Cultura

Nelle sue numerose opere Agostino, per la preghiera domenicale si avvale esclusivamente del Padre Nostro di Matteo 6,9-13, dato che considera Luca  11,2-4 sintesi e spiegazione del testo di Matteo[1]. Agostino, appunto perché l’unica preghiera insegnata da Gesù, vi ritorna spesso, affinché nessuno si accontenti di ripeterla, forse più con le labbra che con il cuore, ma anche perché in tutti ci sia l’intima convinzione che essa non è una preghiera qualunque, ma la preghiera per eccellenza.

Il Vescovo d’Ippona presenta il Padre Nostro come <<la preghiera quotidiana di tutta la Chiesa>>[2] che, come famiglia di Dio, invoca il Padre nell’unità di una sola fede, nell’ardore della più viva carità, nell’attesa trepida di una sola speranza[3] .

E, questa <<preghiera di tutta la città di Dio che è in cammino sulla terra>>[4], chiede e insegna a chiedere, affina l’anima nelle cose del cielo e la educa al possesso dell’eredità, rendendo perfetto l’amore; Agostino giustamente definisce la preghiera: <<fonte della nostra salvezza>>[5], perché ci guida al conseguimento del bene ed invoca l’aiuto necessario per superare l’ostacolo della nostra miseria[6].

Agostino, che ha intuito quale profonda armonia derivi dal Padre Nostro, perché esso abbraccia tutte le esigenze temporali ed eterne dell’uomo, in un perfetto ordine tra i diversi valori naturali e soprannaturali, sempre e quasi con insistenza, raggruppa da un lato le prime tre richieste e dall’altro le rimanenti quattro, in quanto quelle concernono l’eterno e queste le cose temporali, anch’esse necessarie per il conseguimento delle realtà eterne. E a proposito della richiesta: <<Dacci oggi il nostro pane quotidiano!>>, così si esprime: << Per il fatto stesso che è stato definito quotidiano sia che venga indicato il pane spirituale o quello nel  Sacramento o questo visibile del nutrimento, appartiene al tempo, che ha chiamato l’oggi, non perché il cibo spirituale non è eterno, ma perché questo pane che nella Scrittura è stato considerato quotidiano viene mostrato all’anima tanto col suono delle parole come con i vari segni che si susseguono nel tempo. Ma tutte queste cose certamente non vi saranno più, quando tutti potranno essere ammaestrati da Dio e non esprimeranno l’ineffabile luce della verità con un movimento del corpo, ma attingeranno con un puro atto del pensiero>>[7] .

Agostino, nell’esegesi della richiesta: <<Dacci oggi il nostro pane quotidiano>>, che è la più aderente alle esigenze temporali dell’uomo, si rivela decisamente orientato a far rilevare  soprattutto gli interessi spirituali, per stabilire in chi prega un giusto equilibrio nella richiesta di benefici al Signore. Il Vescovo da’ al pane quotidiano tre significati: il pane del corpo, ossia il necessario nutrimento per la vita fisica, il pane dell’anima, Cristo Eucaristia, il pane dello spirito, Cristo Verità; tutti necessari e rispondenti nel loro insieme ad ogni bisogno e ad ogni fame dell’uomo.

Prima di soffermarci su ognuna di queste interpretazioni, è opportuno far rilevare le difficoltà che Agostino trova nelle prime due e come, per conseguenza, pur accettandole tutte, egli dia la sua preferenza alla terza.

Considerando questa petizione quale richiesta del pane materiale, il Vescovo di Ippona muove un’obiezione di carattere morale, dicendo: <<Qualcuno potrebbe turbarsi nel fatto che preghiamo per ottenere cose necessarie a questa vita come il vitto e il vestito, dato che il Signore dice: <<Non curatevi di quel che mangerete e di come vestirete>> (Lc 12,22).  Ma c’è il problema se un individuo non debba preoccuparsi del bene che chiede di ottenere con la preghiera, poiché la preghiera si deve innalzare con grande fervore dello spirito. E proprio a questo tende l’esortazione (evangelica) di chiudere le camere da letto (Mt 6,6), … di  chiedere prima il regno di Dio  e  poi di cercare tutte queste cose,… (che) vi saranno date in aggiunta (Mt 6,33) anche se non le chiedete>>[8].

