Cultura

Le città spagnole di Valencia, Saragozza e Huesca hanno tutte rivendicato il titolo di patria del diacono Vincenzo[1]; secondo la tradizione e la pietà popolare, però, il diacono sarebbe nato a Huesca.

S. Vincenzo Martire in venerazione della Vergine col Bambino
Ludovico Caracci 1557-1619

Vincenzo, che fu vittima della persecuzione di Diocleziano, probabilmente nel 303, nacque ad Huesca da famiglia consolare; suo padre si chiamava Eutichio e sua madre Enola. Destinato allo studio delle lettere, fu affidato al vescovo di Saragozza Valerio che gli diede una solida formazione cristiana, tanto che il Vescovo, per la carità e la scienza che Vincenzo possedeva, lo nominò arcidiacono e suo primo collaboratore, affidandogli l’amministrazione dei beni della Chiesa. Il santo Diacono utilizzò i beni per l’assistenza alle vedove, agli orfani e ai poveri. E’ da sottolineare che Vincenzo, benché timido e non molto eloquente, godendo ormai  della totale fiducia del suo Vescovo, venne incaricato anche della predicazione del Vangelo.

            Durante la persecuzione di Diocleziano venne condotto a Valencia e al cospetto della folla venne fustigato e torturato, ma nessun supplizio, nessuna promessa lusinghiera riuscì a smuovere la sua ferma fede in Cristo Gesù e nella speranza della vita eterna.

            Il culto di San Vincenzo diacono  ha radici remotissime: Paolino di Nola[2] (inizio del sec. V), ricorda che era di origine spagnola  e lo annovera come uno dei maestri più autorevoli della Parola di Dio.

            Prudenzio[3] nel 405, nel Peristephanon, gli dedica molto spazio e ricorda che <<Vincenzo, il diacono del vescovo Valerio, viene condotto a Valencia per essere giudicato; sottoposto a molti crudeli tormenti, il corpo del Martire viene esposto alle fiere, poi gettato in mare e restituito dalle onde; la sabbia è il suo primo sepolcro>>[4].

Al tempo di Agostino san Vincenzo  era il più celebre dei martiri di Spagna e la sua venerazione era talmente diffusa che la sua Passio di veniva letta in chiesa prima dell’omelia.

Nell’anno 410 il Vescovo d’Ippona, nel natale del Protomartire di Spagna, proclama la vittoria di Vincenzo sul male dicendo: <<Con gli occhi della fede abbiamo ammirato un magnifico spettacolo: il martire Vincenzo vincitore sempre. Vince a parole, vince nei tormenti, vince nella confessione, vince nella tribolazione, vince quando è arso dal fuoco, vince quando è sommerso dalle acque; vince infine, nella tortura, vince da morto. Quando il suo corpo segnato dal trofeo di Cristo vincitore, dalla piccola imbarcazione veniva gettato in mare, diceva mormorando: <<siamo scagliati via, ma non è la fine per noi>> (2Cor 4,9)… Chiunque è convinto che Vincenzo sia riuscito a tanto con le proprie forze sbaglia assai.. Infatti, chiunque avrà avuto la presunzione di essere in grado di tanto con le sue proprie forze, per quanto sembri vincitore con la pazienza, è la superbia a riportare vittoria su di lui… Poiché… il superbo, il duro, l’arrogante vuole la lode per sé, non nel Signore… Cristo, infatti, era umile: Come una pecora fu condotto all’immolazione>>. Agostino, che aveva grande rispetto per la comunità che lo ascoltava in piedi, concludeva la sua omelia dicendo: <<Abbiamo ascoltato una lunga lettura, il giorno si è fatto breve: anche da parte nostra non dobbiamo abusare della vostra pazienza con un prolungato discorso. Abbiamo notato che avete ascoltato con sopportazione e, stando a lungo in piedi nell’ascolto, avete sofferto insieme al martire>>[5].

