Intervista con...

Abbiamo avuto modo di apprezzarlo ed applaudirlo al “Piccolo Teatro della Città “ di Catania dove è stato autore, regista ed interprete del suo testo “Lei e lei”, un lavoro intenso, profondo e crudo che si rivolge all’universo esistenziale di coloro che vivono ai margini, nello specifico travestiti e prostitute, soffermandosi anche sull’ipocrisia, sulla cattiveria della nostra società. Parliamo del noto artista messinese Giampiero Cicciò, attore, autore, regista, diplomatosi nel 1990 nella “Bottega Teatrale” di Vittorio Gassman. Nel 1999 e nel 2003 è entrato nella rosa dei candidati al “Premio Ubu” come miglior attore, nel 2008 è tra i candidati al “Premio Ubu” come miglior regista e nel 2006 vince il “Premio Fondi La Pastora per il Teatro” come miglior attore dell’anno. Con Giampiero Cicciò, proprio dopo la breve tappa catanese di “Lei e lei”, abbiamo potuto scambiare qualche parola, ragionando così, cordialmente, di teatro, di progetti, di passione per il palcoscenico e di futuri desideri.

Nella foto Giampiero Cicciò

Nella foto Giampiero Cicciò in “Lei e lei”

Quali sensazioni provi ogni volta quando interpreti il travestito di “Lei e lei”?

“Sento di fare un omaggio a quelle persone che hanno vissuto e che vivono ai margini a causa di una sessualità che non appartiene ai canoni della maggioranza. Molta gente irride ed emargina, per esempio, i transessuali. Io ne conosco alcuni che, proprio a causa della loro sofferenza provocata dall’esclusione dalla società, almeno da quella del giorno, hanno da insegnare a tutti noi molto di più rispetto a persone in giacca e cravatta o tailleur”. 

Sensazioni sulla scena, davanti al tuo pubblico?

“In scena mi abbandono e al tempo stesso sono più padrone di me rispetto alla quotidianità della mia vita. Non è facile da spiegare. E’ come se cuore e cervello agissero a un livello massimo di autocontrollo e insieme di incoscienza”.

Come è nata in te la passione per il teatro?

“Ho la sensazione che sia nata con me, non saprei dire quando e come. Da bambino recitavo per la parete della mia stanza rivolto verso una platea immaginaria. E quando Vittorio Gassman, per ricordare Adolfo Celi, cercava giovani della mia città per prenderli nella sua Bottega Teatrale con una borsa di studio in memoria del suo grande amico, non ci ho pensato due volte e mi sono presentato. Avevo 21 anni, è stato il mio primo maestro”.

Cosa cerca, secondo te, il pubblico dall’attore?

“Vuole provare insieme a te, dal vivo, l’emozione che solo un racconto scenico può dare. Interpreti e pubblico sono lì, contemporaneamente, al contrario del cinema e della TV, e se non sei un “atleta del cuore”, così Artaud definiva un attore, se cioè non denudi la tua anima, se non la fai palpitare, lo spettatore si pente di aver pagato il biglietto. Perché solo attraverso l’anima spogliata dell’attore, il pubblico può riconosce la propria”. 

Il tuo lavoro, la tua attività e la tua terra…

“Per scelta il mio lavoro spesso è legato alla mia terra. Tra tutti quelli fatti, i testi che preferisco sono ambientati in Sicilia: “La sposa di Messina” di Schiller, “Giovanna d’Arco di Borgovecchio” di Gianni Guardigli e il mio “Lei e lei”.  Rivivere in scena le suggestioni che la mia terra mi suscita è come scavare per cercare le radici di ciò che sono oggi”.  

Giampiero Cicciò in "Giovanna d'Arco di Borgovecchio"

Giampiero Cicciò in “Giovanna d’Arco di Borgovecchio”

Che genere di teatro ami rappresentare e quale strada ha intrapreso la

nuova drammaturgia?

“Il teatro che piace a me deve raccontare storie nuove. Pertanto la nuova drammaturgia dovrebbe avere maggiore spazio. Al cinema ogni anno andiamo a vedere storie nuove e, invece, a teatro si tende a mettere in scena sempre gli stessi testi. Servirebbero più coraggio e più fantasia”.

Cosa ti ha dato e cosa continua a darti la tua professione di attore?

“E’ un mestiere il cui percorso non so scindere dal mio cammino interiore. Se vissuta come una ricerca continua di parti inconfessate di se stessi, questa professione può sostenere il proprio tragitto interiore. E questa continua scoperta, queste esperienze di sé, diventano poi il dono che noi teatranti facciamo al pubblico”.

Scegli tra cinema, tv, teatro. Quale preferisci?

“Il teatro. E’ il luogo dove tutto avviene e finisce nello stesso momento. Il teatro mi ricorda di più la natura stessa della vita. Fatta di provvisorio e d’impossibilità di fermare il tempo”. 

Giampiero Cicciò nella vita di tutti i giorni, fai il tuo identikit…

“Un uomo che da sempre osserva molto e parla poco. Cerco di capire la vita analizzandola di continuo, ma tentando di smantellare i luoghi comuni che ci soffocano e le sovrastrutture che, come tutti, anch’io mi porto addosso”.

Quanto contano oggi la bravura, il merito, la professionalità nel settore dello spettacolo?

“Moltissimo. Una lunga carriera esige queste qualità. Senza di esse si può resistere qualche anno, qualche stagione. Ma poi si sparisce”.

Soddisfazioni e delusione nei tuoi anni di attività…

“Soddisfazione recenti, un direttore artistico che, dopo aver visto “Lei e lei”, la stessa sera l’ha comprato per il suo teatro nella prossima stagione. Delusione, la mancanza di interesse di altri direttori artistici i quali, senza nomi di mercato sulla scena, non prendono nemmeno in considerazione il tuo lavoro. Ma ragionando così il teatro diventerà presto una triste dependance della TV”.  

Ancora Giampiero Cicciò

Ancora Giampiero Cicciò

I prossimi impegni di Giampiero Cicciò…

“Sarò nel cast di una nuova produzione del Teatro di Roma che debutterà all’Argentina il prossimo ottobre. Metteremo in scena “Ragazzi di vita” di Pier Paolo Pasolini con la regia di Massimo Popolizio. Sono felice di essere in questo progetto. Vidi recitare Popolizio per la prima volta circa vent’anni fa in Peer Gynt, spettacolo indimenticabile di Luca Ronconi e ne rimasi talmente affascinato da tornare a rivederlo per tre volte. Sarà un’esperienza importante lavorarci insieme, essere diretto da un teatrante come pochi ce ne sono oggi in Italia”.   

Un sogno che vorresti realizzare…

“Mettere in scena la mia prima opera lirica come regista. Magari un’opera inedita alla quale collaborare per la stesura del libretto”.

 

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