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I ritardi nell’erogazione dei fondi statali e regionali non hanno fermato il lavoro dei Centri Antiviolenza e delle case rifugio neanche durante la pandemia. Lo sforzo dimostrato dalle operatrici per far funzionare il sistema antiviolenza è stato raccolto nel nuovo rapporto di ActionAid “Tra retorica e realtà. Dati e proposte sul sistema antiviolenza in Italia”, che ha monitorato l’attuazione del Piano antiviolenza 2017-2020 con un focus sulla risposta all’emergenza Covid-19 in Lombardia, Calabria e Sicilia. ActionAid chiede alle istituzioni di creare un Fondo di emergenza con risorse aggiuntive e prontamente disponibili e Cabine di Regia locali che garantiscano efficacia e coordinamento per le reti territoriali. 

La nuova ondata pandemica mette a rischio la sostenibilità economica delle case rifugio siciliane, per la cui sopravvivenza “sarebbe necessario valutare di volta in volta l’allontanamento domiciliare del maltrattante piuttosto che delle donne e dei minori” denuncia Maria Grasso dell’Associazione “DonneInsieme” di Piazza Armerina. Un allarme confermato e supportato dai dati della storia recente che vede una Regione apparentemente all’avanguardia nell’affrontare il problema, ma che poi di fatto non si spinge oltre le parole. 

19 sono i mesi di ritardo nell’erogazione dei fondi, peraltro molto esigui (500 mila euro di media annuale nel triennio 2017-2019), per il Reddito di libertà e il Fondo per le vittime di violenza di genere e i loro familiari. È questo il dato che meglio fotografa la situazione che si trovano a vivere decine e decine di donne fuoriuscite dal percorso della violenza che, con questa particolare misura di aiuto promossa dalla Regione Sicilia, avrebbero dovuto ritrovare autonomia socioeconomica. Il caso più eclatante è quello delle borse lavoro: le beneficiarie ricevono il contributo quando ormai hanno già terminato il percorso di tirocinio. Una situazione paradossale, come quella che riguarda la legge regionale contro la violenza di genere del 2012 di fatto mai resa operativa. La rete territoriale, infatti, costituta dell’Osservatorio Regionale per il contrasto alla violenza di genere, dai nodi distrettuali (i Centri Anti Violenza), e dai nodi locali (soggetti pubblici e privati presenti sul territorio) non è mai stata attivata. “L’unico organo operativo è il Forum Permanente contro le molestie e la violenza di genere – continua Grasso – ma in quella sede le associazioni hanno poco potere decisionale. Le istituzioni dovrebbero creare una cabina di regia in grado di rispondere ai problemi che emergono”.    

Bisogni spesso inascoltati, perché se è vero che con la prima ondata di Covid-19 la Regione Sicilia ha prontamente rilevato i bisogni delle strutture, successivamente si è solo limitata ad ampliare la tipologia dei costi ammessi dal bando di assegnazione delle risorse statali e consentire così ai centri antiviolenza di rendicontare le spese non previste. “In Sicilia è necessario investire sia sul funzionamento delle strutture di accoglienza, sia nel percorso post-accoglienza delle donne, prevedendo risposte adeguate per i bisogni di quante fuoriescono dalle case rifugio: un lavoro, una sistemazione e un supporto per i minori a carico. Il rischio di un mancato sostegno all’autonomia – conclude Grasso – è che le donne facciano ritorno dal maltrattante per motivi economici o non   vogliano denunciare per paura di perdere l’affidamento dei minori”. 

E se dallo Stato dal 2015 sono arrivati solo 6,7 mln di euro, su scala locale i cordoni della borsa di Palazzo d’Orléans sono stretti tanto per le vittime quanto per le case rifugio: per far fronte alla mancata erogazione delle rette comunali, la Regione è intervenuta con il Fondo solidarietà, che contribuisce al pagamento dei contributi non corrisposti dai Comuni di residenza delle donne, ma solo nella misura del 20%.  Come per i fondi regionali anche questo intervento non è sufficiente a coprire le spese effettivamente sostenute dalle strutture. Unica eccezione virtuosa quella del Comune di Palermo, ma per la maggior parte dei CAV e delle case rifugio siciliane l’unica strada per sopravvivere è quella di fare affidamento alle reti territoriali e amicali grazie alle quali, durante il primo  lockdown, è stato possibile acquistare dispositivi di protezione individuale. 

Sulla base di quanto condiviso dalle operatrici dei Centri, ActionAid ha formulato concrete raccomandazioni in caso di nuove emergenze. In particolare: il funzionamento delle reti territoriali antiviolenza dev’essere accompagnato da Procedure Operative Standard che definiscano i ruoli della rete e prevedano una Cabina di Regia Operativa Locale. In questa nuova fase della pandemia, ActionAid rilancia anche il fondo di pronto intervento #Closed4Women grazie al quale è stato sostenuto il lavoro di 24 Centri in tutta Italia. 

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