Nell’anno 411 Agostino, con il fervore di sempre, nel Discorso per il Natale del Martire Vincenzo, proclama dinanzi alla comunità cristiana che la forza avuta da Vincenzo nei tormenti subiti gli proviene dall’aiuto di Cristo:

  1. <<La nostra anima è avvinta da uno spettacolo magnifico che sorprende assai: mentre si leggeva sulla gloriosa passione del beato Vincenzo, abbiamo attinto con gli occhi dello spirito non un godimento senza valore alcuno e assai pericoloso, proprio di quelle frivolezze offerte dai teatri, ma veramente prezioso e vantaggioso al massimo. Era il piacere di osservare l’animo irremovibile del martire nell’affrontare le insidie dell’antico nemico, la crudeltà dell’empio giudice, le sofferenze della carne mortale nella tensione di una violentissima lotta e tutto superava con l’aiuto di Dio… facciamo l’elogio di quest’anima perché gli umili ascoltino e si rallegrino… All’intenso dolore delle membra si univa la serena fermezza delle parole come se a subire i tormenti fosse uno e, a parlare, un altro … il Signore ha predetto infatti, e lo ha promesso ai suoi martiri, dicendo: Non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi… Quali risorse può avere la polvere se non interviene l’aiuto di Colui che ci ha plasmati dalla polvere… Se infatti lo spirito maligno e seduttore invade molti e falsi veggenti, o suoi pseudomartiri, per indurli a procurarsi tormenti o a disprezzare quelli già inflitti, a convalidare la predicazione del suo nome, che gran cosa è per il Signore Dio nostro consegnare il corpo degli stessi predicatori proprio nelle mani dei persecutori, per poi metterne lo spirito al sicuro nella roccaforte della libertà? Ed allora anche se nel corpo infierisce l’odio, lo spirito è fermo nell’asserire la verità. Naturalmente, perché non sia la forza di sopportazione ma la giustizia a fare i martiri: non è la pena ma la causa che fonda l’identità dei martiri. Infatti, molti hanno tollerato dolori per ostinazione non per coerenza; per vizio, non per virtù; per colpevole errore, non per rettitudine di principi; diventati strumenti del diavolo, non perché da esso osteggiati. Al contrario, era il nostro Vincenzo ad avere la vittoria, ma in realtà il vincitore era Colui al quale egli apparteneva, suo possessore era Colui che aveva cacciato fuori il principe di questo mondo, allo scopo di ridurlo all’impotenza mentre assaliva stando di fuori, dopo averlo già vinto per sottrargli il dominio dell’intimo dell’uomo. Ora quello che è stato cacciato fuori, senza darsi tregua, va in giro cercando chi divorare, ma combatte a nostro favore Colui che, avendolo estromesso, regna in noi.

Mentre Vincenzo viveva la sua passione, il diavolo ebbe a soffrire più del martire.

 

  1. Insomma, per il fatto che non si riuscì a piegare Vincenzo, più ancora di questi era tormentato il diavolo persecutore. Infatti, quanto più quei tormenti si facevano brutali e di spietata crudeltà, tanto più la vittima trionfava del carnefice; da quel corpo, quasi zolla irrigata dal suo sangue, si faceva rigogliosa quella palma che esasperava tanto il nemico. Ma poiché questi ha infierito nel segreto e, vinto, resta atterrato nel segreto, nell’uomo che fungeva da magistrato appariva in modo manifesto quale fosse la rabbiosa contrarietà del diavolo, tanto che quest’avversario invisibile spuntava fuori dalle crepe del vasello che possedeva, che aveva riempito e si andava spaccando. Infatti, le grida di quest’uomo, gli occhi, l’aspetto, l’agitarsi scomposto di tutto il corpo rivelavano che pene dovesse provare, interiormente più torturanti di quelle che all’esterno faceva subire al martire. Se consideriamo il violento turbamento del persecutore e la serenità di colui che pativa i tormenti, è facilissimo distinguere chi era schiacciato dalle tribolazioni e chi era superiore ad esse. Quali saranno le gioie di coloro che regnano nella verità se sono tanto intense quelle di coloro che muoiono per la verità? Che sarà la sorgente della vita con il corpo diventato immortale quando è tanto soave nei tormenti appena la sua rugiada? Quali effetti provocherà il fuoco eterno negli empi, irriconoscibili quando sono fuori di sé per il furore dell’ira che hanno in cuore? Coloro che già nel giudicare si arrovellano, quando saranno sottoposti a giudizio, quali patimenti subiranno? I giudizi futuri dei santi che potere avranno dal momento che il letto di tortura del martire ha travolto il tribunale del giudice? Il corpo senza vita del martire non è restato privo della protezione divina. Dio favorisce l’onore alle reliquie dei Santi.

