Cronaca

Sono trascorsi 102 anni dalla nascita e 10 anni dalla morte di mons. Santo D’Arrigo, decano del clero catanese, parroco per oltre un cinquantennio ai “Santi Angeli Custodi”, scrittore, teologo ed agiografo, prelato d’onore di Sua Santità, di straordinarie doti pastorali, intellettuali, culturali e morali messe totalmente a disposizione di un ministero sacerdotale lungo, fecondo e misericordioso, a servizio del popolo del quartiere San Cristoforo, dei bambini e dei ragazzi orfani e bisognosi del secondo dopoguerra, degli ammalati e dei disabili. Uomo di preghiera e di azione, infaticabile evangelizzatore e predicatore della Parola di Dio, apostolo delle vocazioni, missionario dei lavoratori, fondatore di opere di grande rilievo sociale ed assistenziale come la “Città dei Ragazzi” all'<Angelo Custode> e il <Villaggio San Giuseppe> per i diversamente abili a Monterosso Etneo, nonché dell’I.C.A.M. (Istituto Catechistico Annunciazione di Maria) per l’educazione catechetica nelle parrocchie. La solidarietà umana a tutto raggio fu il suo radicale programma di vita, prima a casa, poi in seminario, in parrocchia, nei gravosi impegni ecclesiali e sociali.

   Padre Santo nacque nel quartiere della Civita, il 25 ottobre 1914, da Rosario e Concetta Blandini, ultimo di una sorella e quattro fratelli: una famiglia patriarcale ricca di affetti e di valori umani e cristiani quali la fede in Dio, l’onestà, la laboriosità, il sacrificio, la carità, il rispetto verso gli anziani. Battezzato nella chiesa dell’ex monastero San Placido, da piccolo aiutava il padre pescatore tenendogli le reti da pesca da rattoppare, finché alla sua morte nel 1920, la famiglia traslocò nel palazzo Asmundo-Peratoner, tra via Garibaldi e piazza Mazzini, per il servizio di portineria della mamma rimasta vedova. Il piccolo Santo, abituato alle rinunce e ai fioretti, resosi conto delle difficoltà economiche, dopo le ore dedicate con impegno alla scuola e allo studio, cercava d’imparare qualunque mestiere artigianale consono alla sua età, come quello di garzone di barbiere, e trovava il tempo anche di frequentare l’Oratorio salesiano già dei Filippini di via Teatro Greco, per le lezioni di catechismo e le vivaci ore di sport e di svago. Ragazzino vispo, riflessivo e  volenteroso, il 26 maggio dell’Anno Giubilare 1925, memoria di San Filippo Neri, ricevette la Prima Comunione.

   Assecondata da una zia paterna “monaca di casa” e dal direttore spirituale dei seminaristi, mons. Gaetano Messina, manifestò presto la vocazione al sacerdozio incoraggiata da Mamma Concetta, che quasi nascostamente si sottopose ad altri più intensi sacrifici pur di mantenere Santuzzu “cristianeddu e parrineddu” agli studi di formazione verso l’ordinazione nei vecchi locali del Seminario dei Chierici di Porta Uzeda, attaccato alla Cattedrale, del cui Capitolo era priore il rettore, mons. Emilio Ferrais, arcivescovo coadiutore del cardinale Giuseppe Francica Nava che ispirò la vita dei seminaristi al carisma educativo salesiano di Don Bosco. L’amore verso il seminario nacque allora nell’adolescente e disciplinato alunno D’Arrigo che lo avrebbe alimentato per tutta la vita con i sacrifici e le iniziative che solo lui sapeva ideare. Possono testimoniarlo i sacerdoti la cui vocazione è nata nel cuore di padre Santo, pastore buono e coraggioso. La giovinezza trascorse nella preghiera, nello studio, nell’obbedienza che avrebbero forgiato il suo carattere forte e determinato, addolcito dalla pazienza e dalla perseveranza con le quali avrebbe affrontato gli inevitabili problemi della crescita e del raggiungimento dei traguardi di un seminarista consapevole dei suoi difetti e anche della sue ottime capacità. Il sistema di vita molto esigente del Seminario nonché gli studi umanistici e teologici fecero recepire le tante forme di autocontrollo richieste dallo stile educativo allora in vigore. Alunno del ginnasio inferiore, Santo il 5 giugno 1927 fu cresimato dall’arcivescovo Ferrais e l’8 dicembre successivo ricevette la vestizione clericale con lo scegliere come patrono della sua vita sacerdotale il giovane santo gesuita belga Giovanni Berchmans, devotissimo dell’Eucarestìa e della Madonna.

