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La Domenica di Pasqua è il giorno della Resurrezione di Cristo dai morti, che Agostino d’Ippona e parecchi Padri della Chiesa hanno esaltato con straordinarie espressioni poetiche: Oggi è sorta la luce del mondo, oggi è apparso il grande Giorno, Cristo inaugura il giorno che non conosce tramonto…, siamo nel cuore della fede e della vita della Chiesa. San Paolo, rivolgendosi ai Corinzi, scrive: <<se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede>> (1Cor 15,14). Con la sua risurrezione Cristo apre il passaggio, cioè il transitus, dalla morte alla vita, <<da questo mondo al Padre>> (Gv 13,1). Agostino così recupera la corretta etimologia dell’ebraico “pasqua”, di questo passaggio, ancor più straordinario della pasqua storica del popolo di Israele, beneficiamo tutti noi battezzati: chi crede in Cristo, muore al peccato nelle acque battesimali e risorge a vita nuova in forza dell’azione dello Spirito Santo.

La creazione stessa partecipa alla nascita dell’uomo nuovo; essa stessa attende il suo destino ultimo, che non sarà quello di una distruzione totale, ma la sua trasfigurazione. L’Ipponate, rispondendo con una lettera (Epist. 55) a Gennaro sulla celebrazione della Pasqua, scrive: <<Tu mi domandi “perché mai l’anniversario in cui si celebra la passione del Signore non ricorre lo stesso giorno dell’anno, come [succede per] il giorno in cui si dice che sia nato” e poi aggiunge: “E se ciò avviene per causa del sabato e della luna, che c’entra mai in ciò l’osservanza del sabato e della luna? Sappi, dunque, anzitutto, che il giorno della Natività del Signore non si celebra con un rito sacramentale, ma si rievoca solo il ricordo della sua nascita e perciò non occorreva altro che indicare con una solennità religiosa il giorno dell’anno in cui ricorre l’anniversario dell’avvenimento stesso.

Si ha invece un rito sacramentale in una celebrazione quando non solo si commemora un avvenimento, ma lo si fa pure in modo che si capisca il significato di ciò che deve riceversi santamente. Noi celebriamo la Pasqua in modo che non solo rievochiamo il ricordo d’un fatto avvenuto, cioè la morte e la risurrezione di Cristo, ma lo facciamo senza tralasciare nessuno degli altri elementi che attestano il rapporto che essi hanno col Cristo, ossia il significato dei riti sacri celebrati. In realtà, come dice Paolo: <<Cristo morì a causa dei nostri peccati e risorse per la nostra giustificazione>> (Rom 4,25), pertanto, nella passione e risurrezione del Signore, è insito il significato spirituale del passaggio dalla morte alla vita. La stessa parola Pascha non è greca, come si crede comunemente, ma ebraica; insomma il termine non deriva da passione, ossia sofferenza (in greco patire si dice Pascein), ma dal fatto che si passa … dalla morte alla vita, come è indicato dalla parola ebraica: in questa lingua infatti passaggio si dice pascha. A cos’altro volle accennare lo stesso Signore col dire: <<Chi crede in me, passerà dalla morte alla vita>> (Gv 5, 24). Si comprende allora che l’evangelista Giovanni volle esprimere ciò specialmente quando, parlando del Signore che si apprestava a celebrare la Pasqua coi discepoli, dice: <<Avendo Gesù visto che era giunta l’ora di passare da questo mondo al Padre etc.>> (Gv 13,1). 

Nella passione e risurrezione del Signore vien messo dunque in risalto il passaggio dalla presente vita mortale a quella immortale, ossia il passaggio dalla morte alla vita (Epist. 55,1,2). Agostino continua su questo passaggio mistico: <<Presentemente noi compiamo questo passaggio per mezzo della fede, che ci ottiene il perdono dei peccati e la speranza della vita eterna, se amiamo Dio e il prossimo, in quanto <<la fede opera in virtù della carità>> (Gal 5,1) e <<il giusto vive mediante la sua fede>> (Ab 2,4). Ma <<vedere ciò che si spera, non è sperare: ciò che infatti si vede, perché sperarlo? Se invece speriamo ciò che non vediamo, lo aspettiamo con paziente attesa>> (Rom 8,24). 