 

  1. D’altra parte, il Signore dimostra un insigne riconoscimento ai suoi testimoni, poiché Colui che sorregge i cuori di quelli che lottano non avrebbe lasciato in abbandono neppure i corpi di coloro che ci rimettono la vita, come rese noto con il miracolo tanto portentoso riguardo al corpo dello stesso Vincenzo; e affinché quel corpo – che il nemico aveva desiderato scomparisse del tutto, come aveva tentato e si era dato da fare – per sollecitudine del volere divino, si mostrasse in così piena luce e si rivelasse degno di più devota sepoltura e venerazione tanto che, per esso, si perpetuasse famosa la memoria della pietà che aveva vinto e dell’empietà definitivamente sconfitta. Veramente preziosa agli occhi del Signore la morte dei suoi santi, quando né si disprezza la terra da cui il corpo è plasmato, venendo meno la vita e, separandosi l’anima invisibile dalla casa visibile, dalla sollecitudine del Signore è custodito l’abitacolo del servo e, a gloria del Signore, viene onorato dai fedeli, servi come lui. Nel compiere opere mirabili nei riguardi dei corpi dei santi defunti, a che infatti vuole condurre il Signore se non a ricevere da lui la prova che non si perde ciò che di sé muore; ed inoltre perché da questo si comprenda in quale onore siano presso di lui le anime degli uccisi, se ne riceve il corpo senza vita da tanta partecipazione divina? Infatti, come l’Apostolo, parlando dei membri della Chiesa, ha fatto uso di una similitudine con le membra del nostro corpo, poiché quelle delle nostre membra che hanno meno onore le facciamo oggetto di maggiori attenzioni 8 così la provvidenza del Creatore, nel concedere ai cadaveri dei martiri testimonianze tanto eccellenti di miracoli, fa oggetto di più delicate attenzioni i resti senza vita degli uomini; quindi, dove ormai non resta che un qualcosa di indecoroso, quando la vita si trasferisce, ecco presente con piena evidenza il datore della vita>>[6].

Il Vescovo d’Ippona ha pronunciato diversi Discorsi dedicati al Martire Vincenzo nel suo giorno natalizio o della sua festa[7]. L’Ipponese, nel giorno della festa di san Vincenzo (22 gennaio) dell’anno 412, sottolinea che la forza del Martire viene da Cristo:

  1. <<Nella passione di cui oggi ci è stata data lettura … è posto in evidenza un giudice brutale, un carnefice sanguinario, un martire invitto. Nel corpo di lui, scavato dai tormenti, le membra erano disponibili alla prova, mentre era già esaurita la scorta dei mezzi di tortura. Ridotta a confusione da tanti prodigi, l’empietà teneva duro e la debolezza, pur tormentata dai supplizi, non cedeva: si riconosca che Dio era all’opera. Infatti, come avrebbe potuto resistere a tormenti così gravi la polvere corruttibile se Cristo non fosse stato presente in essa? In tutte queste vicende bisogna riconoscere lui,lui glorificare e lodare, che nella prima chiamata donò la fede e, nella passione ultima, la forza. Se volete sapere perché ha donato l’una e l’altra, ascoltate l’apostolo Paolo: <<A voi è stato dato non solo di credere in Cristo, ma anche di patire per lui>> (Fil 1,29). Il diacono Vincenzo aveva ricevuto l’una e l’altra cosa e, come li aveva ricevute, le conservava. Se infatti non le avesse ricevute, che avrebbe? Nelle parole aveva la fiducia, nel martirio aveva la pazienza. Perciò nessuno conti sulla propria saggezza quando parla; nessuno abbia fiducia nelle proprie forze quando soffre la tentazione, in quanto e perché si faccia un discorso retto e prudente viene da lui la nostra sapienza e perché si possano tollerare  i mali con fortezza viene da lui la nostra pazienza. Ripensate al Signore Gesù Cristo che, secondo il Vangelo avverte i suoi discepoli; ripensate al Re dei martiri che provvede le sue schiere delle armi dello spirito, fa provvedere le guerre, somministra gli aiuti, promette le ricompense. Egli, dopo aver detto ai suoi discepoli: <<In questo mondo sarete nelle tribolazioni>> subito dopo, per consolarli perché si erano atterriti, soggiunse: <<Ma abbiate fiducia perché io ho vinto il mondo>> (Gv 16,33). Perché dunque ci meravigliamo, carissimi, se Vincenzo ha trionfato in Colui che vinto il mondo? << In questo mondo – dice il Signore – sarete nelle tribolazioni>>, ma in modo tale che, se la tribolazione angustia, non opprima, se assale, non conquisti.
  1. Contro i soldati di Cristo il mondo sfodera una spada a doppio taglio. Badate, fratelli, il mondo – ho detto – sfodera una spada a doppio taglio contro i soldati di Cristo. Lusinga, infatti, per indurre nell’errore, terrorizza per infrangere la resistenza. Non lasciamoci trasportare dall’impulso a conservarci, non ci spaventi la crudeltà altrui, e il mondo è vinto. E, poiché Cristo si para innanzi all’una e all’altra via di accesso, non è vinto il cristiano. Se in questa passione si prende a considerare la pazienza dell’uomo, comincia a rivelarsi incredibile; se si scopre la divina potenza, cessa allora ogni meraviglia. All’infierire della brutalità nel corpo del martire corrispondeva la serena pacatezza della sua voce; vibrava tanta fermezza nelle parole per quanto l’atrocità dei dolori travagliava le membra, da indurre con sorpresa a credere che era un altro ad essere torturato mentre Vincenzo era sotto la prova o, almeno, che un altro lo era mentre Vincenzo parlava. E, in realtà, fratelli carissimi, era così; era veramente così: era un altro a parlare. Infatti Cristo promise anche questo ai suoi testimoni. Perciò, ai suoi che andava disponendo a combattimenti di tal genere, nel Vangelo tenne questo discorso: Non preoccupatevi di come vo di cosa sia necessario dire. Infatti non siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi>> (Mt 10,19-20). Quindi, a patire era la carne e a parlare lo Spirito e, per la parola dello Spirito, non solo veniva sconfessata l’empietà ma, nello stesso tempo, la debolezza ne provava ristoro.

