Aurelio Prudenzio Clemente, il più grande poeta latino cristiano della Chiesa antica, nacque nel 348 forse a Calagurris, nella Spagna Tarragonese, (oggi Calahorra in Navarra), da nobile famiglia cristiana. Compiuto il regolare corso di studi, esercitò l’avvocatura, fu governatore di due province e ricoprì un alto ufficio a corte, forse quello di proximus nello scrinium libellorum. Cristiano fino allora tiepido e mondano, quando era già nella piena maturità degli anni e al vertice della sua carriera, sentì il richiamo ad una vita religiosa fervente, quindi decise di dedicare il resto dei suoi giorni a cantare in versi le lodi di Dio e dei martiri, a combattere l’eresia e il culto pagano e ad illustrare la fede cattolica, onde procurarsi il paradiso. Nei primi anni del V secolo, (402 o 403) intraprese il pellegrinaggio a Roma, dove il suo fervore religioso trovò nuovo alimento. Nel 404 o 405 dettava la <<Prefazione>> poetica alle sue opere, che doveva aver raccolto per la pubblicazione. Dopo questa data non si hanno più notizie di Prudenzio, che, probabilmente, morì nel 405.
Le poesie di Prudenzio, che sono costituite da poemi in esametri e componimenti in metri lirici, non sono destinate alla liturgia, ma a persone dotte, dedite allo studio ma anche alla meditazione.
Gli spunti eucaristici del poeta, anche se non sono molti, costituiscono la chiave di volta del problema esistenziale affrontato nell’opera prudenziana.
Il grande mistero dell’Eucaristia, che inserisce la creatura fragile ed effimera nell’eterna sostanza divina, è dono supremo di Dio che rinnova per l’uomo il suo sacrificio redentore ed occupa nell’economia prudenziana lo stesso ruolo della creazione del nulla e della vittoria sulla morte.
I tre miracoli, eccelsa manifestazione dell’onnipotenza divina, sono legati da reciproca interdipendenza e costituiscono il punto di più alto livello religioso e poetico dell’Apotheosis, il poema che illustra il vero senso dell’Incarnazione, ne confuta le spiegazioni erronee degli ariani e dimostra la divinità di Cristo e la trasformazione dell’uomo in divinità: <<Cristo si trovava nel deserto: fa apprestare cinque pani e due pesci per sfamare gli uomini che, insensibili agli stimoli della fame, si affollano attorno al Maestro e, dimentichi del nutrimento, avevano abbandonato villaggi, fortezze,, macelli, castelli mercati, concili, città, paghi di nutrirsi a sazietà della dottrina di Cristo. Stesi a terra sui mucchi di fieno, fervono numerosi aggruppamenti di uomini: i convitati stanno insieme per il pasto a centinaia, distribuiti in numerose mense, per estinguere la fame con i due pesci. Credi ora Cristo è Dio, e con pochi tozzi di pane, che cresce di mono a mano che viene spezzato>> (Prudenzio, L’Apotheosis, testo, traduzione e note di Emanuele Rapisarda, Centro di Studi di arte e letteratura cristiana antica, G. Reina Catania Editrice 1945, 706-713),
<<Chi può far crescere in modo così misurato le piccole quantità di cibo? Chi, se non colui che dal nulla ha creato il mondo, mentre non esisteva materia alcuna, creando anche il corpo e ogni nutrimento? L’Onnipotente Dio ha creato l’universo, non nel modo in cui suol dare vita al bronzo uno scultore, fondendo cioè rottami di metallo, ma senza l’uso di alcun seme. Tutto ciò che ora esiste, non esisteva: il nulla ricevette l’ordine di prendere consistenza, di essere, di assumere nuovo aspetto e di raggiungere ad un tratto proporzioni grandiose>> (Apoth.,721-724). <<Perché, saziati gli uomini, i beni largiti da Cristo non fossero calpestati e mandati in rovina, né, lasciati senza custodia, divenissero preda di lupi, volpi e piccoli topi, sono stati dati dodici custodi a guardia di tali beni, esposti in dodici canestri visibili dagli occhi di tutti. Ma perché con voce incerta vado esponendo tali miracoli io, che sono indegno di cantare cose divine? indignus qui sancta canam>> (Apoth., 736-742).