Intendendo poi per pane l’Eucaristia, le difficoltà sorgono per via dei due termini ‘oggi’ e ‘quotidiano’.

<<Trattiamo del sacramento del corpo del Signore – scrive Agostino – affinché non ci muovano obiezioni i molti che nelle regioni d’Oriente non partecipano ogni giorno alla cena del Signore, sebbene questo pane è stato dichiarato quotidiano… e non difendano la propria opinione sull’argomento sia pure con l’autorità ecclesiastica, poiché lo fanno senza scandalo e non sono impediti da coloro che comandano nelle loro chiese e, anche se non obbediscono non sono condannati. Da ciò si evidenzia che in quelle regioni questo non è considerato pane quotidiano, perché sarebbero rei di un grave peccato coloro che non lo ricevono ogni giorno. Ma affinché, come è stato premesso, non discutiamo di costoro in nessun senso, deve certamente sovvenire a coloro che riflettono che noi abbiamo ricevuto dal Signore la norma del pregare e che non si deve trasgredire né aggiungendo né togliendo. Stando così le cose, chi osa dire che dobbiamo recitare soltanto una volta la preghiera del Signore o almeno,  anche se una seconda e terza volta, fino a quell’ora in cui facciamo la comunione col corpo del Signore e che poi non si deve pregare così per il resto del giorno? Infatti non potremmo più dire: dacci oggi quel che abbiamo ricevuto. Ovvero ci si potrà costringere a celebrare quel sacramento fino all’ultima parte del giorno?>> [9] .

Le difficoltà inerenti all’interpretazione del pane come Eucaristia si possono pure eliminare dando ai termini “oggi” e “quotidiano” il significato che essi hanno quando per pane s’intende il cibo spirituale della mente: spiegando cioè che “oggi” in base alle parole dell’autore della Lettera agli Ebrei: <<finché risuona questo oggi>> (3,13), ossia in questa vita temporale[10], e “quotidiano” come termine proprio di una vita che si svolge attraverso i giorni che se ne vanno e quelli che si succedono[11]. Agostino, infatti, non afferma il nostro pane eterno è Cristo uguale al Padre, il nostro pane quotidiano è Cristo <<nella carne…; eterno fuori del tempo, quotidiano nel tempo>>[12], così come dice del pane dei precetti: <<Dopo questa vita ci sazieremo in eterno di un cibo spirituale, in modo tale che non s’intenda il pane quotidiano>>[13]. D’altra parte egli implicitamente consente a tali interpretazioni perché conclude: <<Se alcuno vuole intendere questa frase – cioè l’oggi – in relazione al necessario alimento del corpo o al sacramento del corpo del Signore, è conveniente che questi tre significati si intendano unitamente, cioè che chiediamo insieme il pane quotidiano, tanto quello necessario, come quello consacrato visibilmente e quello invisibile della parola di Dio>>[14].