 

  1. Tutti i tormenti rendevano il martire più nobile ai nostri occhi. Scavato dalle tante ferite d’ogni genere, non desisteva dalla lotta, ma la rinnovava con più ardore. Potresti credere che non avesse sensibilità al fuoco per averlo indurito la fiamma; e, come fornace di vasaio che riceve molle la creta, conferirebbe resistenza al vaso. Il nostro martire poteva dire a Daziano: Ormai non fa caso al tuo fuoco la mia carne perché la mia forza è stata temprata come vaso di creta. E poiché secondo verità è stato scritto: <<La fornace del vasaio dà la tempra ai vasi di creta e la prova della tribolazione agli uomini giusti>>, Vincenzo fu messo alla prova e ad essere arso da quel fuoco, ma in realtà chi arse e ribollì fu Daciano. Infatti, se non aveva il fuoco addosso, perché sbuffava? Che cos’erano le parole che gli strappava la collera se non il fumo che esalava ardendo? Al nostro martire allora la consolazione che aveva in cuore teneva lontane le fiamme all’esterno, mentre quello, acceso dai tizzoni del furore, diventato quasi un forno, bruciava interiormente e consumava nel fuoco il diavolo da cui era abitato. Infatti, attraverso le grida furenti di Daciano, lo sguardo truce, il volto minaccioso e l’agitazione di tutto il corpo, esercitava il suo influsso quello che si era insediato nell’intimo di lui; e lo tradivano questi visibili segni, simili a fenditure che andavano aprendosi nel vasello che possedeva e aveva riempito. I tormenti non travagliavano tanto il martire per quanto il furore faceva scempio di quello>>
  1. Dopo il martirio – dice Agostino – Vincenzo è glorificato anche in questo mondo: <<Però, fratelli, tutte quelle vicende sono ormai diventate lontane nel tempo: e l’ira di Daziano e la tribolazione di Vincenzo. Restano invece la pena di Daciano e il premio di Vincenzo. Infine, senza ora tener conto del traguardo ultimo della futura retribuzione – per dimostrare che la gloria dei martiri è presente anche in questo mondo – oggi, quale regione o quale provincia d’oltremare, fin dove giunge l’Impero romano o la denominazione di cristiano, non si allieta di celebrare il natale di Vincenzo? D’altra parte, chi avrebbe sentito almeno pronunziare il nome di Daziano, se non fosse stata data lettura della passione di Vincenzo? A che scopo in realtà il Signore avrebbe protetto il corpo del martire con tanta cura se non per dare a conoscere che non ha trascurato da morto chi aveva avuto da vivo sotto la sua protezione? Così Vincenzo vinse Daziano da vivo e ancora dopo la morte. Vivendo, disprezzò i tormenti, da morto, passò i mari. Egli stesso poi, che tra gli strumenti di tortura dette in offerta a Dio lo spirito invincibile, guidò sulle onde il proprio corpo esanime. La fiamma della tortura non ne piegò lo spirito, l’acqua del mare non ne sommerse il corpo. Ma in tutti questi eventi non c’è altro chelamorte dei suoi santi è preziosa davanti al Signore 6. Tale gloria, sotto la sua protezione, ci faccia raggiungere il Signore degno di onore e potenza per i secoli dei secoli. Amen>>[8].

