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Già proposto la scorsa estate nella suggestiva location del Castello Ursino, all’interno del Festival “I Art”, diretto da Giovanni Anfuso e promosso dal Comune di Catania, lo spettacolo “La vita che mi diedi”, per la regia di Turi Giordano, assembla, cuce, in un blocco godibile ed emozionante alcune novelle di Luigi Pirandello ed attraverso l’adattamento drammaturgico, la costruzione dello stesso Giordano e di Angelo D’Agosta, confeziona una proposta elegante, estremamente preziosa e che fa penetrare lo spettatore nei meandri, nelle angosce dei personaggi del drammaturgo agrigentino e nei mille dubbi, ripensamenti, sofferenze interiori di Pirandello.

Nella foto di Dino Stornello in scena Emanuela Muni e Francesco Foti

Nella foto di Dino Stornello in scena Emanuela Muni e Francesco Foti

La pièce “La vita che mi diedi”, atto unico diretto con mano felice da Turi Giordano, è stata riproposta dalla compagnia A.P.S. MUSE al Piccolo Teatro della Città lo scorso fine settimana, con un cast davvero all’altezza della situazione, un taglio scenografico e drammaturgico accattivante ed ha convinto il pubblico presente.

Lo spettacolo si avvale, oltre che di una scenografia sobria ed evocativa di casa Pirandello, curata da Riccardo Cappello (con tanto di letto, scrivania con macchina da scrivere ed al centro un suggestivo librone con le sue novelle da dove vengono fuori i disperati personaggi), delle musiche composte dal maestro Alberto Alibrandi ed eseguite dal vivo, con sax e clarinetto, da Samyr Guarrera e Salvatore Assenza che accompagnano i vari momenti della pièce, integrandosi perfettamente con le storie raccontate.

Turi Giordano

Il regista Turi Giordano

Sul palco, nell’adattamento di Turi Giordano ed Angelo D’Agosta, il protagonista  ed orchestratore della pièce è proprio il drammaturgo agrigentino (egregiamente interpretato da Francesco Foti, abile ad alternare dramma ed ironia) che, coadiuvato dalla sua effervescente domestica Fantasia, riceve i personaggi delle sue future novelle ogni domenica, per cinque ore, dalle 8 alle 13, li accoglie ed ascolta le loro disperate storie. E dal libro, al centro della scena, ecco materializzarsi, per essere ascoltati e capiti, i personaggi delle novelle “Zia Michelina”, “Leonora, addio” (poi inserita nella nota “Questa sera si recita a soggetto”), “L’altro figlio”, “Lo scaldino”, “Dialogo con la madre”. Ed i vari personaggi, maschili e femminili, raccontano le loro tragedie quotidiane, le loro sofferenze che l’autore raccoglie, rende vive e proprio gli stessi personaggi vivono attraverso il loro autore che, a sua volta, si sente vivo proprio quando loro gli stanno vicino. Lo spettacolo, attraverso l’interpretazione di Francesco Foti, offre anche due monologhi di Pirandello tratti da “I pensionati della memoria” e “La tragedia d’un personaggio” dove l’autore intreccia tutte le sue teorie affascinando così lo spettatore.

In scena Davide Sbrogio, Francesco Foti e Anna Maria Marchese (Ph. Dino Stornello)

In scena Davide Sbrogio, Francesco Foti e Anna Maria Marchese (Ph. Dino Stornello)

Lavoro di grande suggestione, con una costruzione drammaturgica ed una resa scenica di assoluto valore e che oltre all’apprezzabile interpretazione di Francesco Foti, nei panni dell’autore agrigentino e alla vivacità di Marta Limoli nei panni della domestica Fantasia, si avvale della carica interpretativa e del fascino di Emanuela Muni (coinvolgente e commovente nei panni di zia Michelina, di Maragrazia e della mamma di Pirandello), oltre che del pathos suscitato da Davide Sbrogiò (nei ruoli di Rico Verri e Papa Re) e da Anna Maria Marchese (intensa nei panni di Mommina e della canzonettista Rosalba). Funzionali e perfettamente integrate per la riuscita della messinscena le musiche di Alberto Alibrandi eseguite sulla scena dai convincenti Samyr Guarrera al sax e Salvatore Assenza al clarinetto.

Spettacolo, quindi, di assoluto valore culturale, da proporre nelle scuole ed ai giovani, oggi troppo distratti e che immerge lo spettatore nelle novelle, nella filosofia e nel pensiero di Luigi Pirandello attraverso suoni, rumori e stimolazioni uditive che vanno dalla campagna girgentana, da cui lo stesso Pirandello ha preso spunto, ai suoni/rumori della guerra, la grande guerra, che, alla fine, coinvolgerà anche il figlio Stefano, tra le preoccupazioni  del padre alle prese con i deliri dei suoi personaggi, con la smania di “volersi dare una vita”, un ruolo, una funzione eterna. Pubblico, alla fine, coinvolto, convinto e che ha applaudito lungamente interpreti e regista. Pièce, ripeto, da rivedere e da replicare assiduamente nei teatri e soprattutto per le scuole.

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