Vediamo ora come questi tre punti vengono sviluppati da Agostino: <<Si può intendere in un solo senso,  che cioè noi eleviamo questa preghiera per il vitto quotidiano, affinché ne abbiamo in abbondanza e, se non abbonda,  almeno non ci venga a mancare… viviamo ogni giorno, ci alziamo ogni giorno, ogni giorno ci sfamiamo. Ci dia Egli il pane per ogni giorno>>[15]. Con questa petizione chiediamo quanto ci è sufficiente, intendendo significare tutto quello che è compreso nella parola ‘sufficiente’, col nome del pane che ne costituisce la parte principale[16]; tale spiegazione non può essere considerata erronea o esagerata: <<Giuseppe quando invitò i propri fratelli disse: “Questi uomini mangeranno con me il pane” (Gen 43,16). Perché avrebbero mangiato solo il pane? Ma col termine ‘pane’ s’intendevano tutti gli altri cibi>>[17]. Perciò nel pane chiediamo ciò che ci serve alla vita del corpo, ossia quanto è necessario per coprirlo e nutrirlo[18]: cibo e bevanda da un lato, vesti e casa dall’altro[19]. <<Non si deve desiderare di più, dal momento che  l’Apostolo Paolo dice: <<Nulla abbiamo portato in questo mondo né potremo  portare via nulla; quando perciò abbiamo da  mangiare e da vestirci, contentiamoci (1Tim 6,7-8)>>[20]. <<E’ una sfacciataggine chiedere a Dio la ricchezza; non è una sfacciataggine chiedergli il pane quotidiano, (perché) c’è una grande differenza tra ciò che è necessario alla vita e ciò che serve a farci insuperbire>>[21]. Anzi – avverte Agostino – chi vuole ricchezze per uno sfrenato desiderio di possedere, e non già per poter con esse  aiutare il suo prossimo, non trova certo nella preghiera domenicale una richiesta che esprima questo desiderio; si vergogni almeno di chiedere quanto non si vergogna di bramare; e se poi si vergogna anche di questo suo desiderio, ma la passione lo vince, la miglior preghiera per lui è quella di chiedere di essere liberato <<dal male della cupidigia>>[22]. Non è male invece chiedere quanto è sufficiente, perché ciò non viene desiderato per se stesso <<ma per la salute del corpo e per un decoroso abbigliamento>> conveniente alla persona, affinché l’uomo non venga a mancare di riguardo verso <<coloro con i quali  deve vivere onestamente e civilmente>> nel reciproco rispetto[23]. Certo, è tutt’altro che facile per l’uomo limitare i suoi desideri al puro necessario: <<egli vi riesce solo quando ha imparato a vivere nell’albergo di questa vita… come pellegrino… di passaggio e non come possidente destinato a rimanervi>>,[24] perché allora soltanto il suo cuore, posseduto dall’amore dei beni eterni, riconosce in quelli temporali un mezzo per giungere ad essi[25]. <<Dacci i beni eterni, ma dacci anche i beni temporali. Ci hai promesso il regno, non ci negare il sostegno. Ci darai presso di Te la corona di gloria, dacci sulla terra il nutrimento temporale>>[26].

Solennità del Corpo e Sangue di Cristo
Mons. Salvatore Gristina porta solennemente l’ostensorio con Gesù Eucaristico per le vie di Catania

Una preghiera così fatta è il grido dell’indigenza, della miseria. <<Quando dici: <<Dacci oggi il nostro pane quotidiano>>, confessi di essere un mendicante di Dio. Ma non arrossire: per quanto uno sia ricco sulla terra, è sempre un mendicante di Dio Il mendicante sta davanti alla casa  di un ricco: ma anche lo stesso ricco sta davanti alla casa del gran Ricco. Si chiede l’elemosina a lui, ma la chiede anche lui. Se non fosse nel bisogno, non busserebbe  alle orecchie di Dio con la sua preghiera. Ma di che cosa ha bisogno un ricco? Non ho paura di dirlo: un ricco ha bisogno proprio del pane quotidiano. Perché mai ha abbondanza di ogni cosa, come mai, se non perché glie l’ha data Dio? E cosa avrebbe, se Dio ritirasse da lui la sua mano? Molti non si addormentarono forse ricchi e si alzarono  poveri? E se a lui non manca nulla, ciò non deriva dalla sua potenza ma dalla sua misericordia>>[27]. Perché allora diciamo nostro questo pane? <<Perché lo ha dato, e nostro perché lo abbiamo ricevuto>>[28]. <<Poiché diventa nostro in quanto donato da lui, così, se pertanto insorge la nostra superbia, diventa proprietà altrui. Tu dici ‘Nostro’ e dici  ‘Dacci’: come  dunque ti attribuisci ciò che non ti sei dato da te?… Riconosci il donatore, ammetti di ricevere, così Egli volentieri si degni di elargire. Che saresti se non ti trovassi nel bisogno tu che vai elemosinando e sei superbo? Tu che chiedi il pane, non sei forse un mendicante?>> [29].