    Ad accompagnarlo, in seguito, negli studi sarebbero stati due saggi sacerdoti, Salvatore Russo e Francesco Pennisi, futuri vescovi di Acireale e di Ragusa, che indussero il seminarista D’Arrigo -dotato di buona memoria, di volontà di ferro, di predilezione verso la lettura e di ottimismo volitivo e spontaneo- ad osservare con puntiglio ma anche con sornione buonumore i rigidi ritmi scolastici, spirituali, devozionali del Seminario. Così il 28 ottobre 1934 Santo ricevette la tonsura, seguita dagli “Ordini minori”: l’Ostiarato e il Lettorato il 20 ottobre 1935, e successivamente l’Esorcistato e l’Accolitato. A portare all’altare il giovane chierico per l’ordinazione diaconale e presbiterale fu mons. Pennisi, che aveva acquisito una preziosa esperienza socio-assistenziale a servizio dei poveri e degli ammalati come cappellano della Casa della Carità, diretta dalla serva di Dio suor Anna Cantalupo. D’Arrigo usufruì della sapienza affascinante del Pennisi, ricco di humor e di tanto buon senso e dell’ardore vocazionale del cugino, padre Alfio Riela, promotore dell’Opera Vocazioni Ecclesiastiche, futuro direttore della Pontifica Opera Assistenza ed ideatore della Giornata pro Seminario, della cui istituzione i due cugini furono la mente e il braccio. Come prefetto degli studi ebbe mons. Carlo Vota, docente severo ed autorevole dottore in utroque jure, mentre padre Ascensio Mio curava in modo impareggiabile l’economato del seminario la cui responsabilità sarebbe poi passata nelle mani di mons. Carmelo Scalìa, rigoroso docente di latino. Con personalità ecclesiastiche di così alto livello intellettuale e dottrinale, il Seminario era in realtà un piccolo ateneo di grande qualità culturale.

   Il chierico Santo, dal carattere forte e deciso, aveva la buona abitudine di annotare, in quaderni, lunghe e commoventi riflessioni spirituali, spesso con stile poetico, frutto di preghiera, meditazioni, propositi, considerazioni, pensieri raffinati da studi classici, filosofici, teologici, scritturistici e da un continuo esame di coscienza e da un rinnovato “voto di praticare la virtù della purezza”, con totale fiducia nell’infinita misericordia di Dio, nella speranza di poter sconfiggere orgoglio, disubbidienza, insubordinazione, ripetuti scatti d’ira, impazienza, insolenza, invidia, risentimento, mancanza di carità. Santo ricevette il suddiaconato il 24 ottobre 1937 durante gli esercii spirituali predicati dal pio sacerdote veneziano Mario Venturini, fondatore della Congregazione di Gesù Sacerdote e zelante delle vocazioni. L’ordinazione diaconale avvenne il 27 febbraio 1938. Il promettente chierico D’Arrigo, dal brillante iter scolastico ed entusiasta d’abbracciare la solitaria vita celibataria di prete cattolico della tradizione romano-latina, fu severo ed esigente “prefettino” della camerata “San Tarcisio”, intento ad educare al sacrificio gratuito e libero i giovanissimi aspiranti seminaristi. Era un esempio per tutti: studiava con grande profitto e non aveva timore di controbattere in latino le opinioni dei suoi professori di filosofia e teologia allora considerate “venerate e infallibili”. Non mancarono al chierico D’Arrigo, prima, e al prete D’Arrigo poi, gradevoli doti di comicità, allegria e teatralità, tanto utili per un uomo di robusta fede per superare nella vita le inevitabili disavventure.

