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In questo periodo della pandemia da coronavirus “… Il tempo intanto scorre, nell’aria è già profumo di primavera, la sofferenza pervade le nostre anime, ma nonostante tutto gli alberi continuano a fiorire e diventano i nostri maestri di vita, ci dicono sorridenti: ‘la vita non è finita’ “.

E’ Francesca Cavallaro, di 18 anni, che così conclude la sua poesia “Liberi” inserita nella raccolta “Non vedo l’ora”, appena pubblicata dalla editrice La Voce dell’Jonio e presentata per la prima volta il 23 giugno nel cortile dell’Istituto San Luigi, di Acireale, alla presenza del vescovo mons. Antonino Raspanti.

Dopo il saluto di fratel Celestino Rapuano, direttore dello storico istituto acese e centro culturale cittadino sin dal 1898, e il ricordo, da parte di Alfio Vecchio, della nascita nel 1958 del “La Voce dell’Jonio”, quello che fu il “settimo figlio” del fondatore Orazio Vecchio, il direttore del “giornale della Chiesa e giornale della gente” Giuseppe Vecchio ha introdotto la serata presentando l’iniziativa culturale promossa dalla rivista di ispirazione cristiana e rivolta ai poeti e alla gente comune.

Non un concorso si voleva bandire, hanno ribadito nei loro interventi anche la docente e giornalista Rita Messina e la poetessa Carmela Tuccari che hanno curato negli aspetti “tecnici” l’operazione culturale, bensì offrire la possibilità di esprimere a grandi e bambini, i sentimenti e le emozioni, le speranze e anche le paure che nel tempo sospeso del Covid-19 hanno toccato ogni uomo, traducendo il tutto liberamente in versi nelle metriche e generi  più disparati.

Il risultato non è stata, né voleva essere la realizzazione di un’antologia, dunque, ma quello di una raccolta di tutte le opere pervenute, sia in lingua che in siciliano, e tra queste anche poesie haiku e un acrostico, arricchita da 18 disegni a colori – ma in esposizione, nel cortile dell’istituto, ne erano esposti molti  altri – dell’artista Pina Di Bella.

Ma l’essenza del libro, nella cerimonia semplice e sobria della prima presentazione e, con le parole di Vecchio, all’insegna dell’improvvisazione, è “nell’aver scritto – con questa raccolta – oggi una pagina di storia, non di letteratura”.

E dentro la raccolta, tante emozioni  e speranze, preghiere e ricordi, come nell’immagine del baule antico proposta dalla Messina, nel cui interno si conservano e vengono alla luce le tante bellezze ed emozioni del cuore dell’uomo.

Con il sottofondo delle note della chitarra di Giosuele Sciacca, hanno declamato nel corso della serata i loro versi Pietro Guarnotta, Rosaria e Lucia Grasso, Rosa Maria Di Salvatore, Francesca Cavallaro, Mario Vinciguerra di 8 anni, Cinzia Aloisi, Nando Costarelli, Maria Nicotra, Giuseppe Puglisi, Giovanna Palermo da Verona, Costanza Isaja, Giusi Baglieri, Melania Sciabò Vinci, Barbara Messina, Sara Celano, Tindaro Spartà, Giovanni Vecchio e Maria Paola Di Blasi. Gli altri  autori presenti nella raccolta parteciperanno alle prossime presentazioni del libro previste in diverse città dell’isola.

Nell’intervento di chiusura, mons. Raspanti, dopo l’apprezzamento delle poesie e dei contenuti e i ringraziamenti, ha offerto la personale esperienza vissuta nel tempo dello “stare in casa” di questo periodo: un tempo in cui le giornate finivano troppo in fretta per le tante cose da fare (nel suo ruolo!) e poi, in tarda serata, l’uscita per le strade e vicoli di Acireale, soffermandosi a guardare le finestre accese nelle case;  “un’esperienza che ha toccato tutti, quella della morte che ci ha bussato alla porta, ma per me non è stato un momento negativo perché solo in questa situazione si è assottigliata, e di molto, la doppiezza umana …. ed ha parlato, invece, il cuore, dandoci la possibilità di farsi toccare in maniera più forte dalla vita”.

Ed anche la distanza che abbiamo sperimentato, fisicamente, non ci ha veramente separati, ha concluso mons. Raspanti: “nella mia cattedrale vuota, a celebrare i misteri della Pasqua!, davanti unicamente al telefonino di don Arturo che permetteva la trasmissione in diretta, io ho sentito tutta la città insieme a me, la presenza di tutti, credenti e non credenti”.

Vincenzo Caruso

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