Col farci chiedere il pane quotidiano, il Signore ci vuole ricordare come in tutto dipendiamo da Lui, anche nelle più piccole necessità della vita e come, d’altra parte, sia grande la sua provvidenza che ad essa provvede. Questa convinzione ci apre il cuore ad una viva fiducia per cui preghiamo <<Dacci oggi il nostro pane quotidiano>> senza preoccuparci del domani che Egli non lascerà certo senza aiuto[30], toglie ogni motivo di superbia e fa nascere nel cuore l’umiltà verso Dio e la carità nei confronti dei fratelli più bisognosi, per i quali l’uomo può divenire strumento della Provvidenza. <<Siamo infatti mendicanti di Dio: affinché egli riconosca i suoi mendicanti, cerchiamo di conoscere anche i nostri… Chi sono coloro che chiedono? Sono uomini che chiedono a uomini… sono mortali che chiedono a dei mortali… sono esseri fragili che chiedono a esseri fragili… sono dei miseri che chiedono a esseri miseri. Prescindendo dalla sostanza dei loro averi, coloro che chiedono sono come coloro a cui chiedono. Con quale faccia tosta oserai rivolgere una preghiera al tuo Signore, dal momento che non conosci un tuo uguale?>>[31]. <<Non disprezzare mai chi ti prega: e se ad uno non puoi dare quel che ti ha  chiesto, non disprezzarlo; se puoi dare dà; se non puoi, dimostrati affabile… Nessuno deve dire: <<non ho nulla>>… La carità non si esercita mediante la borsa>>[32]. Non si rifiuti mai alla carità chi della Carità ha ricevuto tutto: dia sempre in abbondanza per poter a sua volta ricevere ancora. Su questo punto Agostino ritornerà di nuovo allorché, spiegando il versetto <<come noi rimettiamo i nostri debiti ai nostri debitori>>, accosterà l’elemosina del perdono a quella del pane.

<<Ma questo pane di cui… si riempie il ventre, con cui si ristora  ogni giorno il corpo… Dio lo dà non solo a chi lo loda ma anche a chi lo bestemmia, lui che fa sorgere il proprio sole  sui buoni e sui cattivi e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti (Mt 5,45)[33]. Se lo lodi, ti nutre; se lo bestemmi ti nutre lo stesso… Poiché dunque questo pane lo ricevono da Dio i buoni e i cattivi, non c’è forse un pane speciale richiesto dai figli, il pane di cui il Signore diceva nel Vangelo: <<non sta bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cani? (Mt 15,26)>>[34]. <<Se avranno un’altra fame, ci sarà (per loro) anche un altro cibo… Dobbiamo essere degli affamati di Dio; dobbiamo mendicare pregando alla porta della sua presenza, ed egli darà il cibo agli affamati>>[35], che ha preparato per la fame del nostro cuore[36]. <<Diciamogli ancora: <<Donaci il tuo Cristo!>>[37], perché è questo il cibo spirituale che chiediamo per la nostra anima[38]: <<Cristo nel suo sacramento e nella sua Parola>>[39].

Cristo Eucaristia si dona ai <<fedeli che sanno che cosa ricevono, ed è bene per loro ricevere il  pane quotidiano[40], necessario in questa vita per conseguire la felicità non già di questo mondo, bensì quella eterna>>[41]. I fedeli sanno che non basta desiderare il cielo, ma che occorre camminare verso di esso, e sanno anche che questo è possibile solo se c’è un pane che li nutra durante il viaggio, che li ristori in questo continuo dispendio di forze, che accresca il desiderio e la fame del pane eterno.