Prudenzio si dichiara incapace di celebrare il mistero grande dell’Eucaristia, e si volge trepidante a Lazzaro, perché racconti lui la potenza di Cristo, artefice di tanti miracoli, vincitore della morte: <<Sorgi dalla tomba, Lazzaro, di quale voce hai udito, allorché eri seppellito, dì quale forza è penetrata negli abissi della morte, perché, al richiamo di Cristo, tu, sommerso in profonde oscurità, hai udito come se ti trovassi vicino, e sei apparso senza frapporre indugio alcuno>> (Apoth., 743-747).
<<Chi ha potuto ridare la vita al corpo? Certamente colui che ha creato il corpo, colui che ha infuso con il suo soffio la vita nelle umide vene, fatte di argilla, colui al cui volere un pugno di terra, già marcia per gli umori corruttori, si ricopre dei colori del sangue. O morte ormai docile nei suoi decreti, che hanno orecchie per ascoltare! Morte, sorda per il passato ed ora pronta ad udire qualsiasi ordine viene dato, a chi è stato dato potere su di te? Confessa, ormai vinta, che Gesù, il solo abbia potuto strappare me al tuo potere, è Dio. Seppellisci pure coloro che rinnegano Cristo, seppelliscili, nessuno te li chiederà>> (Apoth., 764-773).
Non solo nell’Apotheosis, ma costantemente, Prudenzio viene sollevato da una ineffabile trepida gioia, allorché egli evoca il Sacramento dinanzi al quale la mente dell’uomo naufraga impotente come dinanzi al pensiero della creazione dell’universo.
I dodici Inni quotidiani (Cathemerinon) sono distribuiti in due parti: sei riguardano le sei ore del giorno che la Chiesa antica assegnava alla preghiera del mattino, del mezzogiorno e della sera, e altri inni sono dedicati a varie occasioni liturgiche: Quaresima, Pasqua, Natale, Epifania. L’Eucaristia come la Passione, è vista da Prudenzio non come ricorrente celebrazione del sacrificio di Cristo, ma come dono di salvezza: <<Portate via gli avanzi, raccolti in dodici recipienti. Con un pasto di cinque pani e due pesci si sono sfamati a sazietà migliaia di commensali>> (Prudenzio, Inni quotidiani, IX,20, Città Nuova Editrice, Roma 2009).
Le stesse espressioni ricorrono nel Dittochaeon, che rappresenta, in 48 o 49 brevissimi componimenti, in quattro esametri dattilici che illustrano in due serie uguali, altrettanti episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento. Il titolo viene anche interpretato come <<doppio nutrimento>>: <<Dio spezzò cinque pani e due pesci e con essi dette da mangiare, fino alla sazietà, a cinquemila uomini; con l’abbondante quantità delle briciole si riempirono dodici ceste. Grande è l’opulenza della mensa eterna>> (Trad. di G. Mannelli, La personalità prudenziana nel “Dittochaeon”, in Miscellanea di Studi di Letteratura Cristiana Antica I, Catania 1947, pag. 79-126)
Prudenzio è così certo della reale validità dell’Eucaristia da ricusare ogni elemento atto a rafforzarne la credibilità. Le stesse profezie bibliche, che venivano richiamate dalla tradizione apologetica per riconfermare la reale consistenza dell’Eucaristia, sono evocate da Prudenzio con una prospettiva poetica capovolta. Non è l’esempio di Daniele, nutrito da Dio nella fossa dei leoni, a dare validità con il suo significato profetico all’Eucaristia, ma è l’Eucaristia a dare luce e significato all’episodio biblico raccontato nel libro di Daniele (6,12-28). Anche negli Inni quotidiani, Prudenzio scrive: <<Tu sostieni con un doppio desco, o Padre, ristorando e rinvigorendo con tutti e due i cibi il corpo e l’anima. Così un tempo la tua celebrata potenza rifocillò un uomo nella fossa dei ruggenti leoni con le vivande discese dall’alto (cfr. Dn 6,23)>> (Prudenzio, Inni quotidiani, IV,12-13, Città Nuova Editrice, Roma 2009)),
Parimenti la manna, che cade dal cielo nel deserto per nutrire il popolo di Dio non è tanto una prefigurazione simbolica dell’Eucaristia, quanto un aspetto dello stesso prodigio, un raggio della luce divina: il passato si congiunge con il presente in un’unica visione: Implet castra cibus tunc quoque (Cath. V,97).
