Cultura

«Non è giusto lasciare nell’oblio la vita di Evagrio, il celebre diacono che visse a norma degli apostoli, ma stimo degno di affidare allo scritto quanto narro, per l’edificazione dei lettori e per la gloria della bontà del Salvatore nostro». Così, Palladio di Galazia (363/364–420), monaco e vescovo di Elenopoli in Bitinia, suo ammiratore e discepolo, scrive di Evagrio (Palladio, Historia  Lausiaca, 38).

Evagrio, che nacque nel 345 ca. ad Ibora, una piccola città nel circondario di Amasea nel Ponto, identificabile con Iverönü nell’odierna Turchia, è una figura di primo piano fra i teorici della spiritualità nella Chiesa antica. Egli raccolse la tradizione dei secoli precedenti, specialmente della scuola alessandrina, che elaborò con copioso apporto di speculazione e di esperienza, esercitando sulla posterità un influsso notevolissimo. Ancora giovane fu colpito dalle personalità di Basilio di Cesarea (329379) e di Gregorio di Nazianzo (329–390 ca): da Basilio fu ordinato lettore e da Gregorio, che Evagrio considerò suo maestro, diacono.

Evagrio, che nel 379  seguì a Costantinopoli Gregorio di Nazianzo,  li acquistò fama di predicatore, aiutando il patriarca Nettario: «Era abilissimo a confutare tutte le eresie e si distingueva nella grande città per i suoi discorsi pieni di giovanile ardore contro ogni errore»(Palladio HL, 38). Le fonti raccontano anche che Evagrio, era anche «bello di aspetto e di buon gusto nel vestire» (Sozomeno, HE, VI, 30) e quindi correva il rischio di essere trascinato nella vita mondana e nella lussuria. Perciò, gettate tutte le sue cose su una nave, se ne partì per Gerusalemme» (Palladio, HL, 38). Giunto nella città santa «ebbe dei dubbi e cominciò ad esitare» (Palladio, HL, 38), ma sostenuto dalla beata Melania di Roma, nel 383 si ritirò in Egitto, nel deserto di Nitria, tra i monaci Egiziani per completare la propria conversione monastica: «alla vista di coloro che là filosofavano» (Sozomeno, HE, VI, 30), cioè che avevano la vera filosofia, il vero amore della sapienza, s’innamorò della vita cristiana per eccellenza. Dopo due anni, s’inoltrò ancor più nel deserto, noto come Cellia per la moltitudine di celle monastiche, dove visse per quattordici anni in grande austerità, guadagnandosi da vivere come copista di manoscritti, consumando 350 grammi di pane al giorno e 480 grammi di olio ogni tre mesi. Nel deserto Evagrio divenne discepolo dei due tra i piú famosi esponenti della vita monastica egiziana: Macario detto l’Alessandrino e l’altro Macario l’Egiziano, il Grande, monaco e abate di Sketis (300390),  da essi fu iniziato alla saggezza pratica che si tramandava nella vita monastica.

Tale esperienza si aggiungeva e si fondeva con l’insegnamento di filosofia e di scienze sacre che Evagrio aveva ricevuto dai Padri Cappadocí, sicché egli fu il primo a portare tra i monaci la conoscenza della cultura più alta e a metterla a servizio del mondo monastico: la sua importanza storica consiste appunto nell’avere organizzato in un sistema dottrinale la pratica ascetica dei monaci e nell’avere creato il vocabolario tecnico della mistica cristiana sulla terminologia della filosofia. Il diacono Evagrio era anche amico del patriarca di Alessandria Teofilo (+415) che avrebbe voluto consacrarlo vescovo di Thmuis, ma egli rifiutò l’offerta. Palladio, racconta di aver assistito alla morte del suo maestro Evagrio, appena cinquantaquattrenne, avvenuta dopo la partecipazione all’Eucaristia della festa dell’Epifania del 399.