 Loro pane è Cristo, ed essi pregano per riceverlo perché, lungi dal presumere di sé, si riconoscono <<mendicanti poiché li invita Colui che da ricco che era si  fece povero per amore nostro, perché noi che siamo poveri diventassimo ricchi mediante la sua povertà (2Cor 8,9). Vengono gli infermi, “poiché hanno bisogno del medico non i sani ma gli ammalati” (Mt 9,12); vengono gli zoppi che gli dicono: <<guida i miei passi secondo la tua parola>> (Sal 118,133); vengono i ciechi che gli dicono: <<Illumina i miei occhi, perché non mi addormenti mai nella morte>> (Sal 12,4)>>[42]. Quanto più essi sentono la necessità di questo pane, quanto più grande ne diviene il desiderio, tanto più ardente si leva la supplica che lo chiede. E poiché, se Dio è sempre pronto a donarlo, l’uomo invece con il suo peccato impedisce talora a se stesso di riceverlo, ecco che questa petizione chiede ancora grazia per non cadere in quelle colpe gravi che allontanano dalla mensa del Signore[43] e per perseverare in una vita santa, nella bontà e nella fede[44].

Si chiede il pane per la fame dell’anima, si chiede la grazia per non essere privati, si chiede pure di riceverlo con le debite disposizioni perché esso produca i suoi effetti. <<Se voi lo avete ricevuto bene, voi stessi siete quello che avete ricevuto[45]. Il pane divino alimenta la vita divina in noi, la rinforza e la sviluppa. Nella carità l’uomo si trasforma, diviene, perché membro suo, una cosa sola con Cristo, e in Lui, perché membro di un unico corpo, una sola cosa con tutti i fratelli, ecco l’Eucaristia, il sacramento dell’unità>>[46], la forza che la crea, unendoci a Cristo come sue membra, identificandoci con Lui[47].

Mosaico nel Duomo di Monreale

Ma mangiare Cristo non significa solo ricevere il suo Corpo nel Sacramento[48]; anzi, perché il Corpo e il sangue del Signore divengano per noi vita, e non condanna <<come per Giuda, che vendette e consegnò il Maestro, sebbene avesse mangiato con tutti gli altri discepoli il sacramento della carne e del sangue di Cristo>>[49], è necessario che quanto noi riceviamo nel sacramento, sia anche spiritualmente mangiato e bevuto nella verità stessa[50]. Cristo deve essere ancora l’alimento della nostra fede: solo chi vive di essa, solo chi crede sinceramente e pienamente in Dio può amarlo e può possedere la carità, cioè <<‘la veste nuziale’ richiesta per sedersi alla mensa del Signore>>[51].

L’anima ha fame di questo cibo. <<Abbi pietà dell’anima tua rendendoti accetto a Dio… Tu che vivi male, che vivi cioè in maniera infedele alla legge di Dio, rientra nella tua coscienza e lì  troverai l’anima tua che ti chiede l’elemosina, la troverai bisognosa, povera, piena di affanni… poiché se chiede l’elemosina ha fame della giustizia. Quando troverai l’anima ridotta in tale stato, falle prima l’elemosina, dalle il pane… “Quale…?” Mi si chiede: Il Signore stesso parla con te. Se tu lo ascoltassi… ti direbbe: Sono io il pane vivo disceso dal cielo (Gv 6,41)>>[52].

Cristo verità, Cristo nostra giustizia è cibo che ristora senza mai venire meno, che si mangia senza mai consumarsi, che sazia chi ha fame rimanendo sempre integro[53], così come questa luce che tutti vedono pur rimanendo sempre intatta[54].