   La severa disciplina nello studio e nel comportamento lo tennero lontano dalla mediocrità, dall’ambiguità, dalla tiepidezza, dal quieto vivere. Il segreto della sua spiccata personalità stava nell’aver saputo sviluppare alcune doti intellettuali e morali di grande equilibrio come la costanza, la continuità, la coerenza, l’insistenza, la sincerità, l’obiettività, la concretezza: un salutare pragmatismo legato all’idealismo della coscienza di ministro della misericordia redentrice di Cristo. Da qui derivavano le altre doti umane e sacerdotali di Santo D’Arrigo: la bontà d’animo, la serenità di spirito, la pazienza nell’affrontare le prove, la comprensione delle miserie altrui, la longanimità, l’amorevolezza verso tutti. Dal volto sempre sorridente e soffuso di grazia, emanava un fascino irresistibile che si combinava brillantemente con il suo parlare imperioso e deciso, fatto di parole semplici ed immediate, ricche di saggezza popolare mutuata dal focolare domestico. L’intelligenza acuta si univa all’inesauribile fantasia nel cercare nuove strade per diffondere nel cuore dei fedeli i precetti evangelici, basati sull’infinita misericordia del Signore.

   La mattina della domenica 10 luglio 1938 il diacono D’Arrigo, assieme ad altri quattro compagni di seminario, a 24 anni, venne ordinato sacerdote dall’arcivescovo mons. Carmelo Patanè nella chiesa del monastero San Benedetto delle monache benedettine dell’Adorazione perpetua del Santissimo Sacramento, in via Crociferi. Quel giorno si tenevano nella chiesa Sant’Agata alle Xiare le Sante Quarantore, in ringraziamento al Signore per l’intercessione della santa Patrona che aveva ottenuto da Dio il risparmio della città dalla distruzione della lava, mentre nella chiesa Maria Santissima Annunziata al Carmine si teneva la Quindicina di ossequi in onore della Beata Vergine del Monte Carmelo. L’Eucarestia, la Madonna e Sant’Agata sarebbero state per tutta la vita le stelle del suo sacerdozio. Subito dopo l’ordinazione, l’arcivescovo gli assegnò l’incarico di docente del ginnasio inferiore del Seminario e, considerate le sue capacità intellettuali, lo mandò a Roma a studiare presso l’Università Lateranense. Formatosi, durante il pontificato di Pio XI e il fascismo, con educatori e docenti di grande spessore culturale ed umano, la vita sacerdotale di padre Santo percorse gli anni dell’anteguerra, della guerra e del dopoguerra in un operoso impegno pastorale e ministeriale di larga portata sociale, avendo come modello il Vangelo applicato sine glossa al laicato, all’Azione Cattolica, al catechismo. Ebbe pure affidata, da direttore della Casa di riposo del Clero “Cardinale Dusmet” in Santa Maria degli Ammalati di via G. Verdi, anche la cappellania della chiesa Sant’Euplio costruita sopra la cripta romana del III secolo e diventata, sotto la rettoria del can. Tullio Allegra, meta eucaristica dei catanesi e della devozione verso il santo martire compatrono concittadino. Fu nell’ex eremo Madonna degli Ammalati che padre Santo iniziò a manifestare il suo amore per gli ammalati, gli anziani, i poveri avendo filiale cura dei confratelli sacerdoti infermi ed invalidi ed anche senza casa, a causa dei bombardamenti anglo-americani, che nella primavera-estate 1943 divennero continui, devastanti e terrificanti.

