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Pazzia e gioia, ricerca e viaggio, poesia e teatro. Parole che si rincorrono, sfuggono, si sfiorano, si raggiungono e si tengono strette e che sono l’assunto, le note distintive del coinvolgente lavoro di Pippo Delbono “La gioia” che, ancora una volta a teatro, in circa 80 minuti, nonostante la psicosi da Coronavirus, stupisce, incanta, con una rappresentazione vera, poetica, significante, direi quasi terapeutica per chi, come tanti, è sempre più preso dai mille e futili problemi, dai vizi e dalle abitudini della società contemporanea. Abbiamo assistito in religioso silenzio, abbagliati da tante sollecitazioni, alla pièce di Delbono (autore, attore, regista fra i più apprezzati all’estero e in Italia, nato a Varazze, provincia di Savona, nel 1959) lo scorso martedì 3 Marzo – prima della sospensione, per il noto decreto, di ogni attività teatrale in città – al “Verga” di Catania per la stagione 2019/2020 dello “Stabile”etneo.

Raccontare una pièce di Delbono, per come è sentita, vissuta, costruita non è per nulla facile, bisogna infatti vederla, sentirla dentro, con la voglia di lasciarsi andare tra le parole, le immagini, i racconti dell’artista ligure e dei suoi compagni di viaggio o di ricerca. Basta lasciarsi prendere per mano ed entrare nel poetico, surreale, crudo e vero universo di Pippo Delbono.

Pippo Delbono in “La Gioia” (Foto di Luca Del Pia)

Il palco del “Verga” è scarno, pochi gli elementi che lo animano durante lo spettacolo, ma all’improvviso si manifestano e creano poesia, amplificano le emozioni. Lo stesso Pippo Delbono, all’inizio, si presenta sulla scena e spiega al pubblico che lo spettacolo rinasce dalla morte di Bobò, quel sordomuto strappato da trent’anni di manicomio ad Aversa, resuscitato al teatro ed a cui l’artista ligure dedica, adesso che lui non c’è più, la rappresentazione, in ricordo della loro lunga amicizia e collaborazione. Nell’intera pièce infatti si racconta il dolore Di Delbono, l’assenza di Bobò e le storie dei suoi attori, della sua compagnia/famiglia con una serie di fotografie/quadri che accompagnano ogni creazione dell’artista, ogni suo racconto fatto di immagini e musiche che straziano il cuore, che commuovono fino alle lacrime. Ci si rende, quindi conto che la gioia, non è la protagonista dello spettacolo, è solo un punto di arrivo, un buco nero da riempire con una leggerezza, una sensazione che non si deve pensare, ma sentire. E, per poter arrivare, scorgere – anche solo per un attimo – questa “gioia” che spesso cerchiamo, inseguiamo invano, si deve prima affrontare un viaggio fatto spesso di follia, sofferenza, angoscia, tormento, morte. E in una società di condizionamenti sociali e culturali, di egoismi e falsità, travolta oggi dal trambusto, dagli effetti, dalla paura del Coronavirus, lo stesso Delbono – tra il pubblico in sala – si pone e ci pone una domanda: dove è finita la gioia? Dove si trova la gioia? Ed ognuno di noi – in sala o per le strade del mondo – è spiazzato, è invitato, coinvolto, a darsi – dentro – una risposta in merito a questa gioia, diversa per ognuno, fatta di millesimi di attimi da cogliere al volo e che possono essere il sorriso di un bambino, le evoluzioni di un pagliaccio, il fiorire di un fiore, un pensiero, un sentimento, un gioco, una serata tra amici, un ricordo.

Il trailer dello spettacolo

Assistiamo, partecipiamo ad una ricerca, a un vero e proprio cammino, ad un viaggio, sempre diverso, caratterizzato dagli imprevisti e gli spettatori diventano parte integrante, compagni nel cammino. E solamente creando una atmosfera particolare, un’alchimia tra attori e pubblico si potrà andare avanti, insieme, verso la meta raccontata da Delbono, verso quella gioia che spesso vediamo per un solo attimo e che poi scompare tra il buio e il dolore del quotidiano, per poi manifestarsi in altri momenti della nostra vita.

La pièce, prodotta da Emilia Romagna Teatro Fondazione in coproduzione con Théâtre de Liège, Le Manège Maubeuge – Scène Nationale, è un lavoro nato nel 2018, che poi si è incontrato con la morte di Bobò, l’attore-amico di Delbono e in diverse occasioni nello spettacolo la sua vocina – ormai solo registrata – riecheggia in sala come un emozionante richiamo alla realtà, alla morte, al dolore, alla gioia e quindi alla vita.

Lo spettacolo

Per un’ora e venti minuti si assiste ad uno spettacolo, onirico, meditativo, artistico, esilarante con una scenografia semplice, con la voce narrante di Pippo Delbono arricchita dai colori accesi, da un magico gioco di luci e ombre , attraverso elementi (una gabbia, una beckettiana panchina, i fiori, i cumuli di abiti, il tappeto di foglie, i colorati costumi da clown) che hanno un grande valore simbolico e riescono a coinvolgere il pubblico, a smuovere, a trasmettere, sentimenti a chi è presente in sala.

Sul palco e tra le prime file, l’eclettico Delbono esce ed entra tra le incantevoli composizioni floreali di Thierry Boutemy che piovono dal cielo come cascate,  recita poesie struggenti, come quel “sono guarito perché so di fare il pazzo” dell’Enrico IV di Pirandello, che ci racconta il dolore di chi ha tutto, o forse niente, che ricorda il suo Bobò, con nostalgia e gioia.

