Il Martirologio Geronimiano, il 22 settembre fa memoria del martirio di Maurizio, insieme a Esuperio, Candido, Vittore, Innocenzo e Vitale, che facevano parte della legione detta Tebea, che l’imperatore Massimiano Erculio (Sirmio, 250 circa – Massilia, 310), nel 285, aveva trasferito, insieme ad altre truppe, dall’Oriente in Gallia per combattere la ribellione dei Bagaudi, che erano contadini pastori e vagabondi, ancora legati alle loro tradizioni celtiche. La storia del loro martirio è assai controversa, ne parla per primo Eucherio, vescovo di Lione (+450), nella Passio martyrum Acaunensium, dove racconta il massacro avvenuto ad Acauno (l’odierna Saint-Maurice-en-Valais nel Canton Vallese in Svizzera), di 6.600 soldati cristiani della legione Tebea, che era stata reclutata in Egitto e così chiamata dal nome della città di Tebe, che si trovava nel medio corso del Nilo.
La legione, in cui erano ufficiali Maurizio, Esuperio e Candido, prima di essere trucidata fu per due volte decimata per il rifiuto di partecipare alla persecuzione contro i cristiani della Gallia. Il racconto del vescovo di Lione fa trasparire il suo lealismo che, pur esaltando il rifiuto dei soldati cristiani di ubbidire ad un ordine inaccettabile, mette bene in evidenza il dovere che i cristiani hanno verso lo stato e che trova il limite solo quando questo pretende il rinnegamento di Dio. Secondo una Passio del VII sec., il fatto sarebbe avvenuto durante la campagna condotta da Massimiano contro i Bagaudi.
La legione Tebea, di stanza ad Agauno, prima di iniziare i combattimenti fu convocata a Octodurum, l’odierna città svizzera di Martygny, per offrire sacrifici alle divinità pagane e per prestare un giuramento speciale all’imperatore; i soldati, che si rivelarono cristiani, guidati dal loro primicerius Maurizio, risposero: <<Finché Cesare ci comanda di combattere contro i nemici dell’impero, noi siamo pronti ad obbedire. Ma non possiamo perseguitare i cristiani né assistere a sacrifici idolatri>>. I legionariper due volte respinsero l’ingiunzione imperiale, confessando con libertà di essere soldati dell’impero e <<nello stesso tempo servi del vero Dio>>, quindi continuarono dicendo: <<Non possiamo eseguire i vostri ordini quando sono contrari ai suoi. Giudicate voi stessi a chi di voi due dobbiamo dare la preferenza. Ci sarebbe stato facile vendicare la morte ingiusta dei nostri compagni; non lo abbiamo fatto, ci siamo disarmati da noi. Preferiamo dunque morire che fare del male ai nostri fratelli e non abbiamo incertezza tra il vivere colpevoli e il morire innocenti>>.
Questi coraggiosi soldati prima furono decimati e poi condannati a morte e decapitati. Il Martirologio Romano cita solo i nomi di Maurizio, Candido, Essuperio e Vittore, che forse apparteneva ad un’altra legione, e lascia indeterminato il numero totale degli uccisi. In ogni caso, la lista dei martiri della legione Tebea si è allungata, assorbendo un gran numero di personaggi di dubbia identità o molto probabilmente di diversa origine. I due racconti, quello più antico di Eucherio di Lione (380 –449 o 450) e la Passio del VII sec., presentano certamente delle inverosimiglianze e degli anacronismi ma, poiché la tradizione più antica è quella di Eucherio, ad essa dobbiamo far fede per ricostruire una maggiore verosimiglianza dei fatti. Il luogo del martirio di Maurizio e dei Compagni sarebbe stato rivelato miracolosamente a san Martino di Tours che, recatosi in visita nella regione, vide la terra trasudare sangue.
I resti dei martiri furono recuperati e distribuiti in varie chiese. Ad Agaunum, Teodoro, il primo vescovo di Martigny, fece costruire una chiesa da cui nacque poi l’Abbazia di Saint Maurice che, più volte ricostruita, ha mantenuto vivo fino ad oggi il culto del Santo, testimoniato anche dal gran numero di località intitolate a San Maurizio su entrambi i versanti delle Alpi ed anche in terre più lontane. Quando il Vallese occidentale entrò a far parte dei possedimenti dei Savoia, il culto dei martiri si legò strettamente alla dinastia. Nel 1434 Amedeo VIII istituì l’Ordine Cavalleresco di San Maurizio che, nel 1572, Emanuele Filiberto unì con quello di San Lazzaro. Le Reliquie di san Maurizio furono portate a Torino nel 1591 e sono ora custodite nella cappella della Sindone.
Gli Alpini, come i legionari Tebani, hanno un caratteristico reclutamento regionale, un accentuato spirito di corpo, una disciplina fondata sulla stima e sull’ascendente personale dei superiori che li accosta a san Maurizio, celeste patrono di questo glorioso Corpo dal 1941, anno in cui fu dichiarato tale dal santo padre Pio XII col Breve 659/41 del 2 luglio della Sacra Congregazione dei Riti. Nel 1936 infatti i cappellani militari furono chiamati a proporre un santo patrono per il Corpo degli Alpini. Tra i tanti santi proposti prevalse san Maurizio martire perché, come disse Mons. Ferdinando Prosperini, cappellano militare nella prima guerra mondiale, <<fu celebre martire, intrepido combattente per la Patria e per Cristo, soldato alpino in una legione alpina e venerato in regioni alpine>>.
Su le nude rocce, sui perenni ghiacciai, su ogni balza delle Alpi ove la provvidenza ci ha posto a baluardo fedele delle nostre contrade, noi, purificati dal dovere pericolosamente compiuto, eleviamo l’animo a Te, o Signore, che proteggi le nostre mamme, le nostre spose, i nostri figli e fratelli lontani, e ci aiuti ad essere degni delle glorie dei nostri avi.
Dio onnipotente, che governi tutti gli elementi, salva noi, armati come siamo di fede e di amore.
Salvaci dal gelo implacabile, dai vortici della tormenta, dall’impeto della valanga, fa che il nostro piede posi sicuro sulle creste vertiginose, su le diritte pareti, oltre i crepacci insidiosi, rendi forti le nostre armi contro chiunque minacci la nostra Patria, la nostra Bandiera, la nostra millenaria civiltà cristiana.
E Tu, Madre di Dio, candida più della neve, Tu che hai conosciuto e raccolto ogni sofferenza e ogni sacrificio di tutti gli Alpini caduti, tu che conosci e raccogli ogni anelito e ogni speranza di tutti gli Alpini vivi ed in armi. Tu benedici e sorridi ai nostri Battaglioni e ai nostri Gruppi. Così sia.
Diac. Sebastiano Mangano