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A proposito di Teatro e di Teatri, a Catania ed in Italia, riceviamo, e pubblichiamo, da Elio Gimbo di Fabbricateatro, reduci da un Maggio “bellissimo” in giro per l’Italia con il “Discorso su noi italiani”, la seguente nota: “Esiste a Catania, come in tutta Italia e in tutto il mondo, un arcipelago teatrale pressoché ignorato, sul quale poco o nulla si riflette, per il quale non si organizzano proteste sindacali né si invocano contributi straordinari di soldi pubblici, né si organizzano  campagne stampa.

Esso costituisce l’estremità anonima dei teatri che l’ambiente delle istituzioni riconosce; da una parte c’è il Teatro pubblico o Primo Teatro, fin qui protetto e lautamente sovvenzionato per i valori che sembra tramandare, immagine di un confronto presumibilmente creativo con i testi del passato e del presente, oppure versione “nobile” dell’industria del divertimento. Dall’altra parte c’è il Teatro privato, il Secondo Teatro, il teatro dei mutamenti, esso vive ai margini, fuori dalla fortezza del Primo Teatro; un teatro di persone che si definiscono attori, registi, gente di teatro, quasi sempre senza essere passati dal circuito d’apprendistato interno alla fortezza di cui sopra ma da circuiti esterni alla città, circuiti universitari o di modelli teatrali sconosciuti alla realtà del Primo Teatro, spesso dotati di titoli di studio superiori alla media dei protagonisti del Primo Teatro; proprio per questo essi non vengono neppure riconosciuti come professionisti o come “lavoratori dello spettacolo” dai soldati o dai cantori del Primo Teatro, trattati con diffidenza o indifferenza per la loro lontananza dai meccanismi del Potere, non spendibili a fini elettorali, non appartenenti a intoccabili dinastie familiari.

Elio Gimbo

Elio Gimbo

Ma non sono dilettanti. L’intera giornata è per loro marcata dall’esperienza teatrale, a volte attraverso il training teatrale quotidiano, altre attraverso duri tirocini organizzativi e amministrativi, sempre attraverso spettacoli che devono lottare per trovare il loro pubblico. Secondo il tradizionale metro con cui il Potere pensa al teatro, il fenomeno può apparire irrilevante; da un punto di vista diverso, però, questo “Secondo Teatro” lascia pensare.

Isole senza contatto reciproco, a Catania o a Palermo come in Italia, in Europa come in America del Sud e del Nord, dei giovani si riuniscono e formano gruppi teatrali, occupano teatri abbandonati restituendoli alla società, si ostinano a resistere.

Ma possono sopravvivere solo a due condizioni: o approdando sulla terraferma dei teatri riconosciuti, accettando le leggi dei gusti correnti, sottomettendosi alle superstizioni ideologiche dominanti della politica e della cultura, adeguandosi alle mode; oppure riuscendo con la forza di un lavoro continuo ad individuare un proprio spazio, diverso per ognuno, cercando l’essenziale a cui restare fedeli, costringendo gli altri a rispettare questa diversità, tale modo d’agire è l’unica pratica veramente multiculturale del teatro contemporaneo cittadino.

Forse è qui, nel Secondo Teatro, che è osservabile ciò che costituisce la materia vivente del teatro, un antico senso che attira al teatro nuove energie e che – malgrado tutto – lo tiene ancora in vita nella nostra città.

Diversi uomini e donne, in diverse parti del mondo come a Catania, sperimentano il teatro come un ponte, sempre minacciato, tra l’affermazione dei propri bisogni personali  e l’esigenza di contagiare con essi la realtà che ci circonda.

Perché scegliamo proprio il teatro come mezzo di cambiamento quando siamo consapevoli che ben altri sono i fattori che decidono della realtà in cui viviamo? E’ una forma di accecamento? Una menzogna vitale?

Forse per noi “teatro” è ciò che ci permette di trovare il modo di essere vivi cercando rapporti più umani fra persone, depurate dalla ferocia contemporanea che domina il tono di qualsiasi relazione sociale, di realizzare piccole comunità in cui le intenzioni, le aspirazioni, le necessità personali,  si trasformano in azioni politiche e culturali.

Le divisioni astratte confezionate e imposte dall’alto – scuole, stili, tendenze diverse, le etichette calate dalla fortezza del Primo Teatro – con noi non funzionano, non attaccano. Quello che sembra definire il Secondo Teatro a Catania, quel che sembra essere il denominatore comune tra Fabbricateatro, Marionettistica fratelli Napoli, Sala Magma, Gruppo Iarba, Statale 114, Isola Quassud, Teatro Coppola, etc. è una tensione difficilmente definibile.

Teatro-Palco

Teatro-Palco

E’ come se bisogni personali a volte neppure formulati chiaramente a sé stessi – ideali, paure, sogni, rabbie, impulsi altrimenti destinati a rimanere torbidi – volessero trasformarsi in lavoro, con un atteggiamento che all’esterno viene giustificato come un imperativo etico, non limitato alla sola professione bensì esteso alla totalità della vita quotidiana.

Ma in realtà tutti noi paghiamo in prima persona il prezzo della nostra scelta. Non è accettabile per noi la pratica del guardare al futuro attendendo un mutamento totale che si allontana ad ogni passo che facciamo e che intanto lascia tutti gli alibi, i compromessi, l’impotenza dell’attesa.

Non è accettabile per noi un’ ideologia che contempla nella pratica teatrale la divisione in classi sociali, dove la stessa pratica genera ”lavoratori dello spettacolo” a tredici mensilità con premi produttività e straordinari inclusi da garantire, a parole, a tutti i costi, e pazzi visionari destinati a rimanere nella povertà e nell’anonimato degli ultimi.

Desideriamo che una nuova comunità si formi, ma non vogliamo isolarci in essa. Vagheggiamo di una nuova civiltà, ma non per piazzare i nostri figli e amici. Questo è il paradosso che incarniamo e che ci rende fastidiosi al Potere e al Primo Teatro: ci immergiamo nella finzione per trovare con gli altri il coraggio di non fingere”.

Elio Gimbo di Fabbricateatro

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