La Parola di Dio, che ogni giorno la Chiesa spezza con i fedeli[55], <<le letture sacre, gli inni>>[56], è il pane quotidiano con cui Cristo ora si dona a noi; questo è <<il pane spirituale che … come i comandamenti del Signore, ogni giorno l’anima  deve meditare e osservare… E finché lo stato d’animo si avvicenda ora nei beni superiori, ora in quelli inferiori, cioè ora in quelli spirituali, ora in quelli carnali, come a chi si nutre di cibo, poi soffre la fame, ogni giorno è necessario il pane, affinché con esso si ristori chi ha fame e si riprenda chi non si regge in piedi. Così dunque il nostro corpo in questa vita, prima della finale immunità del bisogno, si ristora con il cibo perché avverte la dispersione di forze; allo stesso modo l’anima spirituale, poiché subisce mediante gli affetti terreni come una dispersione di forze alla tensione a Dio>>[57].

Questo pane <<è necessario a noi, ancora operai nella vigna: è cibo, non mercede… perché due cose infatti sono dovute all’operaio da chi lo fa lavorare… il cibo perché non rimanga spossato, e la paga di cui si rallegri. Il nostro cibo quotidiano su questa terra è la parola di Dio… la nostra paga dopo la fatica si chiama vita eterna>> [58]. <<Cristo ai suoi operai dona se stesso>>: se stesso dona nel pane, se stesso riserva come ricompensa[59].

Aggiunge ancora Agostino, che questo cibo: <<Probabilmente è stato considerato pane e non bevanda poiché il pane spezzandolo e masticandolo si muta in alimento, come i libri della Scrittura nutrono l’anima leggendoli e meditandoli; la bevanda al contrario sorseggiata, così com’è passa nel corpo, sicché nel tempo la verità è pane, poiché è considerata pane quotidiano, nell’eternità invece è bevanda, perché non vi sarà più bisogno di discutere e di dialogare sul tipo dello spezzare e masticare, ma soltanto del sorso dell’autentica ed evidente verità>>[60] .

Il pane dunque è il cibo del nostro cammino: <<quando saremo giunti in patria, non ne avremo più bisogno perché allora non ci sarà più necessario né udire né esporre né leggere, ma con gli angeli saremo saziati e illuminati dal verbo di Dio>>[61].

E come allora non chiederemo questo pane perché la verità sarà in nostro possesso, così <<Il pane infatti ci è necessario nel tempo presente quando abbiamo fame,… Quando poi questa vita sarà terminata, non cercheremo più il pane bramato dalla fame, né riceveremo il Sacramento dell’altare, perché noi saremo lì in Cristo, ci cui riceviamo il Corpo[62], perché dopo la risurrezione non ci sarà più la fame per cui non staremo a dire: <<Dacci oggi il nostro pane quotidiano>> (Lc 11,3), avendo sempre a disposizione il pane eterno>>[63].

Diac. Sebastiano Mangano

 


[1] Agost., Cfr. Manuale sulla fede, la speranza e la carità, 30,116, Opere di Sant’Agostino,  Nuova Bibl. Agostiniana, Città

Nuova Editrice, Roma 1995, vol. VI/2, pag. 615.

[2] Agost., La  continenza, 11,25, cit., Roma  1978, vol. VII/1, pag. 367-369.

[3] Agost., Cfr. Esposizione sul salmo 32,2,29, cit., Roma 1967, vol. XXV, pag. 611.

[4] Agost., La città di Dio, 19,27, cit., Roma 1991, vol. V/3, pag. 85.

[5] Agost. Esposizione sul salmo 103, I,3, cit., Roma 1976 vol. XXVII, pag. 637.

[6] Agost., Esposizione sul salmo 142,6: cit., Roma 1977, vol. XXVIII/2, pag. 629-633.

[7] Agost., Discorso del Signore sulla montagna, II,10,37, cit., Roma 1997, vol. X/2, pag. 225.

