Marco (in ebr.: מרקוס, in gr.: Μάρκος) nacque Palestina sotto l’imperatore Augusto (63 a.C.– 14 d.C.). Poco o nulla si sa della sua giovinezza e della sua famiglia. L’unica fonte di informazioni su di lui ci proviene dal Nuovo Testamento. San Paolo scrive ai Colossesi che Marco era <<il cugino di Barnaba>> (Col 4,10) e che quindi era ebreo di stirpe levitica. Negli Atti degli Apostoli troviamo un primo riferimento preciso su di lui nell’episodio in cui è raccontata la liberazione “miracolosa” di Pietro dalla prigione: «Dopo aver riflettuto, (Pietro) si recò alla casa di Maria, madre di Giovanni detto anche Marco, dove si trovava un buon numero di persone raccolte in preghiera » (At 12,12). Secondo il brano degli Atti sappiamo che sua madre si chiamava Maria, che abitava a Gerusalemme e che aveva due nomi, uno gentile, Marco, e uno ebreo, Giovanni. In altri passi degli Atti, l’evangelista viene chiamato o con il nome di Giovanni o con quello di Marco o con entrambi.
Dagli Atti apprendiamo ancora che Giovanni accompagnò, insieme a suo cugino Barnaba, Paolo nel suo primo viaggio missionario, aiutando l’Apostolo quando a Salamina (Cipro) annunziava <<la parola di Dio nelle sinagoghe dei Giudei>> (At 13,5). In seguito, lo stesso libro ci riferisce che Marco abbandonò Paolo, forse spaventato dalle tremende fatiche degli spostamenti dell’apostolo o dalla crescente ostilità che lo stesso incontrava: «Salpati da Pafo, Paolo e i suoi compagni giunsero a Perge di Panfilia (nell’attuale Turchia occidentale), Giovanni si separò da loro e ritornò a Gerusalemme» (At 13,13). Questo atto indispettì Paolo che si rifiutò di prenderlo a seguito nel suo secondo viaggio missionario, malgrado la pressante insistenza di Barnaba. Il diverbio fu tale che anche Barnaba si separò da Paolo e, prendendo con sé Marco, si imbarcò per Cipro. In seguito Paolo si riconciliò con Marco, lo chiamò come suo collaboratore e invitò i cristiani di Colossi ad accoglierlo con affetto come suo rappresentante (Col 4,10). A questo punto emerge un altro contatto apostolico di Marco con Pietro. Lo troviamo con Paolo a Roma (Fl 24), la “Babilonia” imperiale: «Vi saluta la comunità che è stata eletta come voi e dimora in Babilonia; e anche Marco, mio figlio » (1Pt 5,13).
In questo passo potrebbe intendersi anche che Marco era a fianco di Pietro a Roma. Infatti, nel linguaggio dei primi cristiani, “Babilonia” indicava anche la Roma pagana ed idolatra. A tutt’oggi la basilica romana di San Marco testimonia la presenza dell’Evangelista a Roma, visto che, secondo una tradizione, fu eretta sul luogo in cui sorgeva la casa in cui abitò durante il suo soggiorno nella capitale dell’Impero. Essa, infatti, si trova proprio di fronte al Campidoglio, nel centro dell’antica Roma, e non come l’abitazione di Paolo, nel ghetto ebraico sulla sponda del Tevere. Secondo Eusebio di Cesarea, Pietro e Marco giunsero a Roma per la prima volta <<al principio del Regno di Claudio (10 a.C.- 54 d.C.)>>[1], quindi, nel 41 d.C. Il fatto che Pietro, nella sua lettera, chiami Marco, come mio figlio fa pensare che debba aver ricevuto il battesimo dallo stesso Principe degli Apostoli. E’ sulla base di questo collegamento tra il maestro-padre e il discepolo-figlio che quasi certamente Marco divenne evangelista. Intorno al 130, il vescovo Papia di Gerapoli, l’attuale Paemukkale in Turchia, citava questa memoria da lui ricevuta da un “presbitero” dell’era apostolica, ossia di un testimone della prima generazione cristiana: <<Divenuto interprete di Pietro, Marco scrisse accuratamente tutte quante le cose dette e fatte dal Signore che ricordava, ma non in ordine. Egli non aveva ascoltato il Signore, ma solo aveva accompagnato Pietro>>[2].
