Il volume Nuvole sul grattacielo. Saggio sull’apocalisse estetica (Quodlibet 2022), da poco presentato all’interno del prestigioso Catania Book Festival, è il più recente lavoro di Giuseppe Frazzetto.
L’autore è professore presso l’Accademia di Belle Arti di Catania (e, negli anni scorsi, presso l’Università di Catania), dove insegna varie materie concernenti la Storia dell’arte nonché i media digitali (con specifica attenzione rivolta anche a un tema ancora poco studiato, cioè quello dei videogiochi). Ma è notissimo anche per i suoi frequenti interventi giornalistici come critico d’arte e per la sua attività come organizzatore di mostre d’arte contemporanea. Storico attento al rapporto fra la cultura artistica dei centri e quella delle periferie, da alcuni anni si è concentrato sulla stesura di volumi in cui si analizzano le forme in cui attualmente si manifestano i fenomeni estetici, a partire dall’arte ma tenendo conto anche della “colonizzazione” della vita quotidiana caratterizzante l’uso dei social network e la diffusione delle serie televisive. A questi temi ha dedicato i volumi Molte vite in multiversi. Nuovi media e arte quotidiana, 2010; Epico Caotico. Videogiochi e altre mitologie tecnologiche, 2015 e Artista sovrano. L’arte contemporanea come festa e mobilitazione, 2017.
CronacaOggiQuotidiano ha incontrato il prof. Frazzetto per approfondire le particolari ed interessanti tematiche, di estrema attualità nella vita quotidiana del nostro tempo, affrontate nella sua recente pubblicazione con un linguaggio “fruibile” anche da i “non addetti ai lavori”.
Professor Frazzetto, vuole spiegarci il motivo di questo titolo, peraltro così suggestivo?
Le “nuvole” sono una metafora del rapidissimo cambiamento delle forme della cultura, a cui stiamo assistendo e in cui siamo tutti coinvolti. In particolare il riferimento è alle nuvole accelerate che sempre più spesso vediamo proposte nei film, nelle serie televisive e nella pubblicità come elemento decorativo o come segnale del passaggio del tempo e del modificarsi delle situazioni. Nuvole spesso riprese nel loro specchiarsi sulle superfici verticali di grattacieli. D’altra parte, nella cultura recente l’atto di osservare la città dall’alto d’un grattacielo è stato spesso citato come “modello” dell’interpretazione colta, che vede i fenomeni da una posizione privilegiata. Ma c’è ancora, quella posizione privilegiata? Oppure dobbiamo ristrutturare la nostra capacità di comprendere a partire da una visuale diversa, meno distante, meno “alta”? Il libro cerca di dare risposta a queste domande – o almeno di contribuire a una loro migliore formulazione.
Di cosa si occupa concretamente il volume?
In un certo senso si tratta di una sorta di “vocabolario” dell’attualità estetica, fra arte, intrattenimento, vita quotidiana. Alcune delle “voci” di questa rassegna sono dedicate a questioni antiche (ad esempio il rapporto fra pittura e visibile, e fra immagini e linguaggio), altre analizzano termini usati solo da pochissimo tempo, come NFT, ovvero Non Fungible Token, una modalità di proposizione di “opere d’arte” collegata alla processualità blockchain. Altre ancora fanno riferimento a nozioni del tutto inedite, diventate però necessarie per la riflessione sulla nostra “apocalisse estetica”.
Ma cos’è, questa “apocalisse estetica” richiamata già dal sottotitolo del volume?
Si tratta di una definizione che mi sembra potentissima in primo luogo per la sua possibile connessione a vari significati. In senso proprio, si tratta dello “svelamento” di alcune caratteristiche del nostro pensiero estetico consueto; caratteristiche già presenti ma che a lungo sono state poco considerate. Ad esempio, la separazione (che può sembrare ovvia) fra artista e “pubblico” qui mostra un suo problema, in quanto ognuno degli appartenenti al “pubblico” oggi è messo nella condizione d’essere a sua volta “autore”, tramite i media digitali. D’altra parte, dicendo “apocalisse estetica” tento di riferirmi a un atteggiamento oggi prevalente, cioè il diffondersi di esperienze che vorrebbero essere totalizzanti ma che risultano effimere e in fin dei conti non soddisfacenti. Di conseguenza queste esperienze sembrano sempre “già finite” eppure “non ancora concluse”. In un passo del libro si dice che la regola di questo frammentarsi dell’esperienza estetica è “Facciamola finita. Ma poi facciamola finita ancora e ancora”.