   Padre D’Arrigo fu testimone di una delle più spietate carneficine che decimarono la città, per più di un terzo evacuata dallo sfollamento di massa, nel primo pomeriggio di quel tragico e sanguinoso giovedì 8 luglio 1943, nell’imminenza del suo 5° anniversario di ordinazione. Allorché suonò l’allarme stava uscendo dalla Casa del Clero per recarsi, in leggero ritardo, nella chiesa di via S. Euplio che, colpita in pieno, fu ridotta in un cumulo di macerie. Per strada lo colse il furioso bombardamento dalla violenza senza precedenti, ma proseguì lo stesso e arrivato sul posto non esitò a salvare la pisside delle ostie consacrate, chiusa nel tabernacolo dell’altare maggiore, e a mettere in salvo il simulacro reliquiario processionale di S. Euplio. Seguì una notte di orrore e di morte: la città rimase senza acqua, luce e viveri.

   Nell’ottobre del 1943, in attesa del rientro del curato scomparso per lo sbandamento causato dall’emergenza nell’imminenza dello sbarco alleato, padre Santo fu “provvisoriamente” incaricato di reggere la chiesa curata dei Santi Angeli Custodi, gravemente danneggiata nell’incursione aerea dell’11 maggio 1943. Padre D’Arrigo, all’età di 29 anni, si trovò catapultato dalla Provvidenza, con le funzioni di parroco di fatto, in un rione periferico di gente di mare, all’interno del vasto quartiere di San Cristoforo dov’era sopravvissuta a tre anni di sofferenze e di fame la popolazione martoriata dai bombardamenti nei bassi, nei vicoli, nei cortili, senza pane, senza assistenza, senza rifugi, Nell’ottobre 1957 ebbe assegnato come vicario cooperatore il giovanissimo padre Maurino Licciardello il quale riuscì a convincere il suo superiore a coronare gli studi presso la Pontifica Università Gregoriana per approfondire le conoscenze in campo scritturistico, dogmatico e morale. Così padre Santo si laureò “summa cum laude” in “utroque jure”, dopo che con impegno si era rimboccato le maniche per riparare chiesa e canonica, assistere i parrocchiani, gli orfani, le vedove, i reduci. Le sue capacità pratiche, guidate con i piedi a terra e gli occhi in cielo da un solido ottimismo e da una retta prammatica, furono subito messe alla prova. Egli, definito “parroco del catechismo e dell’Azione Cattolica parrocchiale”, è stato uno dei protagonisti della difficile opera di ricostruzione morale, sociale e materiale di Catania e della pastorale diocesana mirante all’impegnativo apostolato parrocchiale socio-politico dei laici, anche grazie ai comitati civici che favorivano il partito dei cattolici. Padre Santo governò con polso saldo, le idee chiare, molto coraggio e ferma determinazione la parrocchia dedicata all’Angelo Custode, per cui curò il culto all’arcangelo san Raffaele, la cui statua fino agli anni Sessanta faceva portare in processione per le strade del quartiere con grande partecipazione popolare.

   Vivace ed intraprendente come un ragazzo volitivo, sembrava ai superficiali innovatori di moda degli anni Sessanta un prete “preconciliare” pago delle conquiste meritate sul campo. Invece andò incontro con spirito realista alle novità ecclesiali introdotte dal Concilio con un bagaglio ricco di esperienze pastorali-socio-caritative dovute alla carità evangelica praticata più che predicata, e le sue omelìe erano ben comprensibili dalla gente semplice del quartiere, abituata alla lotta quotidiana per la vita, agli esempi concreti di fede cristiana. Ebbe anche la cura della chiesetta votiva del Santissimo Salvatore in via Del Principe, ricostruita con le offerte dei pescatori e dei marinai della Plaja subito dopo la guerra. Com’era felice quando la prima domenica d’agosto si teneva la festa esterna della Trasfigurazione del Signore e all’inizio di febbraio i pescivendoli lo chiamavano a benedire la loro candelora al Porto o al Mercato Ittico per poi girare per le stradine della Pescheria dominata dalla chiesa già carmelitana Santa Maria dell’Indirizzo di cui fu rettore! Nonostante la solida cultura, amava parlare in dialetto per comunicare meglio con i parrocchiani che conosceva uno per uno. Incarnò nella sua vita il motto paolino “Charitas Christi urget nos” e si donò tutto a tutti senza ritenere tempo sprecato dedicarsi all’educazione dei piccoli, degli adolescenti, dei giovani cresciuti sotto l’ala dell’Angelo Custode. Non risparmiò fatiche né denaro che non aveva ma che riusciva a procurarsi, per i suoi “carusi” che incoraggiava, premiava, esortava in tutti i modi. La fantasia apostolica non gli mancava e neanche si accorgeva di aver diritto al meritato riposo. Pensava sempre con prontezza d’intuito alle urgenze da affrontare e programmava impegni e progetti arditi e geniali sulle ali della fantastica carità cristiana. Prete a tempo pieno a servizio dei poveri a lui affidati, fu definito “elemosiniere della Provvidenza”.