Il corso del tempo, irripetibile, assioma inconfutabile, caposaldo inespugnabile della speculazione pagana, si svolge in Prudenzio in senso inverso. L’Eucaristia estende non solo nel futuro, ma anche nel passato la sua efficacia: <<E a quel punto il campo si riempie pure di cibo bianco come la neve, che cadeva più denso della gelida grandine; le mense si arricchiscono di queste vivande, di questa grazia che Cristo dispensa dal cielo stellato>> (Inni quotidiani, V,25). <<Un tempo la gloriosa bontà del Dio unico elargì questi doni ai padri. Quanto a noi, essa ci sostiene con il suo aiuto e nutre il nostro cuore con pane mistico>> (Inni quotidiani, V,27). Prudenzio, perspicace interprete dei misteri del Cristianesimo, riesce a mettere in luce con immagini scultoree gli elementi essenziali strettamente ortodossi al dogma eucaristico, che in altri scrittori paleocristiani ci appaiono talvolta fluttuanti e oscillanti. Ugualmente lontano del realismo impulsivo di Tertulliano e dalle espressioni evanescenti di Agostino d’Ippona, che hanno dato, pur a torto, appiglio ad interpretazioni simboliche, Prudenzio ci dà ottime rappresentazioni inequivocabili della presenza reale del corpo e del sangue di Cristo, riuscendo nello stesso tempo a porre l’accento sul valore spirituale del cibo eucaristico: <<Tu, nostro cibo e pane, tu, dolcezza eterna! Chi partecipa al tuo banchetto non saprà mai cos’è la fame: infatti non riempie il vuoto del suo ventre, ma alimenta i valori della vita>> (Inni quotidiani,IX,21). <<Un tempo la gloriosa bontà del Dio unico elargì questi doni ai padri. Quanto a noi, essa sostiene con il suo aiuto e nutre il nostro cuore con il pane mistico>> (Inni quotidiani,V,27). <<Tu ci sostieni con doppio desco, o Padre, ristorando e trascorrendo con tutti e due cibi il corpo e l’anima>> (Inni quotidiani, IV,12).
Al pari degli altri dati dottrinari, anche quelli eucaristici ricevono calore e significato dal dramma interiore esistenziale di Prudenzio, che vede nell’Eucaristia il pegno essenziale della vittoria dell’uomo sul peccato e quindi sulla morte, che ne costituisce la conseguenza. Così a me pare che il poeta con il termine <<vittoria>> si riferisca all’Eucaristia nel seguente tetrattico del Dittochaeon: <<Cristo trafitto da un fianco all’altro emette acque e sangue: il sangue è simbolo di vittoria, l’acqua di purificazione. Allora i due ladroni contrastano dalle vicine croci poste ai due lati: l’uno nega Dio, l’altro porta la corona>> (Ditt. XLII. Trd. G. Mannelli).
