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Crisi di un settore, quello dello spettacolo dal vivo. paure, incertezze, proposte e soluzioni – dalle più semplice alle più moderne – per la ripresa dopo il lockdown per l’emergenza Covid-19. Tante sono le opinioni, i punti di vista di attori, registi, scrittori, musicisti, gestori di piccole e grandi sale, danzatori, cantanti, artisti vari. Soluzioni, speranze, paure, dibattiti in streaming, pessimismo ed ottimismo si incontrano, si interfacciano cercando di intravedere un futuro che coinvolge un comparto numeroso e che attende di ripartire. Al più presto.

Oggi a discutere sull’argomento a dibattere sulle conseguenze dell’emergenza Covid-19 e sulle speranze di ripresa del settore ho interpellato Lina Maria Ugolini (scrittrice, poetessa e contafiabe, docente di Poesia per musica, Storia del teatro musicale e Drammaturgia musicale), Cinzia Caminiti Nicotra (attrice ed autrice catanese, cantante di musica popolare siciliana, ricercatrice in ambito etno-antropologico e presidente di Schizzd’Arte), Egle Doria (attrice e responsabile dell’Associazione “Madè”) ed Elisa Franco (attrice, regista e direttore artistico della compagnia “La Carrozza degli Artisti”).

“Nei periodi di crisi gli artisti – dichiara Lina Maria Ugolini -hanno il dovere d’accendere l’intelletto e l’ardore del cuore, azzardare ipotesi e azioni con balzi impensati di creatività. Il minuscolo virus che ci ha schiacciati tutti su uno schermo, resi uguali in una sopravvivenza circoscritta, depauperati da ciò che ognuno di noi ha costruito nella vita, oggi impone la ricerca o la riscoperta di nuovi linguaggi. A ragione come scrittrice e drammaturgo sento di stendere queste righe dedicandole a un Teatro spento nelle luci, diviso da un’argine ineluttabile, segnato nel presente da una ferita storica.

Lina Maria Ugolini

Cosa si vedeva in scena solo qualche mese fa? A quale pubblico si rivolgevano gli spettacoli? A parte i Classici, spesso oltraggiati da regie prevaricatrici nei confronti del testo, la drammaturgia contemporanea cedeva a provocazioni per un pubblico assuefatto a un consumismo culturale bulimico e frettoloso, composto il più delle volte da conoscenti e amici indispensabili a fare numero in sala. Nel quotidiano si offrivano eventi nell’opulenza di un’abbondanza da snobbare. Adesso siamo costretti a vivere in carestia, la cosiddetta Fase 2 formalizza una libertà negata. Fino a quando il virus continuerà a circolare, saremo asserviti a una subdola dittatura velenosa per le relazioni che imporrà di tappare bocca e naso con il cerotto della mascherina. Fragilità e Malattia. Ecco le Allegorie della frattura sociale e umana aperta in questo millennio”.

“Che fare? – conclude la Ugolini – In un tempo prossimo, attori, registi e drammaturghi saranno chiamati a riscoprire la ricchezza della povertà. Il Teatro, specchio della vita, non può restare tiepido a una tale rivoluzione dei comportamenti sociali. Sarà chiamato ad assorbire il reale e ad agire nell’immaginario di una finzione quanto mai vera e finanche surreale. La privazione nell’arte non ha mai generato inerzia ma bisogno di nutrirsi di domande. Il Teatro contemporaneo dovrà conferire forza deflagrante a un nuovo spazio sanificato a una drammaturgia della distanza rivolta a un pubblico non più di superficie ma meditativo. Immagino che si potranno prevedere dei ristretti cenacoli per spettatori interessati a sentirsi critici nei confronti di una necessaria oggettività delle proposte culturali, asserzione che induce a ricordare Bertolt Brecht, la funzione, nell’impianto della sua poetica, assegnata ai cartelli di riflessione, ai gesti a vista degli attori. Debitore di questa memoria critica, il teatro dovrà applicare un concetto di distanza senza ipocrisie, come interlinea di platea e palcoscenico. Giovandosi della forza della metafora progetterà un distanziamento funzionale al senso inquieto della parola drammatica. Ciò che ci attende è una sfida artistica. Non occorre forse un bianco tra i vocaboli per renderli leggibili, una frazione di silenzio tra le parole, per renderle udibili? S’interrogava già un tempo per noi il poeta Edmond Jabès”.