   Padre D’Arrigo univa con naturalezza preghiera, studio, servizio pastorale, impegno sociale. Inginocchiato davanti al tabernacolo non abbandonava mai la corona del Rosario, il breviario, la Bibbia, il messale, i testi di catechismo. Apparentemente burbero ed austero, era tenerissimo con tutti che in breve tempo portava in confessionale, a lavare i panni della coscienza macchiata, ma confessava ovunque, per strada, in auto e badava con amore paterno alla formazione delle coscienze. Per gli esercizi spirituali chiamava in parrocchia zelanti confratelli ai quali affidava la predicazione catechetica in preparazione alla Pasqua anche per diverse categorie di lavoratori. La sua era la voce <sine glossa> del Vangelo e le sue omelìe erano di chiara e rara efficacia: toccavano il cuore perché erano il riflesso di vita vissuta. Si dedicava alla direzione spirituale senza trascurare i gravosi impegni propri di una parrocchia popolare, se non misera e proletaria. Tanti hanno potuto beneficiare delle straordinarie doti di padre Santo: l’intuitiva intelligenza, la lungimiranza di vedute, l’ottimismo perseverante, la genialità delle trovate, il coraggio di osare e di sperare unito allo stile semplice, sbrigativo anche nelle faccende più ingarbugliate. Ogni sua conversazione, anche rapida, terminava con un rassicurante “Viva Gesù!”. Nel suo cuore albergava una chiara certezza di fede: credere significava sapere con l’intelletto e col cuore che Dio lo amava con un amore di predilezione per servirLo nel e col sacerdozio. Acuto osservatore della pietà popolare che anch’egli praticava e gustava non divenne mai festaiolo a buon mercato, trascurando i doveri cristiani verso i poveracci, gli operai, gli artigiani, gli anziani, le vere necessità dei popolani che bussavano alla sua porta per chiedere di tutto senza mai essere mandati via a mani vuote.

   Nella predicazione mise a buon frutto i suoi carismi di oratoria popolare: fantasia, furbizia, eloquio, gestualità, teatralità, sentimento, compassione, spontaneità. Fu “parroco d’assalto” col suo cuore armato di fede, speranza e carità, a difesa della povera gente. Nello slancio fraterno di carità operativa era un astuto padre prodigo. La sua parrocchia era divenuta una specie di ufficio di collocamento: a lui si rivolgevano tante persone che cercava di aiutare in tutti i modi. Queste rare doti d’animo si univano in simbiosi con altre doti naturali: amava camminare, recitare, cantare, suonare. Era un uomo di cultura missionario del Vangelo, che metteva a profitto il suo umanesimo cristiano predicato, la sua pedagogia educativa praticata con magistrale efficacia e coerenza. Non perdeva mai tempo, passava dalla lettura alla scrittura, dall’intuizione all’attuazione dei progetti che ideava con sano realismo. Nonostante fosse molto impegnato in parrocchia ebbe in diocesi altri gravosi incarichi: assistente della Gioventù femminile di AC, vicario distrettuale, giudice prosinodale, membro del consiglio presbiterale, ecc.. Nel vulcanico dinamismo pastorale trovò sostegno in tutti gli arcivescovi di Catania: da mons. Carmelo Patanè a mons. Salvatore Gristina.