Evangrio fu il più importante esponente della teologia monastica origenista, intorno alla quale si accese la contesa sullo scorcio del IV secolo. Il risultato di questa polemica fu che il II Concilio di Costantinopoli (553) condannò come eretici, su proposta dell’imperatore Giustiniano, Origene, Didimo il Cieco ed Evagrio Pontico. Ciò ha molto nociuto alla trascrizione delle sue opere dal greco  che ci sono pervenute,  con non poche correzioni, nelle traduzioni siriache ed armene. Notizie delle sue opere, anche se incomplete, ci sono pervenute attraverso Socrate Scolastico (380 ca. – 440 ca.)  (Hist. eccl. IV, 23) e più diffusamente da Gennaio di Marsiglia (+496) (De vir. ill., 11). Tracce dell’insegnamento del diacono Evagrio si possono trovare in Palladio, Massimo il Confessore, in tutta la spiritualità bizantina e, in Occidente, in Rufino e Giovanni Cassiano, che visse dieci anni tra i monaci del delta Egiziano e del deserto nitriaco. Evagrio scrisse:  l’Antirrheticus, una raccolta di versetti della Bibbia in 8 libri, contro gli otto vizi principali (alla superbia è aggiunta la vanagloria).

Dalle opere ascetiche di Antonio, Macario, Atanasio, Basilio e di altri scrittori, Evagrio trasse una raccolta di brevi massime per anacoreti dal titolo Monastichus, divisa in due parti: il Praticus, per i semplici; lo Gnosticus, per i monaci colti, tradotta pure in latino da Gennadio. Alla vita monastica sono poi dedicati molti altri opuscoli e florilegi, come le Sententiae ad eos qui coenobiis et xenodochiis habitant fratres, le Sententiae ad virgines, il De oratione, il De malignis cogitationibus.  Evagrio ha scritto pure opere esegetiche come il Commento ai Salmi e ai Proverbi e molte  Lettere, ma solo 67 giunte a noi in versione siriaca e una in greco. Tra tutti gli scritti di Evagrio hanno particolare  importanza i 600 problemi gnostici (Centurie)  e i Capitula XXXIII per gradus quosdam disposita consequentiae, nei quali, con carattere allegorico, è studiato il significato spirituale di malattie, animali ecc.

Il diacono Evagrio, che è il primo tra i monaci che abbia lasciato una notevole eredità letteraria e, tra gli eremiti d’Egitto, lo scrittore ecclesiastico più fecondo e originale, occupa una posizione centrale nella storia del movimento monastico e della tradizioni ascetica. Il Card. Michele Pellegrino (19031986), insigne studioso di Patrologia, scrive che le posizioni dottrinali di Evagrio derivano in gran parte da Clemente Alessandrino e da Origene, dai quali attinge la distinzione <<tra vita  attiva o pratica e vita contemplativa o gnostica.

La prima non è che la preparazione alla seconda, che ha il suo compimento nella contemplazione della Trinità, in cui consiste la perfezione e il più alto grado della vita spirituale. L’ascesi mira a purificare l’anima per togliere gli impedimenti alla contemplazione. La vita attiva è caratterizzata dalla pratica delle virtù, disposte in quest’ordine ascendente: fede, timore di Dio, osservanza dei comandamenti, da cui derivano la continenza, la prudenza, la pazienza e la speranza; da questa poi viene l’impassibilità, da intendersi non come indifferenza verso Dio né verso gli uomini, ma come perfetta pace e libertà dello spirito, raggiunta con la totale rinunzia e la costante mortificazione. Frutto dell’impassibilità è l’amore, che introduce alla vita contemplativa.

Nel campo ascetico Evagrio attribuisce grande importanza alla lotta contro i demoni e le passioni. Anche se le opere del diacono del Ponto furono condannate dal II concilio di Costantinopoli (553) come origeniste, Evagrio è venerato ancora oggi in tutto l’Oriente cristiano come un padre della vita monastica e come un teologo di primo piano, ispiratore dell’esicasmo, cioè la ricerca della pace interiore, in unione con Dio e in armonia con il creato.  Egli è il primo scrittore in cui si trova la classificazione degli otto vizi principali, da cui deriverà in seguito quella tradizionale dei sette peccati capitali (M. Pellegrino, Evagrio Pontico, in Enc. Catt., vol. V, Città del Vaticano 1950, col. 878).            

Gli scritti di Evagrio, molto stimati in vita e anche dopo la sua morte, anche se divennero alla fine oggetto di controversie e malintesi in modo particolare a causa del loro stile intenzionalmente enigmatico e del loro debito alla tradizione teologica derivata da Origene, nel secolo scorso, per  l’intenso lavoro degli studiosi sono stati resi disponibili con edizioni critiche sia in greco sia in siriaco. Nella scia di tali contributi, da metà degli anni settanta circa, sono apparsi studi in molte lingue che hanno accresciuto la comprensione e l’interesse generale nei confronti di Evagrio, che oggi è considerato figura chiave della storia del monachesimo orientale ed autore spirituale ricco di spunti anche per i nostri tempi. 

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