Leggiamo infatti ancora negli Inni: <<Morte mirabile! Un miracolo straordinario in quella ferita! Da un lato è sgorgato un fiotto di sangue, dall’altro dell’acqua: l’acqua del battesimo, il sangue per la vittoria>> (Inni quotidiani, IX,29)
L’Eucaristia, quale segno di vittoria, riappare nella Psycomachia, (combattimento dell’anima o meglio intorno all’anima>>), che riprende un motivo familiare al cristianesimo, quello della lotta che l’uomo combatte tra il bene e il male. Il poeta rappresenta in vivaci personificazioni il contrasto tra le virtù e i vizi che vengono ad uno ad uno debellati: <<Subito dopo la vittoria dell’uomo sulle passioni, Cristo stesso che è il vero sacerdote, nato da alto e ineffabile Padre, offrendo il cibo ai beati vincitori, entrerà nella piccola casa del cuore pudico, dando l’onore dell’ospitalità della Trinità. Egli quindi renderà l’anima, priva a lungo di prole, feconda d’eterno seme, unendola nell’amplesso di caste nozze con lo Spirito Santo. La madre, ricca di dote riempirà tardi la casa del Padre di eredi degni di lui>> (Prudenzio, Psycomachia, 59-68; Testo con Introduzione e traduzione di Emanuele Rapisarda, 1962. In: Revue des Études Anciennes. Tome 66, 1964).
La Psycomachia, secondo E. Rapisarda è stata fraintesa e giudicata <<la più fredda e la più infelice delle opere di Prudenzio perché non è stata interpretata alla luce dell’unità e dell’interiore significato di tutta l’opera prudenziana. Come negli altri poemi, anche qui la Prefazione è rivelatrice dell’interiore significato del poema; in essa viene evocato l’episodio di Abramo il quale, sacrificando a Dio l’unico suo figlio, ci ha insegnato che la fede richiede il sacrificio di ciò che si ha di più caro e ci ha insegnato altresì che non si può dare vita a casti pensieri se non si vincono le passioni e i cattivi pensieri. Questo significa l’episodio della liberazione di Lot da parte di Abramo, il quale riuscì a liberare il prigioniero con l’aiuto dei 318 servi. Nel suo ritorno vittorioso ebbe in dono dal sacerdote Melchisedec pane e vino, mentre Sara, già sterile per vecchiaia, dopo la venuta dei tre angeli, diede alla luce, contro ogni sua aspettativa, un figlio, da cui ebbe origine una prole cara a Dio. Il punto più alto del racconto simbolico tra l’episodio biblico, <<raffigurato – scrive il poeta –in quella immagine che la nostra vita scolpirà con esattezza>> (Psych., Praef. 50-51) e quel che segue nella prefazione è dato dall’offerta del pane e del vino, che avrà riscontro nell’offerta di Cristo dell’Eucaristia, dopo che l’uomo riuscirà vincitore delle passioni <<nella lotta dentro l’anima>> che è l’argomento appunto della Psycomachia. Poiché dunque la meta, il premio di tale lotta è costituito dall’Eucaristia, – continua il prof. Rapisarda – io non esiterei a chiamare la Psycomachia il poema dell’Eucaristia, che costituisce altresì la meta a cui tende tutta la poesia prudenziana, volta a purificare l’anima dai peccati e a renderla degna del supremo dono divino: l’immortalità che non si può avere senza l’unione nell’Eucaristia con Cristo.
Il poema ha accenti di alta poesia, poiché Prudenzio scende negli abissi del cuore, dove ci sentiamo soli a lottare con noi stessi, ha ascoltato le voci arcane, che egli ha trascritto quali dettati dal Creatore, unico e solo conoscitore dei misteri del cuore umano>>. (E. Rapisarda, Poesia e spiritualità: Cristo e l’Eucaristia in Prudenzio, Convivium Dominicum, Centro di studi sull’antico cristianesimo, università di Catania 1959, pag.173-174). <<O Dio, tu he ai avuto sempre pietà dei gravi travagli degli uomini, tu che splendi per gloria paterna e tua, ma gloria unica, infatti adoriamo un solo Dio dal duplice nome, pur non costituendo una sola persona, poiché tu, nato dal Padre sei Dio, o Cristo, dicci, re nostro, con quale esercito può lo spirito in armi cacciare dal profondo del nostro petto le colpe, ogni qualvolta per lo scatenarsi dei sensi sorge verso di noi rivolta, e la lotta delle passioni travaglia l’anima, dicci qual presidio in difesa della libertà, quali schiere possono con migliore successo contrapporsi alle furie che sconvolgono il nostro cuore>> (Psy Praef., 1-10).
