Impazza sul web, le vendite on line hanno raggiunto un traguardo di tutto rispetto, la stampa non lesina interviste.
Lei è Antonina Nocera, scrittrice e saggista (già autrice del saggio Angeli sigillati. I bambini e la sofferenza nell’opera di Dostoevskij – Franco Angeli, 2010) e responsabile del blog letterario “Bibliovorax”.
E nel suo ultimo lavoro dato alle stampe per i tipi di “Divergenze” (2020, già alla seconda ristampa) non poteva che affidarsi a due concetti filosofici nelle loro varianti letterarie, per un progetto che cattura l’attenzione del lettore e incuriosisce l’aficionado della ‘bella scrittura’ metafisica e sottosuolo (fra i più grandi interpreti del ‘sottosuolo’ infatti, vi è quel Friedrich Nietzsche, croce e delizia di ogni filosofo).
Il delitto, la giustizia, la colpa, il peccato, la redenzione e il nichilismo, l’impegno civile e la verità che non sempre viene riconosciuta dalla legge; anzi viene avversata dalla stessa autorità che dovrebbe garantirla. Sembrerebbe un guazzabuglio, invece è l’intreccio letterario, a tutta prima “strano” che lega due autori di secoli diversi: Dostoevskij e Sciascia.
Un russo e un siciliano di provincia che sembrerebbero non avere nessun legame, né stilistico, né di altra natura. Eppure la scrittrice palermitana affonda nel ‘sottosuolo’ dei due scrittori, rintracciando – all’interno di un dedalo atemporale e metafisico – l’argomento del delitto quale ‘prova regina’ di un forte legame – solo all’apparenza paradossale – fra un personaggio ottocentesco, con una forma mentis per forza di cose ottocentesca e un’icona dell’impegno civile del Novecento, sulla cui opera si sono girati anche dei film importanti, di denuncia.
La metafisica del sottosuolo ci racconta il complicato rapporto fra giustizia e autorità (ma ci racconta molto altro), fra fede, libertà e autorità. Nella metafisica sciasciana un ispettore indaga su alcuni delitti, ma vi è il depistaggio dei cosiddetti ‘poteri forti’ (“Il Contesto”), in quella dostoevskijana (“I fratelli Karamazov”) nella parte centrale del libro intitolata “La leggenda del Grande Inquisitore”, che è un racconto nel racconto fatto da Ivàn Karamazov al fratello Alësa, vi è la venuta di Gesù sulla terra parecchi secoli dopo la sua crocifissione.
Ma questi viene imprigionato e poi liberato, la sua presenza, se acclamata, metterebbe in discussione la stessa autorità della chiesa. Addirittura la nuova venuta del Salvatore agirebbe da deterrente per la conquista della felicità terrena degli uomini, ai quali è negata quella evangelica. O almeno non sarà garantita a tutti. Dicevamo, uno Sciascia maestro del thriller psicologico-politico e un Dostoevskij col suo ‘crogiuolo di dubbi’, che mette a nudo la decadenza morale di quella Russia assetata di nichilismo che già si preparava alla Rivoluzione d’Ottobre.
E sarà proprio Leonardo Sciascia a usare Il libro di Dostoevskij, I fratelli Karamazov, per indirizzare ne “Il contesto”, il bravo ispettore Rogas alla ricerca del colpevole. Ma si scontrerà con la “verità” imposta da quel sistema corrotto, deviato, che ha indirizzato anche molti misteri italiani dei giorni nostri. Questa sembrerebbe una storiella, detta così, in poche parole, perché nel libro della Nocera ‘parlano’ troppi elementi che affondano gli addentellati nella psicologia del profondo e nella letteratura d’autore, lo dimostrano i picchi d’interesse dei lettori e degli addetti ai lavori.
La Nocera ci congeda con una sua dichiarazione: “Questo saggio è un omaggio all’osare. Ogni esercizio di critica dovrebbe tenere in conto questa attitudine. Perlustrare territori nuovi, con le armi dell’intuito, dell’intelligenza e della capacità di meraviglia, sempre viva. L’esito della mia ricerca è il frutto di questa sinergia di intenti. Osare contraddire le intenzioni manifeste. Dostoevskij, grandissimo scrittore, ma non lo amo, diceva Sciascia, e io ho inteso scrivere un contromanifesto di una familiarità mai rivelata tra due grandi, immensi scrittori”.