San Vincenzo

Nel Discorso pronunziato a Cartagine il 22 gennaio del 413 nella basilica di Restituta per la festa del Martire Vincenzo, Agostino esorta la comunità alla lotta contro le tentazioni, citando anche il nome di Daciano, il giudice che condannò Vincenzo: <<Con gli occhi della fede abbiamo ammirato il martire che sosteneva la lotta e l’abbiamo amato nella sua bellezza invisibile>>[9]; nel Sermone 4  De Esau et Jacob[10], pronunziato durante la festa del Martire (22 gennaio) tra il 410 e il 412, Agostino porta ad esempio Vincenzo come discepolo fedele di Cristo.

E’ da ricordare che Polemio Silvio[11], vescovo di Octodurum, oggi Matigny, nel 448 incluse il nome del Martire nel Kalendarium Antiquum che gli è attribuito.

Giusto di Urgel (VI sec.)[12], in un sermone in onore del santo diacono, dice che Vincenzo è stato fedele a Cristo nella vita e nella morte.

Nel VI sec. vennero scritti due sermoni, ripresi dalla passio di Vincenzo, che fino agli anni ‘50 erano attribuiti ad Agostino[13]. Alla fine dello stesso secolo, Venanzio Fortunato[14] nel suo De virginitate ricorda che il Santo Martire spagnolo è la gloria della sua terra.

San Vincenzo è pure ricordato da Eugenio Toletano che nel 650 ca. dettò un epigramma in onore di San Vincenzo Martire per la basilica a lui dedicata nella città di Saragozza, dove la tradizione vuole che versò il suo sangue per Cristo[15]. Anche Ildeberto gli dedicò un poema[16]. San Pier Damiani scrisse un inno in Carmina et preces[17] e Adamo di san Vittore lo ricorda nelle sue Sequentiae[18].

            Il martire Vincenzo viene commemorato il 22 gennaio nel Calendario di Cartagine, nel Martirologio Geronimiano e nel Synaxarium Eccl. Constant. Il Martirologio lo ricorda anche nei giorni 11 e 22 gennaio, 19 aprile, 21 agosto e 31 ottobre; il Synaxarium l’11 novembre insieme con san Vittore e san Menna e al 6 gennaio per la dedica della chiesa costruita sotto le mura di Costantinopoli.  Il Calendarium Mozarabicum ricorda pure san Vincenzo Martire.

            Prima dell’invasione araba della Spagna, avvenuta nel 711, comparve un altro sermone[19], di cui non si può precisare la data ma, per il fatto che dipendeva dall’epoca in cui fu redatta la messa del Liber Sacramentorum mozarabicus, il sermone, a cui evidentemente si era ispirato l’autore, dovrebbe essere attribuito Giustiniano di Valencia[20].

            La Spagna e la Francia dedicarono tanti luoghi di culto al diacono Vincenzo, fra essi ne ricordiamo tre spagnoli e due francesi: a Toledo, con una iscrizione sepolcrale, probabilmente del V sec.; a Siviglia, l’antica cattedrale distrutta da Genserico del 428; a Granata, la basilica consacrata dal vescovo di Acci, Lilliolo, il 17 gennaio del 594. Delle basiliche francesi, oltre alla chiesa Ensérune, ai confini tra il Narbonese e il Biterrese, dedicata nel 455 ai santi Vincenzo, Agnese ed Eulalia, sappiamo che nel 558 Childeberto costruì a Parigi una basilica dedicata a Vincenzo che assunse poi il nome di san Germano, essendovi stato seppellito quel santo.

