“In un momento, per tutti noi artisti, drammatico e cruciale, – spiega Mario Gulisano in cui assistiamo al collasso di quel piccolo pezzetto di mondo che molti di noi hanno coltivato privatamente nel tempo e condiviso con la propria comunità, mi preme fare una riflessione su come potremo, domani, risollevarci e continuare ad alimentare le speranze per l’arte di sopravvivere e continuare a rendere migliori le nostre vite.

Ho avuto fin adesso la fortuna di poter lavorare in un settore ricco di stimoli e creatività, la musica folk e world. Con amici fidati, compagni di viaggio, colleghi e musicisti incontrati in giro per il mondo abbiamo creato in Sicilia una realtà come l’Alkantara fest, che da 17 anni organizza un festival dedicato alle tradizioni musicali europee, con le radici nel passato e lo sguardo rivolto al futuro. Lo shock causato dall’epidemia e il conseguente lockdown hanno paralizzato il mondo e, anche se in questi giorni si intravede lo spiraglio di una riapertura alla vita sociale, gli strascichi saranno devastanti a tutti i livelli, e probabilmente il danno arrecato al nostro settore, già in precario equilibrio da sempre, sarà molto più pesante e duraturo nel tempo. È inevitabile che il settore culturale potrà riemergere solo all’ultimo momento nella vita pubblica, e anche quando ciò avverrà, sarà difficile e molto lento il processo in cui la gente riacquisterà fiducia e potrà tornare a riempire le piazze, i locali e i teatri, riappropriandosi di ciò che ha dovuto mettere da parte per necessità. Molti di noi, musicisti e operatori, nel frattempo purtroppo non ce la faranno e scompariranno dal settore. È per questo che alcune misure del governo nazionale e regionale stanno cercando di tutelare le categorie più deboli creando apposite misure di intervento per sostenere il nostro mondo. È il momento di svegliarsi, di non rinchiudersi nella nostra torre d’avorio e di aprirsi anche al meccanismo istituzionale che a modo suo ci vorrebbe tutelare. Numerose iniziative pubbliche e private, anche se dovranno ben presto calibrare il tiro, stanno cercando di sostenere gli artisti, ma noi dobbiamo farci trovare pronti, avere le carte in regola, non vegetare e soltanto lamentarci. Complice forse la mia cultura umanistica infatti, ho sempre creduto nella “cosa pubblica”. Anche se preferisco lavorare in autonomia dal potere politico di turno, sono pienamente convinto che non si possa prescindere dal supporto e dalla collaborazione con l’ente pubblico. Non ho mai considerato chi ci amministra un nemico, un controllore, un estraneo, ma una parte fondamentale del processo in un settore fragile ma ricco di contenuti, il cui patchwork è molto complesso. L’arte, proposta dal talento e sorretta dal supporto pubblico, potrà avere solo così una speranza di tornare a risplendere. È il momento che gli amministratori si stanno riavvicinando a noi e ci chiedono una mano, un consiglio su come salvarci. Hanno finalmente capito che anche loro sono legati a noi, condividono la stessa sorte. Sparita l’arte, spariranno pure loro, e comunque si impoverirà drasticamente il livello culturale del nostro Paese. Nessuno lo potrà sopportare”.

Mario e “Oi Dipnoi”

È il momento di ripartire dalle comunità locali, di creare arte e bellezza a partire dal territorio, di guardarci in faccia, fare le squadre e mettere palla al centro. Ma dobbiamo ripartire più sani, più motivati, più sinceri, più veri…. più artisti. Volenti o nolenti ci scrolleremo di dosso la polvere del presente, gli abbagli del sistema, i miraggi di facili guadagni o i sogni di gloria a cui forse ci stavamo fin troppo abituando, e ricominceremo da capo. Abbandoneremo per un po’ i grandi palcoscenici, e magari torneremo a cantare nei villaggi, fra la gente, nelle scuole, nelle comunità rurali… sarà una cura ricostituente, dimagrante, ma ci riavvicineremo tra noi, come una comunità, e torneremo a contatto col pubblico, in una dimensione più umana, più vera. E poi ricostruiremo un dialogo, fatto di istanze e necessità, a cui l’arte ha da sempre cercato di dare voce, di fornire una risposta”.

I giovani saranno al centro – conclude Gulisano – di questo processo, perché a loro appartiene il mondo. Simbolicamente, anche se dolorosamente, l’epidemia ci sta comunicando questo messaggio e noi abbiamo il dovere di ascoltarlo. Ho avuto modo di investire su questi valori per anni e credo profondamente che coltivarli e svilupparli ci potrà garantire una speranza. Ed è così che vivo questo momento di passaggio, con i piedi radicati nel passato e lo sguardo rivolto al futuro”.

“L’alzata di scudi dei lavoratori dello spettacolo – ribadisce Marcello Leanza – è assolutamente condivisibile e tutte le posizioni, anche quando tra loro contrastanti, meritano attenzione e rispetto. Ho letto le analisi, amare e dignitosissime degli operatori teatrali circa la condizione attuale della loro categoria. Massima solidarietà: il Teatro e la Danza, a mio avviso, restano i comparti più delicati e necessitano di attenzioni e supporti speciali. E i musicisti? Questa categoria, essendo molto composita, richiederà un’analisi più approfondita. Premetto che sarò ben lieto di accogliere eventuali contraddittori, non ritengo di possedere la verità assoluta, né di essere aggiornato in tempo reale su eventuali cambiamenti avvenuti nel frattempo.

