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Ragionando, sorridendo, riflettendo sulla irritante e disgustosamente provocatoria “coprofagia (dal dizionario Treccani “Ingestione di feci per perversione dell’istinto della fame: negli adulti si può osservare in gravi forme di decadimento mentale”) e soprattutto sul condizionamento violento, continuo ed ossessionante, della manipolazione dell’essere umano, oggi come ieri, da parte del Potere, dei cosiddetti persuasori occulti, il Teatro del Canovaccio di Catania, all’interno della rassegna “Altrove”, promossa dallo “Stabile” etneo, ha messo in scena nella sala consiliare di Palazzo Minoriti, il graffiante e provocatorio “Al servizio del potere, la fabbrica del consenso” di Eliana Silvia Esposito.

Gli interpreti della pièce

Nei panni di ambigui, strani, allucinati giornalisti, docenti, testimonial, cantanti, presentatori, testimoni, troviamo i camaleontici Carmela Buffa Calleo, Raffaella Esposito, Antonio Caruso e Neculai Cattaneo che, attraverso varie fasi, con l’ausilio di video curati da Alessandro Marinaro e Fino La Leggia, presentano al pubblico una pièce sicuramente fuori dalle righe che, a tratti, intriga ed a volte confonde, con il suo intento di far riflettere sui potere della cosiddetta “fabbrica del consenso”, dei persuasori occulti che riescono a farci accettare un prodotto, una idea, una moda, un programma tv, una canzone, facendo passare anche il messaggio che bisogna nutrirsi dei propri  “detriti organici”, magici rimedi per la nostra salute, da ingurgitare a colazione, a pranzo o a cena.

Lo spettacolo, atto unico di circa 90′, è diretto dalla stessa autrice che si avvale per la grafica di Alvalenti, per il gioco luci di Simone Raimondo, mentre supportano la regia Gloria Di Paola e Donatella Marù.

Testo graffiante, provocatorio e che nell’intenzione dell’autrice – partendo proprio da un tema volutamente  disgustoso come la “coprofagia” ed inserendo anche dichiarazioni dei maestri Pasolini e Fava – immerge il pubblico un una folle atmosfera, quasi in un futuro prossimo – ma non tanto – in cui l’opinione pubblica viene turlupinata, manovrata da pseudo conduttori di talk show, di dibattiti televisivi o di Tg.

Una scena de “La fabbrica del consenso”

L’argomento scelto dall’autrice per svelare, per raccontare, al disorientato ma attento spettatore le tante tecniche di manipolazione e di indirizzo sociale, è sgradevole, ma tutto è pensato – con parole, immagini, movimenti, step, dichiarazioni di maestri quali Fava e Pasolini – attraverso una originale, irriverente- a tratti, fluida provocazione, in quanto ai nostri giorni sono davvero pochi gli argomenti che suscitano indignazione.

L’intero gruppo, con autrice ed attori, de “La fabbrica del consenso”

Tra ironia, costumi stravaganti rock-pop, balletti, grida, manifestazioni, tg inutili e ripetitivi, trasmissioni e dibattiti che non fanno altro che, in vari step, acuire la tattica del condizionamento, con una continua operazione di spersonalizzazione, di lavaggio del cervello dell’opinione pubblica, restituendo così una società rimbecillita, condizionata, manipolata dalla cosiddetta fabbrica, dagli operatori del consenso, abili a far precipitare tutti nella follia, nel nulla, nella più perfetta idiozia, convincendo il cittadino a nutrirsi dei propri “detriti organici”, trasformandosi in “restivoro” e migliorando così la propria vita e quella dell’intera società.

Alla fine della pièce applausi da parte del pubblico – diviso tra lo sgomento e l’incuriosito – per il tema trattato e per l’impegno del dinamico cast e dell’intero gruppo lavorativo. Dobbiamo dire, però, che il testo e la sua messa in scena (pur facendoci riflettere su come il potere, attraverso i mezzi di comunicazione, sia in grado di manipolare e condizionare i nostri pensieri) non ci hanno convinti in pieno. In ogni caso un plauso per il coraggio dimostrato dall’intera compagnia per la messa in scena e per la scelta dell’autrice Eliana Esposito dello spinoso argomento che ci ha ricordato come diceva Goethe che “Nessuno è più schiavo di colui che crede di essere libero, perché non vedrà mai le sue catene”.

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