“Stiamo vivendo – aggiunge Cinzia Caminiti Nicotraun periodo durissimo: se penso che il 6 Marzo eravamo in teatro a provare “Molly Bloom” lo spettacolo che sarebbe andato in scena nel fine settimana mi viene da gridare. Quel giorno abbiamo attaccato fuori un cartellino, scritto a mano e ce ne siamo andati pensando che saremmo tornati presto. Ho lasciato tutto lì in camerino, i trucchi, le calze, il ricambio e l’acqua sulla mensola davanti allo specchio… tutto lì e, manco fosse caduta l’atomica, non ci sono più tornata. Tristezza e rabbia. Tristezza perché per un attore abbandonare così il proprio teatro è come per un capitano abbandonare la nave, rabbia perché più tempo passa più mi rendo conto che sarà molto difficile riprendere i fili di una matassa per sua natura già ingarbugliata”.

Cinzia Caminiti Nicotra

Noi teatranti, attori, lavoratori dello spettacolo siamo sempre stati “precari” e sempre lo saremo perché di noi, come categoria, allo “Stato” e comunque alle Istituzioni non gliene è fregato mai granché. Sirò di più: E’ arrivato questo “cataclisma”? Siamo stati i primi a chiudere e saremo gli ultimi a riaprire pure dopo le Chiese, e anzi credo proprio che in questo momento rappresentiamo un peso per chi deve ascoltarci, darci retta, tenerci in considerazione. In fondo il teatro, la cultura, la bellezza non si mangiano e non aiutano a mangiare… Poi c’è chi gli fa notare che il teatro, volente o nolente, dà da mangiare a tanti tecnici, maestranze, scenografi, costumisti. Di tutto c’è in teatro, una marea di gente che campa di questo e glielo devi ricordare ché da soli non ci arrivano e allora si svegliano e ci stanno ad ascoltare. Non so fino a che punto, però, si porranno seriamente il problema. E se se lo porranno a mio avviso lo faranno pensando ai grandi spazi, agli attori famosi, alle grosse compagnie, ai circuiti consolidati e a Catania a parte quelli ufficiali e riconosciuti che ne sarà delle piccole realtà? Degli attori che si gestiscono da soli? Dei piccoli gruppi?“.

“La prova di quello che dico – conclude la Caminiti Nicotra – sta nella proposta del Comune di Catania di organizzare #Plateacomune chiedendo ad attori professionisti di lavorare da volontari. Sono certa che non lo hanno fatto per mancarci di rispetto ma semplicemente perché non hanno pensato (e non è certo una novità) all’attore come ad un lavoratore, un individuo che si nutre e nutre la propria famiglia col frutto del proprio lavoro. E senza volerlo fare, questa proposta non solo ci ha offeso profondamente ma ci ha anche messo in una posizione di difesa. Possibile che chi ci dovrebbe tutelare non tiene in considerazione il nostro lavoro? Le nostre esigenze? Per una volta, però – e questa è la novità positiva – tutti, ci siamo alzati in piedi e petto in fuori come un sol uomo, abbiamo detto No! No! Con l’orgoglio di chi sa di fare un nobile mestiere, con la certezza di aver fatto la cosa giusta. Perché la dignità e il rispetto vanno pretesi. Nel frattempo, io non mi fermo, mi invento rubriche, leggo, scrivo, mi faccio venire idee, cerco canzoni da cantare, propongo testi, tengo contatti coi giovani, risento i miei allievi. Il virus non mi ha scalfito, mi riprenderò..ci riprenderemo. Ci vorrà del tempo, ma il Teatro vincerà su tutto e ce ne dimenticheremo”.

Egle Doria

“Dopo più di due mesi continuano ad essere lunghi giorni di attesa, – dichiara Egle Doriain cui la mente si dibatte tra l’immaginare di percorrere nuove strade e il godere di questo tempo sospeso. Dall’ attesa si nasce, nell’attesa ci si può reinventare, con l’attesa ci si può pure smarrire. Ma noi abbiamo la scorza dura, perché rispetto a tanti altri lavoratori siamo abituati ad attendere, a sopportare e a spiccare il volo. Tutto ciò che avviene intorno a noi è sempre e comunque linfa vitale per la nostra vita artistica. Cosa stiamo facendo, come lo stiamo facendo, le iniziative a cui prendiamo parte, quelle a cui non prendiamo parte, quelle che con eccezionale coesione stiamo portando avanti in quanto categoria, sono state raccontate molto bene da molti miei stimatissimi colleghi. Ma tra le righe di questa pandemie si sono nascosti i bambini e tra le righe della lotta del settore artistico si nascondono le famiglie, fatte nei modi più eterogenei, come la mia per esempio”.

