Dopo il Pinocchio di Scaldati trasportato in Sicilia da Livia Gionfrida, il cartellone Evasioni si chiude con una versione di Fat Pig che trova pure una sua declinazione in una Sicilia in cui il confronto con chi è diverso può avere un esito non scontato: è La Pacchiona, dal testo di Neil LaBute, tradotto e adattato da Gianluca Ficca e Marcello Cotugno, che firma anche la regia. Sarà l’ultimo degli spettacoli estivi prodotti dal Teatro Stabile di Catania in scena al Palazzo della Cultura, dal 21 al 31 luglio.
“Si tratta di uno degli spettacoli che avevamo già in programma per il 2020 e su cui, trovandoci costretti al rinvio, abbiamo nei mesi scorsi realizzato uno studio in video già condiviso gratuitamente sui canali digitali“, ricorda il direttore del Teatro Stabile di Catania Laura Sicignano: “Ora finalmente torniamo al nostro pubblico con questa commedia divertente e graffiante, in una intelligentissima messa in scena in cui molti si potranno identificare”.
Il lavoro di Cotugno su La Pacchiona gira infatti attorno al tema dell’essere “carini”, esteticamente gradevoli e socialmente omologati.
“È lo stesso LaBute – spiega il regista – a suggerirci che i suoi testi, non avendo quasi mai una reale collocazione geografica, sono scritti per poter adattarsi ad ambientazioni differenti. D’altra parte, Fat Pig è anche un testo sul concetto di diversità. E, nel meridione d’Italia, l’inclusività e l’accoglienza nei confronti di chi, in un modo o nell’altro, diverge dalla norma – o dal cliché – non possono, ancora oggi, darsi per scontati. Il meridione, e la Sicilia in particolare, ha inoltre una fortissima cultura del cibo, spesso visto come un collante sociale. Ma il cibo è anche rifugio, valvola di sfogo e rimedio contro l’insoddisfazione di cui un individuo emarginato è facile preda“.
Il testo racconta la storia di Tommaso, un milanese trapiantato in Sicilia, che si invaghisce di Elena, una bibliotecaria gentile, simpatica e dai molti talenti, apparentemente perfetta per lui se non per il fatto di essere una “taglia molto forte”. Le chiacchiere e le ironie sulla grassezza di lei da parte degli amici saranno per Tommaso il principale ostacolo al rapporto. L’aspetto fisico, infatti, non deve deludere i gusti dell’ambiente sociale a cui apparteniamo: molti tra i personaggi di LaBute finiscono quindi col permettere al giudizio degli altri di dominare le proprie vite e di determinare le proprie scelte, anche a costo di rinunciare alla felicità in nome del pensiero comune.
“Come nella tradizione postmoderna – conclude Marcello Cotugno – sarà il pubblico a dover trovare le risposte alle azioni degli attori in scena e, una volta tornato a casa, a rivolgere lo sguardo su sé stesso. È questa l’amara catarsi di LaBute: offrirci un’occasione per guardare a ritroso le nostre vite, per rifare il doloroso conteggio di tutto quello che ci è stato dato e tolto, di tutto quello che noi abbiamo lasciato andare, e di tutto quello che gli altri ci hanno fatto credere. Un inventario crudele, di una vita forse solo apparentemente felice, che in realtà è stata una continua guerra piena di sconfitte e con pochissime vittorie sul campo. Almeno fin qui“.