In conformità a questa fede, speranza e carità, con cui abbiamo cominciato a vivere nella grazia, già siamo morti insieme con Cristo e con il battesimo siamo sepolti con lui nella morte (Rom 6,4), come leggiamo in Paolo: <<Poiché il nostro uomo vecchio fu crocifisso con lui>> (Rom 6,6); e siamo risorti con lui, <<poiché ci risuscitò insieme con lui, e ci fece sedere nei cieli insieme con lui>> (Ef 2,6). Ecco perché l’Apostolo ci esorta a pensare: <<alle cose di lassù, non alle cose terrene>>, ma poi soggiunge dicendo: <<Poiché voi siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio>>(Col 3,2-3). Quando Cristo, vostra vita, comparirà, allora voi apparirete con lui vestiti di gloria (Col 3,3); con ciò ci indica chiaramente che vuol farci capire come adesso il nostro passaggio dalla morte alla vita, che avviene in virtù della fede, si compie mediante la speranza della futura risurrezione e della gloria finale, quando <<questo elemento corruttibile>>, ossia questo corpo in cui ora gemiamo <<si rivestirà dell’immortalità>> (1Cor 15,33). (Epist. 55,2,2-3). Il rinnovamento della nostra vita è pertanto il passaggio dalla morte alla vita, che si inizia in virtù della fede, affinché nella speranza siamo contenti e nella sofferenza siamo pazienti, benché il nostro uomo esteriore si vada disfacendo mentre quello interiore si rinnova di giorno in giorno (2Cor 4,6).

Proprio in vista della nuova vita e dell’uomo nuovo di cui ci si comanda di rivestirci (Col 3,9 s.). Spogliandoci di quello vecchio, purificandoci dal vecchio fermento per essere una pasta nuova, essendo già <<stato immolato Cristo, nostra Pasqua>> (1Cor 5,7), proprio in vista di questo rinnovamento della vita è stato stabilito per questa celebrazione il primo mese dell’anno, che perciò si chiama <<il mese dei nuovi raccolti (Es 23,15)>>  (Epist. 55,3,5)…  <<Queste realtà spirituali vengono celebrate durante … la Pasqua …  in base all’autorità delle Sacre Scritture e per consenso della Chiesa universale…

Nelle Sacre Scritture dell’Antico Testamento non è prescritto il tempo per la celebrazione della Pasqua se non nel mese delle nuove spighe dalla decima quarta alla ventesima prima luna; ma dal Vangelo risulta chiaro in quali giorni il Signore fu crocifisso e rimase nel sepolcro e risorse (Ep. 55,15-27). … Agostino continuando scrive ancora che il <<tempo della Pasqua e della Pentecoste ha fondamento saldissimo nella S. Scrittura, mentre la pratica dei quaranta giorni di digiuno della Pasqua è stabilita dalla concorde tradizione della Chiesa, come pure l’usanza che gli otto giorni dei neofiti fossero celebrati in modo distinto da tutti gli altri, cioè in modo che l’ottavo corrispondesse al primo quanto alla solennità. Riguardo invece al canto l’Alleluia durante quei soli cinquanta giorni nella Chiesa non è osservato dappertutto, poiché vi sono luoghi dove lo si canta pure in altri tempi e ciò varia secondo le diverse usanze dei luoghi, ma dappertutto lo si canta in quegli stessi cinquanta giorni>>. Quanto poi all’usanza di pregare in piedi durante quei cinquanta giorni e in tutte le domeniche, egli ignora se è una pratica universale (Epist. 55, 17.32).

Agostino,  concludendo  la lettera, afferma di nutrire  grande  speranza nel nome di Cristo: <<poiché non solo credo al mio Dio che tutta la Legge e i Profeti sono compendiati nei due precetti della carità (Mt 21,40; Mc 12,28-33) ma ho esperimentato e lo esperimento ogni giorno, dal momento che non c’è mistero o espressione per quanto oscura della Sacra Scrittura … nel quale non trovo i medesimi due precetti, infatti lo <<Scopo della prescrizione è la carità derivante da un cuore puro, da una coscienza retta e da una fede sincera>> (1Tim 1,5);   <<e compimento della Legge è l’amore (Rm 13,10)>> (Epist. 55, 21.38).

Diac. Sebastiano Mangano

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