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Sono tanti i sentimenti, le sensazioni, che suscita allo spettatore l’atto unico “Le cinque rose di Jennifer”, uno dei testi più simbolici di Annibale Ruccello, drammaturgo stabiese scomparso tragicamente nel 1986, a soli trent’anni, in scena, per la regia di Daniele Russo, in scena al “Verga” di Catania, per l’odierna stagione di prosa del Teatro Stabile etneo, produzione Fondazione Teatro di Napoli –  Teatro Bellini e con l’intensa interpretazione di Daniele Russo e Sergio Del Prete.

In un impianto scenografico appositamente disordinato, vuoto, a tratti oscuro ed ambiguo, con tanto di radio d’epoca e telefono, divano di velluto rosso, tavolo e vestito che fa anche da tovaglia e tanti altri oggetti quotidiani in stile anni Ottanta, dove si muove la protagonista Jennifer, un travestito romantico, solo ma con il suo “doppio”, compagno, ammiratore, nemico, coscienza oscura, con il quale divide la sua angosciante solitudine, in attesa della telefonata del suo Franco, l’amato ingegnere ligure, di cui si è perdutamente innamorato, andato a Milano e sparito da tre mesi.

Daniele Russo

Jennifer vive nel disordine del suo appartamento, in un quartiere popolare della Napoli degli anni ‘80, con il telefono vittima di interferenze, con le sue cinque rose, i suoi caffè, i suoi pasti buttati giù veloci, con un serial killer che sta prendendo di mira nel quartiere proprio i travestiti, tra i brani di Patty Pravo, Mina, Ornella Vanoni e le richieste alla radio in un programma di cuori solitari. Nella sua fragilità di emarginata, nel suo disordine interiore, Jennifer indossa i panni di un uomo, ma si sente donna e solo in casa riesce ad esserlo. Con il suo trucco disfatto, pasticciato, i suoi abiti eleganti e per l’occasione che non arriva mai, chiede ogni giorno alla stessa radio, da più di tre mesi, la stessa canzone (“Se perdo te” di Patty Pravo) per il suo amato Franco, che “aspetta fidente”. Intanto nei luoghi oscuri della scena e nella solitudine di Jennifer si muove, si trascina, il suo ambiguo doppio, che poi si manifesta in quell’Anna, vicina di casa, al quale viene ucciso il gattino e che, per tutta la durata della pièce, si insinua nelle parole, nei sogni, nelle giornate, nell’attesa e nella solitudine di Jennifer, amplificando i toni del suo universo desolante e senza via d’uscita.

Jennifer trascorre i suoi giorni nella sua casa del ghetto del “quartiere dei travestiti”, tra i suoi oggetti in assoluto disordine ed attende -con speranza- la telefonata di Franco, ma un guasto alle linee telefoniche della zona rimescola le chiamate in arrivo. Intanto Radio Cuore Libero trasmette le canzoni preferite di Jennifer (Mina, Ornella Vanoni, la stessa Patty Pravo) ed informa dei delitti seriali dei travestiti ad opera di un probabile killer.

Estremamente significativa, ricca di simboli ed immagini, la regia di Gabriele Russo che introduce nel dramma e nel personaggio di Jennifer, il travestito alter ego di Jennifer, in scena per tutto lo spettacolo, una sorta di proiezione inconscia della stessa Jennifer e che contribuisce a manifestare, a scavare il travaglio interiore, la solitudine, la disperazione ed i fantasmi della protagonista.

Notevole l’interpretazione di Daniele Russo che con straordinaria intensità, trasmette al pubblico l’evoluzione dei variegati sentimenti di Jennifer, le sue nevrosi ed suoi tormenti interiori, la sua disperata solitudine, l’illusione e la conseguente disillusione della speranza di un riscatto che non avverrà mai, alternando dramma e comicità, fino a quel colpo di pistola nel finale –  a sipario chiuso – che conferma che proprio la solitudine è il giustiziere più spietato, mentre un telefono squilla, ma ormai è troppo tardi. Perfettamente allineata al rigore dello spettacolo e del testo ed all’interpretazione di Daniele Russo anche quella di Sergio Del Prete, nel ruolo di Anna, per la sua formidabile mimica  come “doppio” di Jennifer, come specchio deformante, per la sua presenza strisciante di alter ego nel buio e per il delirio e tragico finale. Intrigante e volutamente ambiguo, oscuro e disordinato, l’impianto scenografico di Lucia Imperato, efficaci i costumi di Chiara Aversano e di grande effetto, soprattutto in funzione del personaggio ombra, il gioco luci di Salvatore Palladino, funzionale il progetto sonoro di Alessio Foglia.

Sulla rappresentazione così scrive, nelle note, il regista Gabriele Russo: “Non è un testo su cui sovrascrivere ma in cui scavare, per tirare fuori sottotesti, possibilità, suggestioni, dubbi e le domande, le sospensioni sostengono l’atmosfera, fra il thriller ed il noir, tanto cara a Ruccello, che noi cerchiamo di amplificare al fine di creare quella tensione che richiede un testo fatto di telefonate e attese. Un testo che “rimanda” a Pinter o a Beckett..”.

A fine spettacolo – novanta minuti senza intervallo – applausi e consensi degli spettatori in sala per un lavoro in cui attori e regia rendono perfettamente lo spirito di un testo “cult” che, nonostante i 42 anni trascorsi dalla sua stesura, è ancora attualissimo con la sua dolente e forte rappresentazione di una solitudine senza scampo, che non ha tempo, sesso, confini. Uno spettacolo assolutamente da non perdere, dirompente, intenso, passionale, che trasuda travestimento, contraddizioni, voglia di cambiare – così come la Napoli di Ruccello – emarginazione e tanta solitudine.

La scheda

Le cinque rose di Jennifer

di Annibale Ruccello

Regia di Gabriele Russo

con Daniele Russo e Sergio Del Prete

Costumi di Chiara Aversano

Luci di Salvatore Palladino

Progetto sonoro di Alessio Foglia

Produzione Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini 

Sala Verga – Stagione 2021-2022 Teatro Stabile di Catania – 8-13 Febbraio 2022

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