   Mons. D’Arrigo è ricordato come rifondatore e direttore della Città dei Ragazzi a San Cristoforo, nel cuore della Catania popolare, capolavoro di carità sociale cristiana ideato, promosso ed avviato da padre Giuseppe Serrano, orfano della Grande Guerra e cappellano della “Casa della Carità”, che iniziò a raccogliere per le strade tanti ragazzi poveri, orfani di guerra, abbandonati, sviati, analfabeti. L’Opera ebbe subito nell’immediato dopoguerra grande rilievo anche fuori l’ambito cittadino e ha salvato dalla strada migliaia di ragazzi educandoli allo studio, al lavoro, alla dignità. Nel 1951 per gravi ragioni di salute padre Serrano l’affidò al confratello D’Arrigo che fin dall’autunno del 1943 aveva iniziato ad assistere numerosi bambini bisognosi, senza famiglia, girovaghi, sbandati e straccioni, dimenticati da tutti soprattutto nel quartiere di San Cristoforo alle Xiare, sorto per i senza tetto dell’eruzione del 1669 e del terremoto del 1693. Il cuore di padre Santo soffriva nel constatare i danni vergognosi e gravissimi che la guerra aveva prodotto sugli innocenti e gli inermi per la tenera età e le condizioni sociali di subalternità. Così, con stile salesiano e da “elemosiniere della Provvidenza”, iniziò con l’aiuto della mamma, della sorella e di alcuni parrocchiani a promuovere l’esaltante progetto di promozione umana e di evangelizzazione col compito primario di sfamare, vestire, pulire, educare. Dopo aver aperto con enormi sacrifici l’Orfanotrofio “Giovanna Samperi” riuscì a comprare il terreno confinante, a far demolire vecchie casupole e a costruire l’edificio, inaugurato il 2 febbraio 1948, che 7 anni dopo avrebbe ospitato la nuova Città dei Ragazzi che oggi offre un servizio di semiconvitto ai bambini dei quartieri più a rischio, in un contesto assai difficile e in un luogo dove le statistiche, in materia di devianza minorile, appaiono sconfortanti.

   Mons. D’Arrigo, inoltre, nel continuare ad agire nell’ordinario e nella ferialità di una modesta parrocchia ai margini del centro storico, produsse ancora cose straordinarie: pensò di raggruppare ragazzi bisognosi, orfani handicappati fisici e psichici in una nuova struttura, a Monterosso Etneo frazione di Aci Sant’Antonio, con la costruzione del “Villaggio San Giuseppe” che affidò a un gruppo di giovani volontarie, consacrate al Signore, per assistere maternamente e spiritualmente i ragazzi ricoverati: così nacque l’ICAM, Istituto Catechistico Annunciazione di Maria. La prima pietra fu posta il 2 febbraio 1967 da mons. Costantino Trapani, vescovo di Nicosia, e il 3 gennaio 1968 da mons. Pasquale Bacile, vescovo di Acireale. Oggi il Villaggio è Centro di riabilitazione per portatori di handicap che offre servizio residenziale, diurno e ambulatoriale per prestazioni giornaliere senza limite d’età, internato e semi-internato e si avvale di un’eccellente equipe di medici, psicologi, assistenti sociali per terapie riabilitative di kinesiterapia, psicomotricità, neuromotricità, logoterapia, musicoterapia. All’interno della futura cappella fu collocata terra fatta arrivare dalla Terra Santa; sopra fu costruito l’altare, dedicato il 10 luglio 2003, nel 65° anniversario d’ordinazione di padre Santo, dagli arcivescovi mons. Alfio Rapisarda, mons. Salvatore Gristina e mons. Pio Vigo.