[8] Agost., Discorso del Signore sulla montagna, II,7,25, cit., Roma 1997, vol, X/2, pag. 211.

[9] Agost., Discorso del Signore sulla montagna, II,7, 26, cit., Roma 1997, vol, X/2, pag. 211-212

[10] Agost., Cfr. Discorso del Signore sulla montagna, II,7,27, cit., Roma 1997, vol. X/2, pag. 213.

[11] Agost., Cfr. Discorso del Signore sulla montagna, II,7,27, cit., Roma 1997, vol. X/2, pag. 213; Cfr. Discorso, 57,7,7, Roma 1982, vol. XXX/1, pag. 171-173.

[12] Agost., Discorso, 333,1,1, cit., Roma 1986, vol. XXXIII, pag. 841.

[13] Agost., Discorso del Signore sulla montagna, II,7,27, cit., Roma 1997, vol. X/2, pag. 213.

[14] Agost., Discorso del Signore sulla montagna, II,7,27, cit., Roma 1997, vol. X/2, pag. 213.

[15] Discorso, 58,4,5, cit., Roma 1982, vol. XXX/1, pag. 187.

[16] Agost., Lettera 130 a Proba 11,21, cit., Roma 1971, vol. XXII, pag. 97; cfr. Discorso, 58,4,3: cit., Roma 1982, vol.

XXX/1, pag. 187; Discorso, 59,3,6, cit., Roma 1982, vol. XXX/1, pag. 205; Discorso del Signore sulla montagna,

II,7,25, cit., Roma 1997, vol. X/2, pag.  211.

[17] Agost., Discorso, 58,4,5, cit., Roma 1982, vol. XXX/1, pag. 187.

[18] Agost., Cfr. Discorso, 57,7,7, cit., Roma 1982, vol. XXX/1, pag. 171.

[19] Agost., Cfr. Discorso, 58,4,5, cit., Roma 1982, vol. XXX/1, pag. 187.

[20] Agost., Discorso, 58,4,5, cit., Roma 1982, vol. XXX/1, pag. 187.

[21] Agost., Discorso, 56,6,10, cit., Roma 1982, vol. XXX/1, pag. 151.

[22] Agost., Cfr. Lettera 130 a Proba, 12, 23, cit., Roma 1971, vol. XXII, pag. 99.

[23] Agost., Lettera 130 a Proba, 6,12, cit., Roma 1971, vol. XXII, pag. 87.

[24] Agost., Discorso, 80,7, cit., Roma 1982, vol. XXX/1, pag. 591.

[25] Agost., Cfr. Discorso, 61,10,11, cit., Roma 1982, vol. XXX/1, pag. 239-241

[26] Agost., Discorso, 57,7,7, cit., Roma 1982, vol. XXX/1, pag. 171.

[27] Agost., Discorso, 56,6,9, cit., Roma 1982, vol. XXX/1, pag. 149-151.

[28] Agost., Cfr. Trinità, 5,14,15, cit., Roma 1973, vol. IV, pag. 257.

[29] Agost., Discorso, 333,1,1, cit., Roma 1986, vol. XXXIII, pag. 841.

[30] Agost., Cfr. Discorso del Signore sulla montagna, II,7,25, cit., Roma 1997, vol. X/2, pag. 211.

[31] Agost., Discorso, 61,7,8, cit., Roma 1982, vol. XXX/1, pag. 237.

[32] Agost., Esposizione sul salmo 103,I,19, cit., Roma 1976, vol. XXVII, pag. 675.

[33] Agost., Discorso, 56,6,10, cit., Roma 1982, vol. XXX/1, pag. 151.

[34] Agost., Discorso, 56,6,10, cit., Roma 1982, vol. XXX/1, pag. 151.

[35] Agost., Esposizione sul salmo 145,17, cit., Roma 1977, vol. XXVIII, pag. 755,

[36] Agost., Discorso, 45,1, cit., Roma 1979, vol. XXIX, pag. 773-775.