Nonostante la complessità degli argomenti trattati, il libro è caratterizzato da una notevole chiarezza. A quale “lettore ideale” è indirizzato?
Ho tentato di scrivere tenendo conto di almeno due possibili livelli di lettura. Gli studiosi troveranno discussioni su temi oggi al centro del dibattito, presi in considerazione con un apparato di riferimenti e note; i lettori interessati a comprendere le dinamiche del nostro mondo estetico potranno reperire (mi auguro) stimoli e suggerimenti, anche perché l’argomentazione è condotta cercando di formulare un’interpretazione unitaria.
Una delle chiavi di lettura proposte è indicata mediante la nozione di cerimonia del me/mondo. Vuole sintetizzare il significato di questa espressione?
Un presupposto del libro è che la nostra situazione culturale sia caratterizzata da un profondo senso di inquietudine, simile a quanto il grande studioso Ernesto De Martino definiva “crisi della presenza”. Nel nostro caso, questa crisi è connessa all’incertezza rispetto a una realtà che muta velocissima (come le nuvole accelerate a cui si allude nel titolo…) e il cui senso ci sfugge. Un’ipotesi è allora che ci sia un tentativo di riscattare la crisi mediante la cerimonia del me/mondo, ovvero una sorta di continua “catalogazione” del mondo. Tutti vi siamo coinvolti, pur senza rendercene conto. E del resto è abbastanza evidente: fotografiamo, archiviamo, guardiamo immagini e filmati. Si potrebbe definire “bulimia della catalogazione”. Anche se spesso quelle immagini vengono guardate solo per un istante, per poi passare ad altre immagini.
Ma questa situazione non è più legata ai nostri comportamenti che a esperienze estetiche?
Il punto è che ormai (non è certamente una mia scoperta…) è quasi impossibile distinguere le situazioni estetiche da quelle della vita; si sono assottigliati fino a sparire i confini fra quanto un tempo costituiva il territorio specifico dell’estetica (cioè innanzitutto l’arte) e quanto invece era di pertinenza dell’“etica”, della morale, dell’educazione, dei comportamenti, ecc. Tutto è in qualche modo estetizzato. L’elemento inaspettato è che questa estetizzazione ci rende il mondo più che mai estraneo e obbligante. Assistiamo insomma al fallimento di uno degli aspetti più significativi delle ipotesi della Modernità, ovvero l’idea che la liberazione dell’individuo potesse passare attraverso l’esperienza estetica.
In altre parole il libro parla anche di come sono cambiate e stanno ancora cambiando le nostre mentalità?
In particolare nella terza parte del saggio discuto di questi aspetti. Lo faccio da una prospettiva estetica, parlando delle narrazioni odierne. Noto la presenza (se non la prevalenza) di alcune caratteristiche: frammentazione al posto di narrazioni consequenziali; enfasi sullo straordinario (o più semplicemente sul “cool”, sul ribaltamento destinato a suscitare il “uau!” di sorpresa); sostanziale distruzione della stabilità del carattere dei personaggi. Quest’ultima caratteristica, in un certo senso rivelatrice (cioè “apocalittica”) emerge con grande chiarezza in un fenomeno in sostanza del tutto inedito e in una sede inaspettata: nei videogiochi, dove ormai comunemente sono presenti molti possibili finali, con totale disprezzo della tradizionale coerenza fra il carattere d’un personaggio e il suo “destino”.
Ma i videogiochi sono arte?
Forse potrebbero esserlo – oppure in un futuro prossimo spariranno, risucchiati dalle mille forme dell’estetica quotidiana. Di certo, i videogiochi sono una delle manifestazioni più plateali dell’ormai pervasiva gamification del mondo. Tutto viene trasformato in un gioco – sebbene un gioco spesso incomprensibile e drammatico. Del resto, “vivere in un social network” non è già confondere vita e qualcosa di molto simile a un videogioco?