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Avrei preferenza di no”. È la frase, la risposta, il curioso e misterioso ritornello che, alla fine, rimane in testa e che fa scattare mille interrogativi allo spettatore alla fine della pièce “Bartleby lo scrivano”, per la regia di Emanuele Gamba, testo teatrale di Francesco Niccolini liberamente tratto dal romanzo di Herman Melville, (l’autore di “Moby Dick”), pubblicato nel 1853, ma che ancora oggi è fonte di riflessioni e sorprende per la sua modernità. Il lavoro è stato proposto al “Brancati” di Catania, per la stagione di prosa 2021-2022.

Leo Gullotta – Ph. Luca Del Pia

Con uno straordinario Leo Gullotta nei panni dell’enigmatico protagonista, lo scrivano Bartleby che, nel lavoro, racconta la sua parabola esistenziale, in un mondo che corre, travolto dall’ambizione, dal superficiale, dal capitalismo e da una visione troppo egocentrica ed egoista dell’esistenza. Con una regia sottile ed intrigante, un impianto scenografico (uno studio legale con solo 2 finestre e l’interno freddo di un carcere) volutamente buio e claustrofobico, un gioco luci che pone in evidenza l’ambiente in cui si muove il povero Bartleby, lo spettacolo è prodotto da Arca Azzurra ed oltre ad un profondo Leo Gullotta si avvale di una compagnia affiatata e di talento composta da Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali, Massimo Salvianti, Lucia Socci, tutti diretti saggiamente da Emanuele Gamba.

“Bartleby lo scrivano” narra una storia enigmatica ed il suo personaggio chiave, così particolare ed emblematico, non può non suscitare mille interrogativi e riflessioni durante ed alla fine dei suoi 80 minuti senza intervallo. Al centro della vicenda la silenziosa ribellione di un uomo, Bartleby, verso un mondo sempre più attaccato alle frivolezze, al guadagno, frenetico e alienante, un uomo che si schiera contro l’ambizione, il voler essere necessariamente “qualcuno”, contro il profitto e l’ossessione della produttività, facendo emergere così il tema dell’incomunicabilità che attraverserà il Novecento. E’ Bartleby, con i suoi silenzi, la sua semplicità, la sua voglia di lavorare oltre ogni limite viene a collocarsi al centro di una passività totale con un particolare atteggiamento, con una resistenza non violenta che diventa modus vivendi, filosofia di vita. Con la sua improvvisa, incomprensibile – da colleghi e datore di lavoro – risposta Avrei preferenza di no”, come una continua, persistente e ostinata, non scelta che finisce per generare una storia grottesca, kafkiana.

Il Bartley di Leo Gullotta – Ph. Luca Del Pia

La pièce si svolge all’interno di uno studio di un avvocato senza nome, dove operano due impiegati, Nippers e Turkey, che si odiano, Ginger una segretaria maliziosa e pettegola, Rita una donna delle pulizie impicciona e fissata con l’ordine. Per il troppo lavoro un giorno il titolare dello studio è costretto ad assumere un nuovo impiegato, un copista ed ecco che entra in scena l’ambigio e fuori dal normale Bartleby, uomo di poche parole, riservato, con una fisicità minuta, sbiadita e scialba. L’enigmatico uomo che consuma solo biscotti allo zenzero, lavora alla sua scrivania anche durante la pausa pranzo, copia diligentemente le carte che il suo datore di lavoro gli passa. A un certo punto, un giorno, un po’ di sabbia entra nei meccanismi sociali e Bartleby si ferma, pronuncia la frase chiave del lavoro, Avrei preferenza di no”, paralizzando il lavoro dello studio e sconvolgendo la vita, la sensibilità dell’avvocato titolare dell’ufficio che è l’io narrante dell’intera vicenda. E la frase di Bartleby suscita stupore, rabbia, indignazione, disprezzo, ma soprattutto compassione per quell’uomo che, con decisione, pronuncia quelle semplici parole capaci di bloccare, di sovvertire i precari equilibri del personale dello studio e la vita stessa del suo datore di lavoro. Abituati, tutti, ieri come oggi, a una certa vita, intrisa di sviluppo e crescita senza limite, Bartleby ci spiazza con la sua totale assenza di aspirazione alla grandezza, con la sua totale aderenza alla rinuncia. Bartleby, infatti, si nega a tutti, non cambia idea, finisce anche in carcere, ma – caparbiamente – ripete sempre la stessa frase, fino alla morte, semplice, anonima, liberatoria.

Spettacolo davvero interessante e disarmante come tematica, scena di Sergio Mariotti, costumi di Giuliana Calzi e luci di Massimo Messeri, regia scorrevole quella di Emanuele Gamba ed in linea con un cast di assoluta valenza, a cominciare da un Leo Gullotta che regala al pubblico della sua città un personaggio come Bartleby che incarna in modo perfetto, con la sua fisicità e la sua esperienza, dando diverse sfumature alla stessa frase e suscitando con la sua rigorosa mimica del corpo, a tratti clownesca, la simpatia, l’attenzione dello spettatore.

Gli applausi finali – Foto Dino Stornello

Alla fine gli attori ed in primis lo stesso Gullotta hanno raccolto i reiterati e convinti applausi del pubblico per un lavoro davvero di grande attualità in quanto porta a riflettere su come e dove sta andando la società attuale e la stessa frase, la certezza di Bartleby, forse ci vogliono dire che è arrivato il momento di ripensare al nostro modo di stare al mondo, di fermarci, guardarci attorno e dentro e cercare di cambiare.

Scheda

Bartleby lo scrivano

di Francesco Niccolini

Liberamente ispirato al racconto di Herman Melville

con Leo Gullotta e con Giuliana Colzi, Andrea Costagli, Dimitri Frosali, Massimo Salvianti, Lucia Socci

Regia di Emanuele Gamba

Scene Sergio Mariotti

Costumi Giuliana Colzi

Luci Massimo Messeri

Produzione Arca Azzurra

Foto Luca Del Pia

Durata: 80 minuti senza intervallo

Teatro Brancati di Catania – Rassegna 2021-2022 – 25-27 marzo 2022

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