[37] Agost., Esposizione sul salmo 84,9, cit., Roma 1970, vol. XXVI, pag. 1227.

[38] Agost., Cfr. Manuale sulla fede, la speranza e la carità, 30,115, cit., Roma 1995, vol. VI/2, pag. 615.

[39] Agost., Troviamo questa duplice spiegazione nei 4 Discorsi relativi alla preghiera domenicale e nel Discorso

    del Signore sulla montagna. Nella Lettera 130 a Proba, Agostino intende per cibo spirituale il solo Corpo

del Signore, mentre nel Manuale sulla fede, la speranza e la carità, non adduce nessuna spiegazione.

[40] Agost., Discorso, 58,4,5, cit., Roma 1982, vol. XXX/1, pag. 187.

[41] Agost., Cfr. Lettera 130 a Proba, 11,21, cit., Roma 1971, vol. XXII, pag. 97.

[42] Agost., Discorso, 112,7,8, cit. Roma 1983, vol. XXX/2, pag. 395.

[43] Agost., Cfr. Discorso, 59,3,6, cit., Roma 1982, vol. XXX/1, pag. 205.

[44] Agost., Cfr. Discorso, 56,6,10, cit., Roma 1982, vol. XXX/1, pag. 151.

[45] Agost., Cfr. Discorso, 227,1, cit., Roma 1984, vol. XXX/1, pag. 387.

[46] Agost., Discorso, 229/A, 1, cit., Roma 1984, vol. XXXII/1, pag. 413.

[47] Agost., Cfr. Discorso, 57,7,7, cit., Roma 1982, vol. XXX/1, pag. 171-173.

[48] Agost., Cfr. Discorso, 132/A, 1-2, cit., Roma 1990, vol. XXX/1, pag. 213-215.

[49] Agost., Discorso, 71,11,17, cit., Roma 1982, vol. XXX/1, pag. 423; Commento al Vangelo di Giovanni, 26,11, cit. Roma 1968, vol. XXIV, pag. 607-609.

[50] Agost., Cfr. Discorso, 131,1, cit., Roma 1990, vol. XXX/1, pag. 193.

[51] Agost., Cfr. Discorso, 90,6-8, cit., Roma 1983, vol. XXX/2, pag. 109.

[52] Agost., Discorso, 106,IV,4, cit., Roma 1983, vol. XXX/2, pag. 321.

[53] Agost., Cfr. Discorso, 2,5,6, cit., Roma 1979, vol. XXIX, pag. 17-19; Commento al Vangelo di Giovanni, 7,2, cit., Roma 1968, vol. XXIV, pag. 155-157.

[54] Agost., Cfr. Discorso, 28,3, cit., Roma 1979, vol. XXIX, pag. 529.

[55] Agost., Cfr. Discorso, 56,6,10, cit., Roma 1982, vol. XXX/1, pag. 151.

[56] Agost., Discorso, 57,7,7, cit., Roma 1982, vol. XXX/1, pag. 171-173.

[57] Agost., Discorso del Signore sulla montagna, II, 7,27, cit., Roma 1997, vol. X/2, pag. 213.

[58] Agost., Discorso, 56,6,10, cit., Roma 1982, vol. XXX/1, pag. 151.

[59] Agost., Discorso, 229/E,4, cit., Roma 1984, vol. XXXII/1, pag. 435.

[60] Agost., Discorso del Signore sulla montagna, II,10,37, cit., Roma 1997, vol. X/2, pag. 225-227.

[61] Agost., Cfr. Discorso, 57,7,7, cit., Roma 1982, vol. XXX/1, pag. 171-173.

[62] Agost., Discorso, 59,3,6, cit., Roma 1982, vol. XXX/1, pag. 205.

[63] Agost., Cfr. Discorso, 242/A,3, cit., Roma 1984, vol. XXXII/2, pag. 669.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Commenti sul post