Per il capodanno 2017 la tradizionale “Marcia della Pace”, organizzata ed animata dalla Comunità catanese di Sant’Egidio, anche per motivi di sicurezza non si è svolta come di consueto in via Etnea (era prevista la partenza dalla basilica Collegiata) ma ha avuto luogo simbolicamente, sul far della sera, nella villetta della Cattedrale dove si sono spontaneamente radunati ed incontrati anche fedeli, comuni cittadini e molti fratelli migranti senza nessuna etichetta e attualmente dimoranti a Catania. La Comunità, insieme a tanti amici e realtà diverse, ha scelto ancora una volta di cominciare l’anno fuori da casa per dire che la pace è possibile e che è il bene più prezioso dell’umanità, per manifestare il proprio impegno ad abbattere muri che separano gli uni dagli altri e a costruire ponti che uniscano uomini e donne, giovani ed anziani, ricchi e poveri, popoli interi.
Tutti hanno ascoltato in religioso silenzio il messaggio di Papa Francesco, letto integralmente, per la 50^ Giornata Mondiale della Pace dal tema “La non violenza: stile di una politica per la pace”, per promuovere un clima di pace e di non violenza e per pregare insieme per “la pace in tutte le terre”. Il Pontefice intende indicare un cammino di speranza adatto alle presenti circostanze storiche: ottenere la risoluzione delle controversie attraverso il negoziato, evitando che esse degenerino in conflitto armato.
E’ stato il beato Papa Paolo VI, nel 1968, durante la guerra in Vietnam, a scrivere il primo messaggio per la pace e ad istituire la Giornata mondiale della pace celebrata dalla Chiesa cattolica il 1° gennaio. Proprio in quell’anno iniziò l’attività della Comunità di S. Egidio impegnata a dialogare con tutti per portare alla pacificazione in situazioni di guerra e per costruire ovunque società della pace e della convivenza.
Subito dopo, il responsabile regionale della Comunità di S. Egidio, dott.Emiliano Abramo, all’ingresso della basilica ha illustrato con un breve pensiero introduttivo le ragioni profonde della manifestazione, in sintonia con oltre 600 analoghi incontri dell’inizio dell’anno che si svolgono in tutto il mondo con il passo della pace e per invocare dal Signore “principe della pace” il dono inestimabile della pace nel mondo, dilaniato da troppe guerre e violenze, e ha elencato i nomi dei 20 Stati attualmente in guerra e riportati per iscritto in singoli cartelli innalzati dai numerosi volontari-tanti i giovani- presenti all’evento religioso, fraterno e comunitario: Afghanistan, Birmania, Casamance in Senegal, Colombia, Burundi, Iraq, Kashimir, Kivu (RDC), Mali, Nagorno Karabakh, Nigeria, Pakistan, Repubblica Centrafricana, Siria, Somalia, Sud Sudan, Sudan, Terra Santa, Libia, Ucraina.
Il rappresentante della Comunità di Sant’Egidio in Sicilia ha ricordato il “monito di quel santo uomo di chiesa, Giovanni XXIII, che già anziano disse e scrisse <Pacem in Terris!>, i 50 anni “mezzo secolo di donne e uomini comuni che camminano in cerca di pace, di opportunità di vita pacifiche e pacificanti in tanti modi” e quanto detto accoratamente da Papa Francesco nell’omelia di fine anno in San Pietro in occasione del “Te Deum” di ringraziamento: “Abbiamo condannato i nostri giovania non avere uno spazio di reale inserimento, perché lentamente li abbiamo emarginati dalla vita pubblica obbligandoli ad emigrare o a mendicare occupazioni che non esistono o che non permettono loro di proiettarsi in un domani”.
Abramo ha detto anche: “Iniziamo l’anno con un passo di pace, ma è un passo comune! Camminare insieme significa aspettare o accelerare un passo. Abbiamo l’esigenza di rallentare il passo di chi non vede più un futuro ed emigra, magari per bussare a porte che non verranno mai aperte. Così come, in questo nostro inizio di anno, incrociamo in questa città anche il passo svelto di tanti, di troppi, che scappano dalle bombe e dalle guerre sempre più assurde, come ad Aleppo e in Terra Santa. Sì, oggi chiediamo anche a coloro che sono fuggiti con un passo veloce di rallentare e di unirsi a questo cammino di Pace. Qui non c’è bisogno di correre, oggi iniziamo l’anno incontrando Dio”.
“Possa il 2017” ha concluso “essere l’anno in cui le scelte personali, quelle fatte nell’intimità del cuore di ciascuno, convergano verso un punto comune, quello della società del convivere. Nessuno e troppo anziano o giovane, nessuno e straniero o padrone di questa città, ricco o povero, nessuno è irrilevante per camminare insieme nel costruire la pace. Pace in questa città che ancora profuma degli odori semplici della grotta di Betlemme, può voler dire Pacem in Terris. Possiamo dimostrare al grande mondo che la Pace è una dimensione del cuore che anche in questa città è ben custodita. La Pace è sempre possibile”.
E’ seguita la concelebrazione della s. messa, nella solennità liturgica di Maria Santissima Madre di Dio “per la pace e la giustizia” e di propiziazione per il nuovo anno, presieduta dall’arcivescovo metropolita e presidente della Conferenza Episcopale Siciliana mons. Salvatore Gristina che ha tenuto una toccante omelìa esaltando l’opera evangelica pacificatrice del Papa alimentata dal costante richiamo alla misericordia, alla giustizia di Dio, alla non violenza e al dialogo.
Durante la liturgia per la Pace è stato letto l'<Appello mondiale di Pace> già approvato dal Santo Padre e sottoscritto da tutti i presenti in chiesa per manifestargli pieno sostegno: “Siamo grati al Papa per i suoi ripetuti appelli al dialogo e alla pacificazione come quello lanciato in questo Natale -è scritto nell'<Appello>- per la <martoriata Siria> e la città di Aleppo, teatro <di una delle battaglie più atroci>. Il suo è un impegno costante per la costruzione di un mondo di pace per tutti, a partire dai più poveri e dalle periferie umane e geografiche del nostro pianeta. Facciamo nostro il desiderio del Papa :<Possa la nonviolenza diventare lo stile caratteristico delle nostre decisioni, delle nostre relazioni, delle nostre azioni, della politica>. Sono parole dirette a tutti, con un tono forte e autorevole…<La violenza –afferma il Pontefice– non è la cura per il nostro mondo frantumato. Rispondere alla violenza con la violenza conduce, nella migliore delle ipotesi, a migrazioni forzate e ad immani sofferenze, poiché grandi quantità di risorse sono destinate a scopi militari e sottratte alle esigenze quotidiane dei giovani, delle famiglie in difficoltà, degli anziani, dei malati, della grande maggioranza degli abitanti del mondo>.
L'<Appello>, infine, sottolinea la scelta della solidarietà verso i migranti, i bisognosi, gli ammalati, gli esclusi, gli emarginati, le vittime dei conflitti armati e delle catastrofi naturali, i carcerati, i disoccupati e le vittime di qualunque forma di schiavitù e di tortura.