Siamo famiglie fatte di mamme e papà, che non sanno cosa sarà di noi domani, ma che hanno indossato la più bella mascherina sorridente e hanno improvvisato le migliori capacità creative , spaziando dal canto alla costumistica, per intrattenere tra le quattro mura di casa i figli. Ed è per loro che stiamo lottando, io su più fronti, visto che insieme ad altri anche attori devo lottare per far riconoscere i diritti del mio lavoro e i diritti della mia famiglia. Ma è per loro che il teatro deve restare teatro, non può anche questo diventare virtuale, anzi dovrebbe essere il luogo in cui potranno sempre rifugiarsi per trovare la verità ed inseguire i sogni, per farsi travolgere dall’emozione di vite altre. Le idee per ricominciare anche domani, nel rispetto del distanziamento sociale e della salute, le abbiamo tutti in un file sul nostro desktop, ma pur se servisse aspettare molto tempo ancora, il teatro va fatto “in presenza”. Noi e loro: il pubblico, le anime che condividono con noi le più diverse emozioni e senza dimenticare i bambini. Che si trovi presto il modo giusto o la formula magica per dissipare la paura e infondere coraggio ai nostri spettatori, perché sono loro la ragione per cui si apre il sipario e con loro, con i bambini e i giovani il teatro vivrà”.

Elisa Franco

“Nessuno di noi era preparato a questa situazione che stiamo vivendo. – aggiunge Elisa Franco – La pandemia ha colpito indistintamente l’economia mondiale e, peggio ancora, ha strappato a tante famiglie gli affetti più cari, senza dare a loro la possibilità di porgere l’ultimo saluto e rendendo la tristezza ancora più forte. Ho visto anche testimonianze di gente disperata, accompagnate per fortuna da gesti forti di solidarietà. Da qualche mese siamo cambiati; ci siamo uniti con un intento comune. Nel mio settore ci incontriamo attraverso videoconferenze in cui si discutono tutte le possibilità e le problematiche che andranno affrontate. Non sappiamo ancora come ci si dovrà approcciare con il nostro mestiere nel post-pandemia. Si parla tanto di streaming, ma per un artista che è abituato a respirare le tavole del palcoscenico, a quello scambio di emozioni forti a contatto con il pubblico, è una prospettiva veramente triste”.

Poltrone vuote

Il Governo parla di una possibile riapertura a fine dicembre, saremo tra gli ultimi a riaprire – conclude la Franco – e significa compromettere, oltre che l’attuale stagione, anche la prossima. Non ci sarà modo di preparaci adeguatamente e rimane una forte confusione su come operare tra noi attori. Non sappiamo quali saranno le misure cautelative da adottare, se dovremo rispettare il distanziamento anche sul palco; il che significa ridurre di non poco la scelta dei testi da proporre, fatti da pochi attori o addirittura da un singolo. Anche nel campo imprenditoriale siamo in difficoltà. Noi piccole imprese, che già facciamo tanti sacrifici e sforzi per sopravvivere, abbiamo bisogno di sostegno da parte del Governo. Siamo in tanti e vorremmo essere visti ed aiutati come una categoria lavorativa che va aiutata, ma spesso siamo ignorati o considerati meno di niente. Anche i gestori delle piccole e grandi sale saranno costretti a chiudere senza sostegni e ciò significa perdere quegli spazi destinati alla cultura di cui tanto abbiamo bisogno. Noi cerchiamo di essere forti e di non abbatterci, abbiamo una tempra che, già per nostra scelta di vita, è forgiata sulla roccia; siamo abituati al sacrificio e a non risparmiarci mai sul lavoro; ma abbiamo bisogno di far sentire la nostra voce e di essere considerati al pari di ogni altro lavoratore italiano che si rispetti”.

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