Una scena

Sulla scena, tra il pubblico in sala, si alternano, immagini surreali, si mescolano gioia e pazzia ed i componenti della compagnia (Dolly, Nelson, Margherita, Gianluca, Pepe, icone della poetica e del viaggio di ricerca del regista) ballano, cantano “Don’t worry be happy”, guardano gli spettatori con i loro occhi stupiti, fanciulleschi, con i loro costumi circensi. Ecco quindi una gabbia che scende dall’alto e incastra Delbono seduto in una sedia dove confessa il suo dolore e l’angoscia, cumuli di indumenti sparsi da Pepe Robledo sul palco e accumulati nella montagna di disperazione dei popoli costretti a lasciare le loro terre in condizioni disumane, elemosinando in questo o quel paese un briciolo di “gioia”, oppure tra quella beckettiana panchina (la stessa di “Barboni”) spazio vuoto che Delbono ha condiviso col suo Bobò, di cui ripropone il canto stridulo, evocando l’amico ed artista a cui l’attore e la compagnia regalavano spesso un compleanno. Sulla scena quindi la panchina – tomba di Bobò intorno e sopra la quale vengono composti fiori, ma in questa immagine con addobbo floreale c’è l’addio a Bobò, ovvero guardare in faccia la morte, nella speranza che la gioia sia oltre quella cascata floreale, oltre la morte. La panchina di Bobò è il segno dell’attesa di un Godot che non arriva, intorno a cui Pepe Robledo depone in fila una serie di barchette e la scena si trasforma in un mare e poi quello quello spazio si riempie di abiti colorati, resti di corpi, della strage di uomini nel nostro Mediterraneo. Pippo Delbono evoca quindi la Venere degli stracci, racconta la storia della sua famiglia e della ballerina di Tango e del suo Nicola morto improvvisamente, mentre Nelson innaffia un giardino destinato a farsi rigoglioso. C’è nella pièce un certo gusto felliniano, l’omaggio al teatro ed al circo (soprattutto nei ricordi di Delbono bambino), una straziante nostalgia, tra clown, acrobati, ballerine destinate a sprofondare nel buio a fine recita.

Ph. Luca Del Pia

A impreziosire l’emblematico ed avvolgente lavoro i coloratissimi costumi di Elena Giampaoli, le luci di Orlando Bolognesi, le musiche di Pippo Delbono, Antoine Bataille, Nicola Toscano e le composizioni floreali di Thierry Boutemy che ricordano, come declama il regista, che è necessario amarsi come si è e non desiderare di essere un fiore diverso: “Se non sei felice può darsi che devi ancora sbocciare”. Espressivi, vitali, emblematici tutti i componenti della compagnia/famiglia di Delbono: Dolly Albertin, Gianluca Ballarè, Margherita Clemente, Ilaria Distante, Simone Goggiano, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Gianni Parenti, Pepe Robledo, Zakria Safi, Grazia Spinella. Da brividi la voce di Bobò, personaggio che, nella sua assenza fisica, aleggia e accompagna tutto lo spettacolo.

Anche ne “La gioia” ritroviamo i tratti distintivi della poetica di Delbono oltre che il rappresentativo microfono e l’uso del monologo come mezzo per raccontarsi, con la tipica voce del regista che – con la sua camicia fuori dai pantaloni, il suo volteggiare ed agitarsi in scena – accompagna lo spettatore dentro la sua anima, per arrivare dritto alla parte più oscura, più intima, alla ricerca della gioia.

Bobò e Pippo Delbono sulla loro panchina…

Nella pièce un magico rincorrersi di musiche, di canzoni (da “Maledetta primavera” della Goggi a “Io so’ pazzo” di Daniele), a citazioni e poesie (da Pirandello a Totò, da Erri De Luca a Rimbaud). E – come dice lo stesso autore, regista ed interprete – “forse gioia vuol dire ripartire dall’essere umano dopo la recessione…”.

Alla fine pubblico in piedi, a scena aperta, ad applaudire Delbono e la sua compagnia e lo spirito di Bobò – presente in sala con la sua voce- , per uno spettacolo che come accade nei lavori dell’artista ligure, regala sempre una esperienza indescrivibile, che emoziona, coinvolge in mille sensazioni, fa sentire più umani, più leggeri  e più consapevoli della nostra condizione di uomo o donna alla ricerca del proprio percorso di gioia.

Spettacolo che doveva continuare, al “Verga” di Catania, fino a domenica 8 Marzo, ma che è stato sospeso dopo il recente decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri a causa dell’emergenza Covid-19. Una pièce “La gioia” che consigliamo a tutti per farsi un bagno d’umiltà e riflettere sulla gioia passata, presente e futura.

Pippo Delbono racconta lo spettacolo “La gioia”

Scheda spettacolo

La gioia uno spettacolo di Pippo Delbono

con Dolly Albertin, Gianluca Ballarè, Margherita Clemente, Pippo Delbono,
Ilaria Distante, Simone Goggiano, Mario Intruglio, Nelson Lariccia, Gianni Parenti, Pepe Robledo, Zakria Safi, Grazia Spinella e con la voce di Bobò.

Composizioni floreali di Thierry Boutemy

Musiche Pippo Delbono, Antoine Bataille, Nicola Toscano e autori vari

Luci di Orlando Bolognesi

Suono di Pietro Tirella

Costumi di Elena Giampaoli

Elettricista Alejandro Zamora

Capo macchinista e attrezzeria Gianluca Bolla

Responsabile di produzione Alessandra Vinanti – organizzazione Silvia Cassanelli. Direttore tecnico Fabio Sajiz.

Produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione, coproduzione Théâtre de Liège, Le Manège Maubeuge – Scène Nationale.

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