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Un monologo, “Nove”, di 70 minuti con Egle Doria che racconta, corre, cambia occhiali, cappelli e versa caffè. Racconta una storia che sa di vita vissuta in una Sicilia, simpatica e tradizionalista, in cui le donne sono le regine della casa e fanno il punto-croce. È un passato quasi comune o che accomuna, come lo sono le telefonate sul balcone e le “vuciate” (le grida) con il passante- l’ortolano- il vicino- -il gelataio. Accomuna come la fine di una storia che credevamo fosse il tutto della nostra vita e che invece inciampa su quell’ennesimo pacchetto di sigarette. E invece tu (io) lo volevi quell’uomo, con tutto il cuore e la pancia, quasi quanto – se non di più – volevi un figlio. O forse il figlio lo volevi di più? Lo dirà il tempo, più in là. Intanto l’obiettivo è dimenticare quell’uomo e quell’amore. E, magari, rifugiarsi in una vacanza che alleggerisca il cuore…

Ancora l’autrice ed interprete (Foto Gianluigi Primaverile)

Egle Doria racconta la sua vita. Romanzata, sdrammatizzata, ironica, ricca di frizzi, lazzi e lezzi: ma è la sua vita. E mentre snocciola aneddoti, a volte anche troppo leggeri, confina agli ultimi minuti il vero messaggio del suo spettacolo: un sentimento che è concezione di famiglia e di amore e che, forse, avrebbe voluto più tempo. Più serietà. Dopo quella vacanza, infatti, cambia tutto: il suo umore ma anche l’oggetto del suo amore, che cambia sesso, ma non intensità e aggiunge, caso mai, una entità. Così, in questa vita a due, che si fa famiglia, entra una bambina che avrà due mamme. Ed eccolo il nocciolo del messaggio: l’amore è amore, a dispetto del sesso e anche una famiglia è famiglia, a dispetto del sesso. “Anche se qualcuno prova a dire e a convincerci che non è così” ammette Egle dal palco.

Ma allora perché “Nove”? Che significa questo numero? “Nove è un numero sacro – si legge nelle note di regia firmate da Nicola Alberto Orofino -. Indica il limite invalicabile a cui ogni individuo si assoggetta nel mondo della materia. Nove sono gli elementi del corpo umano e nove sono le Muse. Nove è il numero perfetto totiente. Nove sono i mesi che servono per liberarsi dai vincoli della forma embrionale e conquistare la vita. E allora perché chiamare Nove il nostro spettacolo? Non per raccontarvi la storia di un numero, ma per declinare, attraverso un numero simbolico, la vita di una donna e farle vivere, qui e ora, il suo percorso di liberazione”.

Una scena (Ph. Gianluigi Primaverile)

Lo spettacolo di Egle Doria, messo in scena al Teatro del Canovaccio di Catania, come ultimo appuntamento della rassegna Palco Off, ha avuto un ottimo successo di pubblico tanto da richiedere l’aggiunta di una quinta replica. E seppure gli applausi siano stati scroscianti, qualche critica non è mancata, probabilmente legata a una sorta di dicotomia tra le due parti dello spettacolo. Sappiamo, però, di aver gradito, moltissimo, il messaggio autobiografico che Egle Doria ha saputo trasmettere con immenso pathos.

“Nove” è andato in scena anche grazie a Gabriella Caltabiano (assistente regia), Vincenzo La Mendola (scene e costumi), Enzo Pace (assistente scenografia). Produzione Associazione Madè. Palco Off, invece, tornerà l’anno prossimo.

                                                                                                                                                          Monica Adorno

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