Medico analista catanese, Pippo Patanè ha una innata passione per la canzone umoristica e per il cabaret, quello ricco di contenuti, che fa sorridere e che prende spunto dal quotidiano, analizzando fatti e personaggi. Pippo Ptanè riesce a conciliare benissimo il suo lavoro di direttore di un Laboratorio d’analisi cliniche a Catania con la passione per la musica e per le parodie musicali. Lo abbiamo incontrato proprio nel suo laboratorio ed il medico-cabarettista, con molta cordialità e dovizia di particolari ed aneddoti, ha raccontato a “Cronaca Oggi Quotidiano” della sua passione per il cabaret, del suo repertorio e delle sue ultime esperienze ed apparizioni televisive a livello nazionale.

Al Lido Arcobaleno, negli anni Sessanta con un complesso
“La passione per la musica l’ho avuta sempre – spiega Pippo Patanè – A 17 anni ho cominciato a strimpellare la chitarra e a 20 anni facevo già parte di un complessino musicale che si esibiva al lido Arcobaleno e, successivamente in altri locali, questo fino all’ultimo anno di università. Successivamente ho cominciato ad apprezzare musicisti e cantautori un pò fuori dal comune tipo De Andrè, Jannacci e i Gufi. Già in quel periodo cominciavo a scrivere le mie prime parodie musicali con cui prendevo in giro persone di mia conoscenza. Particolarmente formativa nel 1966 la Scuola di Sanità Militare di Firenze, dove, insieme a qualche altro collega esperto in canzoni goliardiche, contribuivo ad animare le serate in camerata. Successivamente fui assegnato come medico militare alla Caserma Sommaruga, dove organizzavamo alcuni spettacoli nel locale del cinema, da noi adattato a teatro. Quello fu il mio primo palcoscenico. Nel 1971 aprii il laboratorio di analisi e in quello stesso anno composi la mia seconda parodia musicale (la prima era stata una versione porno della Canzone di Marinella) autoironica, in quanto prendeva in giro proprio la mia attività professionale”.

Un sorridente Pippo Patanè
“Nei primi anni 70 si cominciò a vedere il cabaret in TV – continua Patanè – e ne fui attratto. Non che io non apprezzassi la comicità classica, che fino ad allora ci aveva propinato la televisione di Stato, ma il cabaret per me fu una vera e propria scoperta. Si poteva far ridere e contemporaneamente “castigare ridendo mores” con un tipo di comicità anticonvenzionale, fatta anche di giochi di parole, nonsense, ironia e satira. Proprio quello che sentivo di avere dentro, pur non essendo riuscito ancora ad esprimerlo. Nel 1976 una vecchia amica di mia moglie, che aveva sposato l’architetto Francesco Geracà, ci invitò a vedere uno spettacolo di cabaret da lui prodotto. Ci andai pieno di entusiasmo (ignoravo che a Catania si facesse o, meglio, si tentasse di fare del cabaret), che la visione dello spettacolo provvide subito a smorzare. Nel giro di un paio di mesi avevo già uno spettacolo pronto: “C.E.S.S.O.”(Centro Educativo Sperimentale Senza Obiettivi) e la struttura era quella di una scuola dove si svolgevano vari tipi di lezioni: italiano, storia, geografia, religione, educazione sessuale ecc. Era un testo naturalmente pieno di ingenuità e prolissità, ma già conteneva alcune intuizioni valide che ancora oggi fanno parte del mio repertorio.Lo rappresentammo a giugno inoltrato nella vecchia sede del C.A.T. che allora era in Largo dei Vespri. L’autunno successivo inaugurammo il nuovo teatro CAT Comedia Cab, nei nuovi locali di via Grazia Deledda accanto alla piscina Poseidon. Negli anni successivi, fino al 1980 fui praticamente il braccio destro di Geracà, fondammo un gruppo chiamato “I Malagola” e affrontammo varie esperienze, che sicuramente contribuirono alla mia crescita artistica. Da Geracà imparai molto, soprattutto ad essere essenziale.