            Gregorio di Tours nel 542[21] nella Historia Francorum racconta che gli abitanti di Saragozza furono salvati dall’assedio posto da Childeberto, re dei Franchi, grazie all’intercessione di san Vincenzo, dato che essi custodivano e veneravano la sua tunica in quella città.

Ancora Gregorio ci tramanda che, nel 587 ca, giunse dalla Spagna un anonimo monaco pellegrino che, per farsi ricevere con solennità dal vescovo di Tours, usava il trucco di dire che aveva con sè reliquias beatissimorum martyrum Vincentii levitae, Felicisque martyris[22].

            Il 14 novembre del 644 Pimenio, vescovo di Asidonia, dedicò al Santo Martire una basilica in Jerez de la Frontera, nel Convento Gatitanus, includendo tra le altre reliquie una di san Vincenzo.

            Un autore anonimo, nel 700 circa, raccontava che dopo la pace lo stesso re dei Franchi[23]portò a Parigi una stola appartenuta al Santo Martire, distinta dalla tunica che si continuava a venerare a Saragozza[24].

            Nel 761 gli venne pure dedicato il celebre monastero benedettino di San Vincenzo di Oviedo[25]; inoltre furono fondati monasteri in onore del nostro Diacono Martire a Mans[26], a Metz[27]e a Conques al tempo di Carlo il Calvo. In Italia, presso le sorgenti del fiume Volturno, nel 703, dopo 180 anni dalla fondazione di Montecassino, gli venne edificata, per volontà di tre nobili della corte beneventana, l’abbazia benedettina di San Vincenzo Martire, oggi ridotta in rovina.

            Tra le famose cattedrali dedicate al Santo Diacono dalla Chiesa spagnola dei Visigoti, oltre a quella di Siviglia, si contano quella di Cordova e quella di Cesaraugusta, cioè Saragozza.

            Le reliquie del Santo Diacono furono venerate a Carmona, in Africa e, in modo  speciale, a Tamalla, oggi Tocqueville in Algeria. 

    Il magnifico frontale proveniente da Santa María del Monte in Liesa, che si trova esposto nel pianterreno della Deputazione Provinciale di Huesca, che ne è la proprietaria, ha il frontale composto da 12 scene del martirio di San Vincenzo, distribuite in tre registri sovrapposti. Ognuna delle sue dodici scene è interattiva.  Questa pittura, databile alla fine del XIII sec., è realizzata in pergamena incollata su tavola. Il suo stile, tende più al romanico che all’incipiente gotico lineare dominante in quest’epoca.  Secondo l’opera di Ricardo dell’Arco, il magnifico frontale raffigurante il Martirio di San Vincenzo, provenente dall’antica chiesa parrocchiale romanica di Liesa, oggi in rovina, prima di arrivare alla sua attuale destinazione, dimorò nell’eremo di Santa María del Monte.

 NEL REGISTRO SUPERIORE: 

  • I tre personaggi fermano San Valerio e San Vincenzo, per ordine del Prefetto Daciano;
  • ambedue compaiono davanti a Daciano, legati per le mani e condotti da un boia;
  • immagine dell’esilio di San Valerio ordinato da Daciano. Di seguito, il martirio di S. Vincenzo;
  • San Vincenzo, legato ad una colonna, è flagellato da due boia, alla presenza di Daciano.

  

NEL REGISTRO MEZZO: 

  • San Vincenzo, legato ad una croce, è sommesso dai tormenti.
  • San Vincenzo nella griglia mentre un boia strappa la sua pelle e un altro sparge sale sulle

            sue ferite. Tra le nuvole la mano di Dio lo benedice. Dal frammento si notano due dita.

  • Questo riquadro rappresenta il Santo, morto, in un letto coperto da una coperta a quadri

            grandi che mostra tre curate pieghe. Le zampe del letto sono tornite. Un Angelo porta la sua

            anima al Cielo.

  • Qui vediamo il corpo nudo di san Vincenzo che riceve la benedizione divina. Mentre è fiancheggiato da un corvo ed un cane, neri. Daciano lo lascia nella periferia della città affinché sia divorato dalle bestie. Ma la Grazia Divina ed un corvo proteggono il suo corpo dagli animali, tra essi anche un lupo. La figura di san Vincenzo protetto da un corvo e da un lupo è molto comunemente rappresentata nell’iconografia del santo. Il corvo non rappresenta la morte.