   L’erezione dell’ICAM (associazione di vergini consacrate a Dio in Cristo e nella Chiesa dedite all’esercizio delle opere di pietà e di carità) in ente morale con finalità religiosa avvenne il 24 maggio 1965, festa di Maria Ausiliatrice, un anno dopo la fondazione del pio sodalizio. L’approvazione canonica diocesana era stata concessa dall’arcivescovo mons. Guido Luigi Bentivoglio; due mesi prima, il 25 marzo, festa dell’Annunciazione della Beata Vergine Maria, le prime anime “nunziatine” si erano consacrate al Signore con la professione dei voti di castità, povertà e obbedienza per le mani del vicario generale mons. Nicolò Ciancio. Nell’approvazione definitiva delle costituzioni il 19 marzo 1986 -dopo che esse furono aggiornate secondo il nuovo C.J.C. dallo stesso venerato fondatore e promotore padre Santo D’Arrigo, teologo e canonista- l’arcivescovo mons. Domenico Picchinenna scrisse che i membri dell’ICAM per raggiungere un particolare stato di perfezione cristiana sono da annoverare tra quelle persone ed aggregazioni ecclesiali che nei quartieri meridionali di Catania adempiono la loro missione di apostolato catechistico e compiono autentica opera di promozione umana di carattere educativo-assistenziale. Il 20 marzo 1991 mons. D’Arrigo firmò davanti a notaio il suo testamento e rese suo erede universale l’ICAM, eretto in ente morale con decreto del Presidente della Repubblica n.828 del 2 ottobre 1976. Il 25 marzo dell’anno del grande Giubileo del 2000, padre Santo istituì presso l’ICAM l’“Associazione dei Piccoli Amici di Gesù” in onore di San Giuseppe, degli Angeli Custodi e dei Santi Innocenti Martiri.

   Padre Santo è stato scrittore fecondo ed originale, cantore devoto della Madre di Dio e dei Setti Sacramenti e appassionato innografo e agiografo di Sant’Agata e di Sant’Euplio. Mons. Santi Pesce, teologo dommatico e censore ecclesiastico della Curia arcivescovile, a proposito dei due volumi sul martirio di Sant’Agata editi nel 1988 scrisse: “Nell’ingorgo di tanta carta stampata, il lavoro del sac. D’Arrigo, si presenta con tutte le carte in regola, con la dignità scientifica della ricerca storica e il messaggio di speranza al nostro mondo senz’anima”. Le nunziatine hanno voluto festeggiare il 65° anniversario dell’ordinazione del loro fondatore con la pubblicazione di un canzoniere-florilegio di poesie inedite dal titolo “Io canto al re il mio poema” in cui padre Santo si presenta come poeta della vocazione sacerdotale, che studiò e scrisse sino a quando, a tarda età, non fu colpito da ictus. E’ rimasto incompiuto, a livello di fogli-appunti manoscritti di iniziale stesura, una bozza di un’opera libraria, particolarmente impegnativa, di carattere teologico: un inno alla Carità di Cristo.

   Mons. D’Arrigo divenne parroco emerito dei Santi Angeli Custodi nel 1977, dopo aver ricoperto altri diversi uffici ecclesiali nell’arcidiocesi catanese alla quale rimase sempre incardinato e legato anche quando si trasferì al Villaggio San Giuseppe, in territorio diocesano di Acireale, rimanendo domiciliato presso l’ICAM Città dei Ragazzi di via Gramignani: rettore di Sant’Agata la Vetere e della chiesa Santa Maria dell’Indirizzo, assistente della Gioventù femminile di A.C., vicario foraneo, giudice prosinodale, segretario del Consiglio presbiterale e membro del Consiglio pastorale.