Non sappiamo se Marco conobbe direttamente Gesù poiché questa informazione non ci è pervenuta da nessuna fonte. Ma se a quel tempo abitava a Gerusalemme, perlomeno deve aver sentito parlare di lui. Di sicuro sappiamo, che pochi anni dopo la morte del Maestro, gli apostoli e i discepoli si riunivano a casa di sua madre. Il fatto che sia l’unico evangelista a menzionare la fuga di un giovinetto che seguiva da lontano gli avvenimenti della cattura di Cristo nell’orto degli ulivi, fa supporre fondatamente che sia lui questo giovinetto: «Un giovanetto però lo seguiva, rivestito soltanto di un lenzuolo, e lo fermarono. Ma egli, lasciato il lenzuolo, fuggì via nudo» (Mc 14,1.51.52). Questa testimonianza è molto interessante per conoscere la via attraverso la quale Marco aveva potuto elaborare il suo Vangelo. Pietro era certamente la fonte primaria come lo erano probabilmente altri documenti che già circolavano negli anni 65/70: ad esempio, un primo racconto della passione, morte e risurrezione di Gesù, oppure una raccolta di detti del Signore, quella che dagli studiosi è chiamata “Fonte Q”. Il breve vangelo di Marco è stato molto utilizzato da Matteo come sua fonte, riportando molti versetti sia pure rielaborati. Per questo motivo la tradizione ha accantonato il vangelo di Marco preferendogli il più ampio e solenne di Matteo al punto tale che sant’Agostino scrisse: <<Marco è valletto e compendiatore di Matteo… è il più divino degli abbreviatori>>[3].
Si invertiva così il rapporto di dipendenza che cancellava ogni originalità di Marco. In realtà il testo marciano, con la sua creatività narrativa e la sua cifra stilistica, offre una sua prospettiva della figura di Cristo, pur fondandosi sulla memoria e sulla testimonianza di Pietro. Il testo di Marco, pur essendo scandito da frasi brevi, è ricco di vivacità nella sua apparente povertà di linguaggio tanto da affascinare il lettore moderno abituato alle immediatezze dello stile giornalistico. Ma è la struttura del vangelo di Marco che attrae non solo il credente ma anche chi è in ricerca e vuole conoscere il mistero di Gesù di Nazaret. Lo scopo per cui è stato scritto questo vangelo è indicato esplicitamente nelle prime parole: <<Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio>> (Mc 1,1). L’autore, che presenta Gesù come <<Figlio di Dio>>, al momento della morte sulla croce fa proclamare al centurione romano, che lo aveva visto spirare, la rivelazione piena del mistero che si cela in Gesù di Nazaret: <<Veramente quest’uomo era Figlio di Dio!>> (Mc 15,39).
Dalle parole del centurione pagano viene esplicitamente alla luce quella realtà profonda che il Padre celeste aveva proclamato proprio quando Gesù al Giordano iniziava la sua Missione: <<Tu sei il mio figlio prediletto!>> (Mc 1,11). La parabola terminale della vita di Marco ci è nota solo attraverso la tradizione, forse adornata di leggenda. Secondo le notizie riportate dalla Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea, Marco fondò la Chiesa di Alessandria della quale fu primo vescovo e dove morì martire. Le sue reliquie sarebbero state traslate a Venezia nel IX sec. poi furono occultate e ritrovate il 25 giugno 1094, da allora Marco è rimasto inscindibilmente legato alla città lagunare, come attestano la splendida Basilica a lui dedicata e lo stupendo ciclo musivo biblico che la riveste all’interno, con la particolare sezione riservata alle storie del Santo. Il simbolo a lui assegnato dalla tradizione, sulla base della libera applicazione ai quattro Vangeli dei quattro esseri viventi dell’Apocalisse di san Giovanni, (Ap 4,7), sarà il leone, divenuto popolare anche nella storia dell’arte per indicare l’evangelista.
Il 26 agosto 1984 l’arcivescovo Ordinario Militare per l’Italia, mons. Gaetano Bonicelli, accogliendo le ripetute istanze dei Reparti in armi e dei Raggruppamenti di Associazioni e Sodalizi dei Lagunari, dichiarava San Marco Evangelista Patrono presso Dio delle Truppe Anfibie Italiane a motivo della plurisecolare devozione delle genti venete tra le quali vengono reclutati gli appartenenti alla specialità dei <<Lagunari>>. La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, in data 21 luglio 1989, confermava la scelta e l’elezione di San Marco a Patrono delle Truppe Anfibie Italiane con tutti i diritti e i privilegi liturgici.
Signore Dio, che hai costituito in molti popoli l’umana famiglia da te creata e redenta, guarda benigno noi che abbiamo lasciato le nostre case per servire l’Italia.
Aiutaci, o Signore, affinché, con la forza della tua fede, siamo capaci di affrontare fatiche e pericoli in generosità d’intenti offrendo alla Patria la nostra pronta obbedienza e la nostra serena dedizione.
Fa che sentiamo ogni giorno nella voce del dovere che ci guida l’eco della tua voce; fa che siamo d’esempio a tutti i cittadini nella fedeltà ai tuoi Comandamenti, alla tua Chiesa e nell’osservanza delle leggi dello Stato.
Dona riposo eterno ai Caduti di tutte le guerre.
Concedi ai popoli la pace nella giustizia e nella libertà e che l’Italia nostra, stimata e amata nel mondo, meriti la protezione Tua e la protezione di Maria, anche in virtù della concordia operosa dei tuoi figli. Amen.
Diac. Sebastiano Mangano
Eusebio, Hist. eccl., II, 14.6: PG 20,169-171.
[2] Eusebio di Cesarea, Hist. Eccl., III,39,15: PG 20,299.
[3] Agostino, De consensu evangelistarum, I,2: CSEL 43, 1904, p. 103.