Marcello Leanza (Ph. Mario Cicala)

Non me ne vogliano gli insegnanti, i musicisti di enti stabili, gli hobbisti e i dopolavoristi: per motivi, spero comprensibili, non sono tenuti in conto in questa sintetica analisi: è ai musicisti a tempo pieno (o almeno ad una parte di essi), che deve essere rivolta la maggiore attenzione. Ho letto da più parti che “chi non ha maturato almeno 30 serate regolarmente dichiarate all’Enpals e ha richiesto il bonus straordinario è un furbetto o non può considerarsi un vero musicista”. Bravi, belle parole. Ricordo che, in tempi normali, il limite minimo di serate annue per maturare uno straccio di pensione è almeno quadruplo, quindi 120. Non mi risulta che esista la clausola: “in caso di pandemia o catastrofi naturali di uguale entità l’Inps elargirà in via straordinaria un obolo di 600 euro anche ai musicisti che hanno pagato le tasse per sole 30 serate”. E adesso qualcuno mi dirà chi, a parte i pianobaristi, gli impiegati in enti stabili o Zucchero Fornaciari in una tournée mondiale di 12 mesi riesce a fare 120 concerti in un anno. O anche “soltanto” 30. Anche Note Legali ha affrontato il problema: https://www.notelegali.it/approfondimento/le-giornate-di-prova-nella-previdenza-dello-spettacolo-e-in-particolare-le-prove-autonomamente-svolte-di-andrea-michinelli/
Certo, i furbetti ci sono, eccome, anzi: vere iene con zanne e artigli. Ci sono i mantenuti dalla Siae, che per quattro decenni almeno ha arricchito faccendieri e autori mediocri e ha affamato i veri musicisti, riducendoli a elemosinanti. Ha fatto chiudere locali o scoraggiato piccoli gestori imponendo veri e propri balzelli con una ferocia ispettiva inaudita”.

Ci sono poi i dopolavoristi (o per meglio dire, doppiolavoristi), – continua Leanza –che non hanno versato un centesimo di tasse e hanno accumulato fortune in decenni di attività al nero. E si potrebbe continuare. Ma che dire di quelle migliaia di musicisti che si fanno il culo per mettere su un repertorio originale, che studiano 8 ore al giorno per essere competitivi sullo strumento, che impiegano un anno per fare uscire il proprio disco a proprie spese con brani originali, che formano eserciti di allievi a cui con passione e fatica cercano di instillare i sacri e sani princìpi della Musica..Gente cresciuta a Jazz e Prog, Blues e Rock, mica con Amici e X Factor..

Ancora Marcello Leanza

Di questi sfigati cosa ne facciamo? Li declassiamo a furbetti e li lasciamo morire di fame?  Li vogliamo lapidare perché non seguono le ultime direttive dell’Inps, o sono all’oscuro dei pacchi alimentari della Siae o non sanno nulla di royalties, perché magari sono li a trascrivere il solo di Coltrane di Giant Steps? Travolti dalla rivoluzione digitale, a cui cercano goffamente di sottrarsi, non potendo, sempre più isolati nei loro studioli devono anche subire il sarcasmo degli pseudo-musicisti-promoters nerd che invece conoscono a menadito le regole su “come “vendere uno spettacolo, ma nulla sanno sul “perché”. E qui si parla di “valori”, non di “generi”. Si parla di adesso, non di età dell’oro. A ben guardare, il problema della Musica e dei Musicisti italiani è da inquadrare nella irrisolta “questione morale” che non risparmia praticamente nessun settore del nostro disgraziato Paese. Andiamoci piano con i giudizi, è soltanto con la propria coscienza che ognuno di noi deve fare i conti”.

La pianista Tania Cardillo

Nessuno avrebbe mai previsto una situazione di emergenza di questo calibro. – aggiunge la pianista e docente Tania CardilloHo sempre cercato i lati positivi di qualsiasi situazione e certamente posso affermare che questa emergenza mi ha dato la possibilità di stare con la mia famiglia tutto il giorno per tanti giorni, occasione che prima non avevo mai avuto. Psicologicamente un pianista è abituato per sua natura a stare da solo ma dovere rimanere a casa obbligatoriamente è una situazione molto diversa. La mia casa che prima era per la maggior parte della giornata vissuta da altri elementi della famiglia solo in alcune parti della giornata, adesso è “sovrappopolata” senza orari.  In tutto ciò è diventato complicato trovare il tempo e una serena disposizione d’animo per studiare. Nonostante queste difficoltà, in attesa che si possa ricominciare a vivere in società, seppur con nuove regole, ho deciso di dedicare il mio lavoro quotidiano alla lettura di un repertorio nuovo da cui spero di poter trarre uno o più cd con le registrazioni-testimonianza di questo surreale periodo. Difficile per me, dopo praticamente due mesi di clausura, suonare su un pianoforte che si sta via via scordando ed attendo di potere presto accogliere il mio fidato accordatore”.

“Fenìlya Trio”

“Una bella idea quella di alcuni musicisti – conclude la pianista – di condividere video on line di esecuzioni o di mandare in onda conferenze o lezioni. Personalmente, nonostante senta molto la mancanza delle prove con il “Fenìlya Trio”, non ho sposato questa modalità di incontri. Invece, mi collego giornalmente con i miei alunni perché non manchi loro la regolarità delle lezioni. Nel frattempo, ragiono sulle prospettive future, soprattutto dei “Pomeriggi musicali a Gravina”, per essere pronta a riprendere l’attività appena sarà possibile. Nulla di chiaro nella mia mente ancora, ma solo varie possibilità da sviluppare”.

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