 REGISTRO INFERIORE: 

  • Daciano, furioso perché il corpo di san Vincenzo si mantiene intatto, decide di infliggergli un’ultima umiliazione. Incarica due boia di legare una ruota di mulino al collo e lanciarlo dentro mare.
  • Rappresenta un gruppo di otto personaggi; uno dei quali, che porta le insegne episcopali, riceve una cassa con i resti del Santo. Dell’ottavo personaggio, si vede solo la bocca e mento; si notano solo sette piedi, dando ovviamente il resto. L’artista dá più importanza all’insieme che ai dettagli, un po’ nella linea della pittura di Bagüés.
  • rappresenta la cattedrale di Lisboa “Lixibona” che accoglie i resti del Santo, al suono delle campane.
  • San Vicente, vestito, riceve la venerazione.

Diac. Sebastiano Mangano


[1]
[1] San Vincenzo e Sant’Atanasio Chiesa omonima Piazza Trevi – Roma

[2]
[2] Paolino di Nola, Carm., XIX, 153; Carm., XXX, 75: PL 61,522.673

[3]
[3] Prudenzio, Peristephanon, A V Hymnus Passio S. Vincentii martyris:  PL 60,378-411.

[4]
[4] Prudenzio, Peristephanon, V, 506-508.

[5]
[5] Agostino, Serm., 274,1: PL 38, 1252.

[6]
[6] Agostino, Serm., 275,1-3: PL 38, 1254 -1255.

[7]
[7] A noi ne sono giunti sei.

[8]
[8] Agostino, Serm., 276,1-4: PL 38,1257

[9]
[9] Agostino, Serm., 277,6,6: PL 38,1260

[10]
[10] Agostino, Serm., 4 De Esau et Jacob: PL 38,33-52: Questo discorso Agostino lo tenne in una festa del Martire (22 – gennaio) tra il 410 e il 419, comunque prima del 420.

[11]
[11] Polemio Silvio, Kalendarium Antiquum, Natalis S. Vincentii martyris dies   pluvius: PL 13,676;   

[12]
[12] B. De Gaiffier, Sermons latin en l’honneur de st Vincent anterieurs X siecle, in  Anal. Bolland., 67 (1950), pag. 267-286.

[13]
[13]  Cfr. B. De Gaiffier, Anal. Boll., LXVII – 1949, pag. 275-278.

[14]
[14] Venanzio Fortunato, De virginitate, Carmina VIII, 8, v. 154, in MGH, Auct.  Antiq., I, pag. 18.

[15]
[15] Eugenio di Toledo, De basilica Sancti Vincentii in Caesaraugustana, ubi  dicitur cruor eius effluxisse: PL 87,361,VIII:
Macte decus proprium, Vincenti, martyr alumne,

                    unica spes nobis macte decus proprium.

                    Purpureus niveum meruisti sanguine coelum,

                    et sequeris agrum purpureus niveum.

                    Passio sacra tuum provexit ad aethera nomen,

                    conservet populum passio sacra tuum.

                    Hic iacet ille cruor, quem das pro corpore pignus,

                    nare fluente tuus hic iacet ille cruor.

                    Hic tua nunc tunica quod Christi fimbria praestat,

                    tactu nam salvat hic tua nunc tunica.

                    Hic veniam culpae mereantur, vota favorem,

                    gaudia summa ferat qui petit hic veniam.

[16]
[16] PL 171, 1301- 1308.

[17]
[17] PL 145,947,XCV.

[18]
[18] PL 196,1475-1479, XVII.

[19]
[19] PL 39,2095-2098.

[20]
[20] M. Pidal, Historia de Espana visigoda, Madrid 1940, pag. 391.

[21]
[21] Greg. di Tors, Hist. Francorum, III,29: PL 71,263.

[22]
[22] Greg. di Tours, Hist. IX,6: PL 71,484.

[23]
[23] Anonimo, Hist. francorum scriptores coetanei, Parigi 1636, pag. 630.

[24]
[24] Prefazio In festo sancti Vincentii ad Missam: PL 85,678 nota b.

[25]
[25] L. Serrano, Cartulario de san Vincente de Oviedo, Madrid 1929, pag. IX.

[26]
[26] Vita sancti Domnoli, Ctomanensis episcopi: PL 72,638 – 640.

[27]
[27] Vita Deodorici episcopi Mettensis: PL 160,713.

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