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Il noto artista siciliano Vincenzo Pirrotta sta proponendo, sino al 17 Novembre, al “Verga” di Catania, per l’odierna stagione di prosa dello “Stabile” etneo, l’oscuro e pregnante dittico “L’uomo dal fiore in bocca” di Luigi Pirandello ed il sequel – epilogo in sette movimenti “Nella mia carne” dello stesso Pirrotta.

La pièce parte dal coinvolgente atto unico del 1923 (tratto dalla novella “La morte addosso”) del Girgentano per poi arrivare al testo inedito di Vincenzo Pirrotta, una sorta di sequel contemporaneo in cui si va ad indagare sulla condizione, sugli ultimi, angoscianti giorni, dei malati terminali, coloro che vivono gli ultimi giorni in attesa di incontrarsi con la signora morte. Ad affiancare Pirrotta, in questa complicata e sofferta rappresentazione, è Giuseppe Sangiorgi, nei panni dell’avventore nella prima parte e dell’angelo traghettatore ed assistente nella seconda.

Lo spettacolo, con le musiche originali curate da Luca Mauceri, i costumi di Riccardo Cappello ed il prezioso gioco luci di Gaetano La Mela, è una produzione che nasce dalla collaborazione tra lo “Stabile” di Catania ed il Complejo Teatral de Buenos Aires. La regia e la claustrofobica, angosciante scena (caratterizzata da pareti mobili di lastre di raggi X, a voler sottolineare la condizione del protagonista) sono dello stesso Pirrotta.

Il protagonista Vincenzo Pirrotta (Ph. Antonio Parrinello)

La pièce, nell’atto unico di Pirandello e nell’epilogo inedito di Pirrotta, nei suoi intensi ed a tratti strazianti (specie nella seconda parte) sessanta minuti, racconta la frenesia e l’angoscia di un pover uomo che si aggrappa alla banalità del quotidiano, spiando i suoi simili, gli avventori, i commessi, per cercare di rintracciare una superiorità della vita sulla morte.

Si parte da una scena buia, in una anonima stazione della provincia siciliana, con il protagonista (un rigoroso Vincenzo Pirrotta) che intavola un ragionamento con un avventore che aspetta il suo treno per raggiungere la famiglia (reso con padronanza da Giuseppe Sangiorgi), mentre sui due scende lentamente una luce viola che è un fiore dal nome dolcissimo, ma terribile: epitelioma.

Dopo una pausa di silenzio, nella seconda parte, l’epilogo in sette movimenti “Nella mia carne”, che prende vita dopo l’uscita di scena dell’avventore per l’arrivo del suo treno. L’uomo dal fiore in bocca dice: “Solo sette, erano solo sette i fili in quel cespuglietto d’erba” e tutto si concentra su di lui, in un movimento continuo e lento. Nella pièce si aprono sette finestre su sette vite inventate e si raccontano i suoi ultimi sette giorni, con l’avanzare della malattia e il suo consumarsi. Fino alla fine, con l’angelo traghettatore che, intonando una nenia funebre, accompagna il malato terminale verso la luce. Applausi finali per i due protagonisti, un Vincenzo Pirrotta, uomo segnato dalla malattia, più contenuto nella prima parte e più fisico, dirompente, nella seconda con i mugugni, i ghigni di dolore, urlati o soffocati e spalleggiato da un convincente Giuseppe Sangiorgi.

Lo spettacolo verrà replicato al “Verga” sino al 17 Novembre ed il 15, alle ore 18.30, nella tribuna del Teatro è previsto l’incontro con gli artisti.

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