Si presta a diverse interpretazioni e letture, oltre che riflessioni, il secondo lavoro in cartellone della rassegna “Teatro Mobile” di Catania, dal titolo “Sogno di una notte a Bicocca”, scritto e diretto da Francesca Ferro e proposto lo scorso fine settimana al Centro Zo di Catania, grazie ad un corposo cast ed all’imponente gabbia scenografica curata da Arsinoe Delacroix.
Prodotto da Teatro Mobile di Catania, con le musiche di Massimiliano Pace, il progetto – spettacolo di Francesca Ferro, sicuramente interessante come analisi del dramma umano e sociale di nove detenuti al centro della vicenda, in circa due ore, parte dalla reale esperienza vissuta nel 2012 dalla regista con un laboratorio teatrale con i detenuti del carcere di Bicocca.
L’atto unico, quindi, ricostruisce perfettamente ed anche dal punto di vista emozionale e drammatico, regalando comunque dei momenti di leggerezza, attraverso il linguaggio, il modus vivendi, le storpiature e le battute dei detenuti coinvolti, l’ambiente carcerario, quello di chi vive le sue giornate – privo del bene indiscutibile della libertà – scontando la sua pena, ma anche quello di chi vive in stretto contatto con i detenuti, ovvero le guardie carcerarie, il direttore dell’Istituto di pena e chi, in qualche modo, cerca il recupero di tali soggetti.
L’allestimento scenico di Arsinoe Delacroix ricrea un’ala del carcere con sbarre e spazi delimitati dove si muovono i nove carcerati ed anche la direttrice della struttura, la guardia carceraria e l’elemento esterno, l’attrice e regista del laboratorio che invoglia i detenuti a mettere in scena una versione – poi riveduta e corretta in base a linguaggio e concezioni di vita dei protagonisti – di “Sogno di una notte di mezza estate” di William Shakespeare, dove presto tutto – con la fantasia – si adatta al contesto dei detenuti e quindi il folletto Puck si trasforma in Puccio e il bosco nel boschetto della Plaia. Il tutto tra situazioni crude e drammatiche, ironia e sarcasmo da parte di chi si trova rinchiuso in attesa di scontare pene più o meno lunghe per omicidi, spaccio, sfruttamento della prostituzione, estorsioni ed altro.
Tutto inizia quando, accompagnata da una direttrice attenta e severa, la regista Francesca presenta il suo laboratorio teatrale a nove detenuti – tutti particolari per le pene che scontano – ai quali vengono assegnati i vari ruoli per mettere in scena la nota opera shakespeariana.
Dopo i primi momenti difficili tra alcuni detenuti e la regista del laboratorio, conditi da discussioni, problemi, ribellioni, leggerezza, il rapporto si ammorbidisce ed alla fine i nove protagonisti del “Sogno di una notte di mezza estate”, in versione “catanese”, si rendono conto che proprio questa esperienza teatrale, questo dimenticare anche per qualche ora i loro problemi all’interno del carcere, può contribuire a far loro riconquistare la libertà, attraverso la fantasia ed il sogno. E il capolavoro di Shakespeare in chiave catanese, arricchito da battute, balletti che fanno parte del loro status di detenuti consente a questi nove protagonisti di sentirsi per la prima volta liberi di sognare.
Operazione apprezzabile e di sicuro interesse quella di Teatro Mobile e dell’autrice, regista ed interprete Francesca Ferro che, alla fine, con una pièce scorrevole coinvolge il pubblico con una intelligente messa in scena e un cast vario e ben assemblato dove tutti danno il meglio, a cominciare dai convincenti Agostino Zumbo nei panni del mafioso Melo Russo, Ileana Rigano (l’attenta direttrice dell’Istituto), Silvio Laviano (lo strafottente e quasi incontrollabile napoletano pluriomicida), Francesco Maria Attardi (l’arrogante Polifemo, soprannome che gli viene per aver perso un occhio durante l’arresto), Mario Opinato (l’ironico pappone dietro le sbarre per istigazione alla prostituzione). In linea, per bravura ed improvvisazione, anche il resto del cast ovvero Renny Zapato, Giovanni Arezzo, Giovanni Maugeri, Vincenzo Ricca, Antonio Marino, Dany Break e la stessa regista ed autrice Francesca Ferro.
Alla fine, per tutti gli interpreti e per la produzione, gli applausi convinti da parte del pubblico che ha così potuto riflettere sulla valenza terapeutica e riabilitativa del teatro negli istituti carcerari, sul dammi che vivono i detenuti privi del bene supremo della libertà e su quanto bisogna ancora fare in tema di devianza, giustizia, funzione delle case circondariali e strumenti di riabilitazione e reinserimento nella società di chi ha sbagliato.