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Nella chiesa “San Biagio in Sant’Agata alla Fornace”, nel contesto dell’incontro di formazione sulla “Devozione alla Santa patrona di Catania” per i cavalieri e le dame della sezione catanese “Card. S. Pappalardo” dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, guidato dal rettore e cerimoniere ecclesiastico mons. Leone Calambrogio, si è svolto un interessante momento culturale su “Il ritorno di sant’Agata: avvenimento storico o racconto edificante?” affidato alla magistrale competenza del vicario giudiziale mons. Adolfo Longhitano, docente emerito di Diritto canonico nello Studio Teologico interdiocesano “San Paolo” e direttore dell’Archivio storico del Capitolo Cattedrale Metropolitano.

  Dopo l’introduzione del preside, gr.uff. dott. Sergio Sportelli, e la breve ma profonda riflessione spirituale del prof. Calambrogio, incentrata sulla testimonianza cristiana della protomartire concittadina e sulla chiamata alla santità di tutti battezzati, il prof. Longhitano, come premessa metodologica per approfondire un delicato ma rilevante aspetto del culto di S. Agata, ha illustrato i criteri oggi usati per esaminare e comprendere, in modo corretto alcuni documenti antichi secondo le coeve forme letterarie ed ha puntualizzato l’attuale concetto di storiografia riferito alla ricostruzione di un avvenimento passato che si appoggia sull’analisi critica di documenti certi che collocano accuratamente il fatto nel tempo e nello spazio, descrivendolo tale quale si è realmente svolto.

   Nella letteratura dei popoli antichi, invece, la trasmissione dei fatti, spesso con intenti didattici, è mista a leggende, miti, tradizioni popolari che si tramandano oralmente e non in documenti scritti, come avviene anche in campo agiografico dove la vita dei santi è caratterizzata da avvenimenti straordinari e miracolosi che suscitano forti emozioni.

   Lo studioso ha precisato che tali fatti non sono mere “leggende” perché all’origine c’è un nucleo storico, un personaggio realmente esistito che ha testimoniato la fede in Cristo, anche se attorno a questo personaggio sono stati creati racconti fantastici inevitabili di un certo contesto ambientale.

  Nel culto dei santi, ha osservato lo storico, non si può ignorare il valore che in passato hanno assunto le loro reliquie, alle quali veniva attribuito un potere quasi magico di patronato sulle città e i fedeli. In quest’ottica si spiegano i “furti lodevoli” e le traslazioni, i cui racconti sono stati redatti secondo consueti stereotipi.

   Il relatore ha, quindi, ricostruito l’ambiente storico (Catania durante i 170 anni della dominazione islamica e dopo la conquista normanna che non trovò in città né il vescovo né la cattedrale) al quale fanno riferimento le notizie giunte a noi da fonti lacunose e contraddittorie: il trasferimento delle reliquie di S. Agata da Catania a Costantinopoli e il loro rientro nel 1126. I normanni si prefissero di riportate al cristianesimo anche Catania, dove nel 1091 fu eretta l’abbazia benedettina di S. Agata, l’anno dopo fu rifondata la diocesi e 3 anni dopo la nuova cattedrale dedicata a S. Agata, la cui figura assumeva un ruolo centrale.

  L’oratore ha trattato, inoltre, del mistero delle reliquie agatine -che certamente al momento dell’arrivo vittorioso dei normanni non si trovavano più a Catania- della cui presenza a Costantinopoli nessuno degli storici bizantini accenna. Il principale documento su cui si fonda la tradizione della loro traslazione di andata e di ritorno si fonda su delle copie della celebre lettera del vescovo Maurizio del 1126. Nei secoli passati gli storici catanesi, compreso mons. Giuseppe Scalia (1926), si sono occupati dell’argomento con strumenti e metodologia che bisogna accogliere con molta cautela.

   Mons. Longhitano si è soffermato anche sulla tesi di dottorato di Marina Manuela Cafà sul tema della “traslatio”, relatore il prof. Carmelo Crimi, basata su un esame obiettivo della documentazione risalente a tre storici e cronisti, due benedettini inglesi (Orderico Vitale +1142 e Guglielmo di Malmesbury +1143) e il veneziano Andrea Dandolo(+1354) e che non coincide col noto racconto di Maurizio, integrato da una cronaca del monaco Blandino, appartenente al genere letterario delle traslationes, “storie edificanti”, e che attribuisce al generale Maniace il trasferimento delle reliquie a Costantinopoli e il loro rientro ai soldati Gisliberto e Goselmo: non abbiamo, però, elementi sicuri per affermare tali fatti.

   Le conclusioni alle quali pervengono queste ricerche storiche “non devono avere alcun riflesso sulla nostra fede e sulla nostra devozione -ha affermato l’oratore- perché le reliquie sono segni visibili che ci aiutano a stabilire un rapporto con i santi, basato esclusivamente sulla fede…Oggetto del nostra devozione non sono le immagini della santa o il reliquiario con i resti del suo corpo, ma la persona di S. Agata che partecipa alla gloria di Dio”. Tra gli interventi conclusivi molto incisivo quello del luogotenente cav. gr. cr. prof.Giovanni Russo.

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