   Nell’immaginetta ricordo del 90° genetliaco fece stampare due pensieri che riflettono la sua profonda spiritualità: sul recto, sotto l’immagine eucaristica del calice del vino-sangue di Cristo con un grappolo d’uva bianca e alcune spighe di frumento è riportato un proposito di Basilio Moustakis di Atene: “Amerò i miei fratelli con il Tuo amore, li chiamerò a Te, li spingerò a Te, li offrirò a te”. Sul verso, è riportata una riflessione che attinge al salmo 98: “Canterò senza fine mio Dio, le meraviglie del tuo amore…con cui eternamente mi pensasti…con cui nel battesimo mi hai incorporato al Corpo  Mistico del tuo Gesù, nella Consacrazione Sacerdotale mi hai assunto con Gesù, morto in croce; e nelle sante Comunioni Eucaristiche mi hai assimilato con Gesù Risorto”. Al luminoso tramonto della giornata terrena, il fecondo itinerario della laboriosa vita -una straordinaria leggenda vivente di uomo di preghiera e di azione- ebbe un brusco cambio di rotta: già nonagenario l’11 settembre 2006 fu colpito da ictus che lo privò del movimento e della parola: fu costretto improvvisamente a percorrere la via dolorosa verso l’eternità in carrozzella o a letto, curato amorevolmente dalle sorelle nunziatine e accompagnato dalle preghiere e dalle attenzioni del personale e degli ospiti della “Città” e del “Villaggio” e dei tanti amici che lo stimavano.

   Nel 70° di ordinazione, il 10 luglio 2008, l’arcivescovo mons. Gristina presiedette una solenne concelebrazione eucaristica e benedisse una monumentale statua bianca di Gesù accogliente. Nell’immaginetta ricordo fu stampata una preghiera scritta da padre Santo: “Signore Gesù Ti ringrazio di avermi partecipato il Tuo sacerdozio e di avermi dato la grazia di servirti nei Tuoi fratelli più piccoli, disagiati, malati, emarginati. Ti chiedo perdono se non ho sempre saputo manifestare la grandezza del Tuo amore”. Sabato 10 gennaio 2009, padre Santo rese l’anima a Dio: la sera della domenica la sua salma fu portata sotto la pioggia nella sua amata chiesa dell’Angelo Custode e vegliata per tutta la notte dai parrocchiani, dai pescatori della Plaia e dai pescivendoli del Mercato ittico e dallo stesso arcivescovo che l’indomani, in Cattedrale, molto commosso, avrebbe celebrato le esequie dell’amico, esemplare ministro di Cristo. Il cordoglio fu plebiscitario: Catania perdeva un generoso figlio del popolo, un operoso e coraggioso prete di frontiera. Sepolto nella nuova cappella funeraria di Sant’Agata al Carcere del cimitero di Acquicella, il suo corpo attende di essere traslato nella parrocchiale degli Angeli Custodi come desiderano i parrocchiani di San Cristoforo e i tanti ex alunni della Città dei Ragazzi.

    A poco più di un anno dal transito al cielo, la sera di sabato 12 giugno 2010 padre Santo è stato ricordato nell’aula del Consiglio Comunale del Municipio di Catania, a Palazzo degli Elefanti, in occasione della cerimonia di assegnazione del Premio Internazionale “Chimera d’argento” promosso dall’Accademia d’Arte Etrusca, col patrocinio della Presidenza del Consiglio Comunale. Alla  presenza  delle consacrate dell’ICAM, le signorine Francesca Leanza e Mariannina Recupero, ritirò la speciale targa alla memoria di mons. Santo D’Arrigo la dottoressa Laura Lo Miglio, assistente sociale della Città dei Ragazzi. La motivazione così recita: “La sua poliedrica personalità può essere riassunta in quattro punti, il cui filo d’oro è rappresentato certamente dalla sua umanità che ispirava fiducia, incoraggiava e conquistava. Egli è stato un uomo di Dio, sacerdote fino al midollo. Un giorno disse di se stesso <Se non fossi prete, neppure esisterei>: Dio era realmente il centro della sua vita. Un apostolo della carità. Sono noti a tutti la sua generosità e il suo impegno soprattutto a vantaggio degli ultimi, nel lungo e fecondo ministero di parroco ai Santi Angeli Custodi”.

Antonino Blandini

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