Patanè
Per diversi anni, preso da problemi di tipo professionale, mi sono dedicato ad altro, nella fattispecie ad attività sindacale inerente la mia categoria di medico analista. Ho poi avvertito la necessità di affiancare alla mia attività preponderante un’altra attività e sono passato dal modellismo al disegno e quindi alla fotografia e, per finire, al cabaret. Credo che anche il sindacato sia stato per me una sorta di hobby, che mi ha dato la gratificazione di potermi esprimere attraverso la scrittura e di riuscire a raggiungere posizioni associative di livello nazionale assolutamente lontane dalla portata del titolare di un piccolo laboratorio di analisi, quale io ero e sono.
Comunque la passione per il cabaret è stata sempre più forte di tutto e, alla fine del mio percorso sindacale mi sono trovato a comporre una serie di canzoni umoristiche, sulla scia di ciò che proponeva Arbore in TV.
Dopo la morte di Geracà poi sono stato ospite nel nuovo teatro che il Gatto Blu stava approntando in via Vittorio Emanuele, che poi è ancora l’attuale sede del gruppo. Nel frattempo la mia attività di autore musicale continuava (mi ero anche iscritto alla SIAE) e d’altronde non mancavano le occasioni di ispirazione, specie da parte della classe politica. Per cui nel 1991, ispirato dalle “mattane” del presidente Cossiga, composi una canzone intitolata “Il Presidente” che fustigava quei comportamenti.
Fu con questa canzone che partecipai come ospite fisso allo spettacolo “Rapsodia in Gatto Blu” nella stagione 1991-1992, successivamente nel 1996 mi sono poi esibito alla Sala Magma di Salvo Nicotra con uno spettacolo vero e proprio di cabaret dal titolo “Canzonando”, che fu replicato varie volte fino all’inizio dell’estate. Nel 1997, avendo appreso che nel mese di giugno c’erano dei provini a Zelig, andai a Milano a sostenerne uno, superandolo. Michele (Pozzati, della coppia Gino e Michele) mi propose di mettermi d’accordo con Giancarlo Bozo per fare l’apertura a uno spettacolo di un comico importante. Purtroppo quell’estate mi dovetti operare per un’ernia inguinale. Ciò ritardò il mio debutto sul palcoscenico di viale Monza, che avvenne solo l’8 dicembre 1998. Nel frattempo erano cambiate molte cose e, invece di fare l’apertura a un comico, mi dovetti accontentare di partecipare a un laboratorio di cabaret. Frattanto, nel maggio dello stesso anno, conobbi Eugenio Barone, un dentista di notevoli capacità comiche. Con lui formai un duo, che successivamente divenne un quartetto per l’aggiunta di una coppia di amici suoi, marito e moglie. Ci chiamammo “I Cabarotti” e in questa formazione abbiamo dato vita negli anni a una serie di spettacoli a partire dal 1999 fino al 2011. Nel 2012, a causa della defezione dei due coniugi, restammo in due. Sono seguite poi esibizioni alla Sala De Curtis, con “Cantando e contando contesti diversi” poi nel 2013 alla Sala Chaplin e al Teatro Fellini di Catania. Infine, nel gennaio 2014 tre serate dello stesso spettacolo alla Sala Magma. Dal giugno 2009 faccio parte dall’Associazione Medici in vena, che propone almeno una volta all’anno uno spettacolo dal titolo “Non solo Ippocrate”.

