Teatro

La Sala Magma di Catania, all’interno della stagione di prosa 2016, ha proposto la pièce “Una storia come tante” di Luigi Favara, messa in scena dall’Associazione Oltre le Quinte. Tratto dalla novella “La verità” di Luigi Pirandello, lo spettacolo punta l’attenzione sulla tematica della “relatività” di qualsiasi cosa e soprattutto della verità con le sue tante sfaccettature.

Nello spettacolo il protagonista è un contadino che lavora nei campi, soprannominato Cardellino, incolpato di uxoricidio avendo ucciso la sua adorata moglie e nella pièce è lo stesso autore, regista ed interprete Luigi Favara, in modo diretto, con semplicità, ad introdurre lo spettatore nella vicenda, facendolo salire sul treno della fantasia e portandolo nell’aula di un tribunale. Durante il processo a “Cardellino”, uomo mite e dimesso, si espongono diversi punti di vista: quello del giudice che cerca di osservare i fatti razionalmente, quello dell’avvocato difensore che tenta di discolpare l’uomo affermando che il suo gesto non scaturisce da una vendetta nei confronti della moglie che lo ha tradito con il Cavaliere, potente e rispettato signorotto del paese; quello dello stesso “Cardellino”, che si giustifica dicendo di non aver compiuto l’atto criminoso per vendetta contro la moglie, né per rabbia verso il Cavaliere. Lo ha fatto solo per necessità, per non finire lui stesso nella vergogna e la colpa dell’accaduto non è sua, che già era a conoscenza del tradimento, ma della moglie del Cavaliere, che, scoperto l’adulterio del marito, ha messo in risalto la faccenda. Per colpa della consorte del Cavaliere il povero contadino è stato costretto a salvare la faccia, a difendere il rispetto sociale, uccidendo la moglie.

Si susseguono in scena testimoni a favore di “Cardellino”: una vigilessa, una domestica, un frate ed un amico dell’uomo, mentre il Pubblico Ministero cerca di convincere i giurati che è sempre stato commesso un efferato uxoricidio e l’imputato racconta particolari commoventi sull’amore che nutriva per la moglie. Alla fine il giudice ed i giurati si ritirano per il verdetto ed ecco che, colpo di scena, è il pubblico, coinvolto dall’autore, che si ritrova a dover dare il suo personale giudizio, ad esprimere il proprio verdetto sul mite imputato.

In una scena volutamente spoglia, con due sedie e la scrivania del giudice, si muovono, con padronanza, l’avvocato dell’imputato interpretato dall’autore e regista Luigi Favara, il povero “Cardellino” disegnato con umanità e sofferenza interiore da Alfio Guzzetta, il pubblico ministero reso da Jacopo Raniolo, il giudice di Francesco Ranno e poi completano il cast, nei panni dei testimoni, Enrico Pappalardo, Fiorella Tomaselli e Liliana Scalia.

I protagonisti dello spettacolo (Foto Salvo Nicotra)

I protagonisti dello spettacolo (Foto Salvo Nicotra)

Lavoro che, in circa 90’, propone un teatro di denuncia e di riflessione, un teatro come lo definisce lo stesso autore del testo, “mentale” e che consente al pubblico di partecipare alla costruzione dello spettacolo, al suo svolgimento ed i personaggi presenti incrinano le certezze del mondo borghese, introducendo la versione relativistica della realtà, rovesciando i modelli consueti di comportamento esprimendo la dimensione autentica della vita al di là della maschera.  Lo spettatore è sollecitato dall’autore e dalla costruzione della pièce alla riflessione sugli uomini che nascono liberi, ma il destino, il caso, interviene nella loro vita precludendo ogni loro scelta e ad ognuno viene assegnata una parte secondo la quale deve comportarsi. Lavoro che alla fine riscuote gli applausi ed i consensi del pubblico accuratamente sollecitato dal testo e dalla rappresentazione.

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