Patanè con Eugenio Barone
Sia con I Cabarotti che con i Medici in vena ho avuto modo in questi anni di calcare le tavole dei più prestigiosi teatri catanesi e anche di altre province come Ragusa e Siracusa. Per quanto riguarda le televisioni locali, sono stato tre volte a “Insieme” nel 1997, nel 1999 e nel 2001. Ho partecipato a diverse puntate della trasmissione “Intern@t” con Gino Astorina su Telecolor nel 1998 e, sempre sulla stessa emittente, a diverse puntate della trasmissione “C’è Massimo?” con Massimo Spata. Quindi nel 2013 sono stato ospite fisso per 25 puntate della trasmissione “Telesiculissimi” con Ruggero Sardo su Video Regione. Ultimamente, ho partecipato a due puntate della trasmissione “Metropolitaun” su Ultima TV”.
C’è conflitto tra il suo lavoro di medico analista e la passione per il cabaret?
“Non riscontro alcun conflitto fra la mia attività di analista e quella di cabarettista. Anche di fronte ai miei clienti non faccio mistero della cosa e, anzi, nella mia sala prelievi espongo diverse locandine dei miei spettacoli. L’avanzare della tecnologia mi ha avvantaggiato, prima quando scrivevo un testo mi toccava doverlo ribattere a macchina quando erano necessari aggiunte e correzioni. Adesso col computer è tutto più facile. Inoltre faccio uso del computer anche per elaborare i miei video, sia privati che di cabaret, nonché per realizzare dei files audio artigianali di alcune delle mie canzoni, utilizzando un programma di editing audio multitraccia, che mi consente di estrapolare le parti cantate meno inascoltabili, alla stessa stregua di come si fa nelle sale di incisione professionali”.

Con Lello Arena
Esiste ancora il vero cabaret a Catania o in Italia?
“Premesso che il cabaret è nato al di fuori del tubo catodico, è pur vero che grazie ad esso è stato portato a conoscenza del grosso pubblico. Si può sostenere che la televisione lo abbia rovinato e ciò è in gran parte vero. Tuttavia, a mio avviso, esistono attualmente ottimi cabarettisti che conosciamo proprio grazie alla TV. Checco Zalone, Ficarra e Picone e Leonardo Manera sono per me degni di nota. Per il resto non impazzisco per gli altri comici di Zelig. E non parliamo di quelli locali. Diciamo che mi innervosisco quando sento assimilare il cabaret alla barzelletta definendo un comico “cabarettista barzellettiere”. Comunque me ne sono fatto una ragione: la TV commerciale vive sugli ascolti, cui sono sensibili gli sponsor e, siccome non sono le èlites intellettuali a promuovere gli ascolti, ne deriva che più il livello è basso, tanto maggiori sono gli ascolti. Questa è la triste realtà”.
Il suo repertorio di cabaret ed i numeri che ricorda in particolare e che le hanno dato particolari soddisfazioni…
“Il mio repertorio di cabaret è costituito sia da numeri di gruppo, che scrivevo inizialmente per i Malagola e successivamente per i Cabarotti, sia da monologhi che ho sempre interpretato personalmente e, da un pò di tempo, di canzoni umoristiche che ho cominciato a scrivere, come già detto, a partire dal 1989.
Conservo due ricordi particolari di applausi a scena aperta nel corso di numeri da me interpretati: il primo risale al 1980. Eravamo al CAT e presentavamo per la prima volta una mia lezione di educazione sessuale, scritta in versi e parodie musicali. Si parlava e si cantava di omosessualità sulle note della canzone “Pensieri e parole” di Lucio Battisti, alla fine della quale io e il comico Armando Coco, che la interpretava insieme a me, fummo interrotti da uno scroscio di applausi che ci impedì di proseguire per alcuni minuti. Ricordo che mi vennero le lacrime agli occhi.

Una delle tante esibizioni in gruppo
L’altro episodio è invece più recente e risale al 2009. Mi trovavo nell’Anfiteatro “Turi Ferro” di Gravina di Catania per uno spettacolo dei Medici in vena dal titolo “Non solo Ippocrate” e avevo cantato “Annacarla”, che molti considerano il mio cavallo di battaglia. Quindi venne la volta di un’altra mia canzone, “Viagrande”, nella quale si spiegano le origini del nome Viagra, che deriverebbe proprio dal suddetto paese pedemontano. Arrivato ai versi che recitano “perché, perché a Viagrande ci abbiamo le mutande formato molto grande, di marca liofante” fui fermato da un altro applauso scrosciante che interruppe per alcuni secondi la mia esibizione. C’è anche un altro numero che piace moltissimo e suscita sempre grandi risate: si tratta di un personaggio balbuziente che sembra stia sempre sul punto di dire parolacce, mentre poi alla fine dice delle cose normali. Me lo ha ispirato un pezzo che era il cavallo di battaglia di Armando Coco. Io ne ho preso alcuni spunti, l’ho ambientato diversamente e ho aggiunto moltissime cose. Inizialmente lo avevo scritto per Enrico Guarneri, ma ad un certo punto, poiché nacque l’occasione per utilizzarlo, lo inserii nell’ultimo spettacolo dei Cabarotti (2011), in cui verificai che, benché non lo ritenessi adatto alle mie corde, il numero funzionava perfettamente ed ero riuscito a trovare la giusta chiave interpretativa. Alcuni mesi dopo lo presentai al teatro Metropolitan di Catania nell’ambito di un altro dei nostri “Non solo Ippocrate” dei medici in vena. E anche stavolta fui gratificato da un lungo applauso a scena aperta”.
Ci racconti della sua recente partecipazione alla trasmissione “Eccezionale veramente”…
“Stanco della situazione locale ho sperato che le cose andassero meglio a livello nazionale e quindi ho puntato sulla trasmissione “Eccezionale veramente” credendo che fosse una valida occasione di lancio, ma mi sono sbagliato. Il mio numero, che aveva riscosso pochi mesi prima grande successo al Salone Margherita di Roma, in uno spettacolo di medici artisti di tutta Italia, in TV si è rivelato un flop perché, a detta di Diego Abatantuono, non faceva ridere. Poi rivedendo la puntata, nella quale la mia esibizione era stata addirittura tagliata, mi sono reso conto che il clown da circo era preferito chi, invece della comicità fisica, usava il cervello e la creatività. Ma anche di questo me ne sono fatta una ragione. È stata comunque una esperienza e le esperienze sono sempre formative”.

Patanè in tv
Come vede la nuova generazione di comici e cabarettisti, o presunti tali?
“Penso che le due parole non siano necessariamente sinonimi. Certo il cabaret deve avere contenuti di comicità, ma non basta. Ho molto apprezzato i comici della rivista di un tempo, ma Macario e Dapporto non erano dei cabarettisti. Probabilmente lo era l’ultimo Walter Chiari, quello che ironizzava su Lucio Battisti. Ma alle sue spalle c’era sempre un autore che scriveva i testi. Generalmente, invece, il cabarettista i testi se li scrive da solo. Proietti è un grande comico, ma non è un cabarettista. Oggi manca la creatività, l’ironia ed anche il sarcasmo. Vanno di moda i monologhisti, i quali non sanno più cosa inventarsi per trovare nuovi argomenti non già sfruttati da altri. E questa affannosa ricerca trapela dai loro monologhi. Anche le parodie sembrano trite e ritrite. Alcuni autori di parodie musicali sembrano convinti che basta cambiare le parole a una canzone per ottenere comunque un effetto comico. Per me non è così. La parodia ha una sua tecnica e deve nascere da un’idea di satira, anche se non necessariamente politica. E poi soprattutto deve avere degli spunti comici.
Comunque qualche cabarettista degno di nota c’è ancora. Oltre quelli che ho già citato potrei dire il palermitano Ivan Fiore, i romani Dado e Andrea Rivera e i milanesi Ale e Franz, Flavio Oreglio ed Henry Zaffa, quest’ultimo conosciuto da me a Zelig. Sulla Sicilia stenderei un velo pietoso, con esclusione del mio amico e sodale di cabaret, Eugenio Barone con cui abbiamo fondato il gruppo dei Cabarotti e del grandissimo Pino Caruso, che ormai non esercita più”.
I desideri ed i sogni di Pippo Patanè…
“Nonostante l’età avanzata non ho smesso di sognare. E il mio sogno sarebbe quello di affermarmi a livello nazionale. Ed è proprio per questo che avevo tentato la carta di Eccezionale veramente, ma evidentemente ho sbagliato indirizzo. E meno male, perché comunque la trasmissione ha indici di ascolto veramente bassi”.
Pippo Patanè al Salone Margherita
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