Prudenzio, come altri poeti attribuisce a Dio la sorgente della propria poesia, impegnata nella Psycomachia in una impresa alquanto ardua , poiché è volta a cogliere l’oscuro contrasto tra il bene e il male nell’anima <<divinamente legata e divinamente sciolta da Dio>>. Dio è dunque per il poeta l’ispiratore primo della Psycomachia, che ci dà la pittura del mondo visto alla luce del Messaggio di Cristo. Chi legge questo poema certamente rimane sorpreso per la viva attualità di alcune allegorie, dietro le quali si agitano passioni e virtù che parlano un linguaggio attuale, pongono scene e visioni di sorprendente corrispondenza con il mondo di oggi e di ogni tempo.
Il bene e il male hanno la loro espressione più alta nella rappresentazione della Ambizione e della Pace: l’Ambizione è considerata da Prudenzio il più grave nemico della Carità cristiana, la Pace, invece, il frutto più desiderabile dell’insegnamento di Cristo: <<L’ambizione travolge ogni genere di uomini, trascina a morte ogni sorta di mortali: non vi è passione più violenta sulla terra che con stragi così gravi trascini la stirpe umana e la condanni alla geenna>> (Psy., 493-496). <<La Pace è il compimento di ogni virtù, è la meta suprema di ogni travaglio, la Pace è il prezzo della guerra combattuta, è il prezzo del pericolo; dalla Pace traggono vigore gli astri, nella Pace coesistono le cose della terra. Senza la pace niente è caro a Dio, quando tu vuoi portare un dono all’altare Dio non lo gradisce se la tua anima in ira odia il fratello nell’interno del cuore in agitazione. Se ti getti nel fuoco vivo, nelle furie delle fiamme per testimoniare il nome di Cristo e poi conservi la tua ira in odio iniquo, non ti gioverà il sacrificio della tua vita preziosa a Gesù, poiché prima condizione di merito verso Cristo è la Pace!>> (Psy., 769-778).
La validità della poesia di Prudenzio non deve diminuire per il lettore moderno dinanzi alla rappresentazione dei sacri misteri della Religione. Le recenti scoperte hanno condotto la scienza moderna verso progressi che prima erano incomprensibili: ma quanto ancora è ignoto, e quanto ancora si può lasciare all’intuizione poetica senza ledere quel metro di verosimiglianza, con cui si misurano oggi i rapporti tra Dio e la natura, tra la ragione e la fede!.
Se il lettore si porrà dal punto di vista del poeta cristiano dovrà riconoscere, anche se può non condividere, l’equilibrio conseguente, la forza persuasiva, l’unitaria struttura di quel mirabile tempio che egli ha innalzato con la sua poesia al Messaggio di Cristo. Dentro tale tempio egli ha posto la Sapienza divina, che non delude e che rende veramente ricco l’uomo, Sapienza che l’uomo acquista dopo che egli si unisce all’Eucaristia, che è principio e fine di ogni cosa, ed è«fonte e apice di tutta la vita cristiana », come viene ribadito dal Concilio Vaticano II nella Lumen gentium, 11.
La luce e le tenebre combattono in contrastanti aspirazioni, la nostra doppia natura arma forze opposte: <<finché non giunca in nostro aiuto Cristo Dio e non ponga le gemme delle virtù nel petto purificato, e finché, là dove aveva regnato il peccato, non costituisca con la bellezza dei costumi gli ornamenti dell’anima, innalzando le auree volte del tempio ove regni in eterno, lieta del suo, la Sapienza, che rende ricchi>> (Psy., 910-915).
<<L’importanza eccezionale dell’opera di Prudenzio è confermata dall’esame della sua concezione della poesia. Essa – ha scritto il card. Michele Pellegrino nella sua Letteratura Latina Cristiana – è cristiana nel vero senso della parola ed è inserita di pieno diritto nel nuovo mondo di valori ricostruito dal Cristianesimo il quale, come per ogni altro campo della civiltà antica, accetta quanto di buono, e quindi di non contrastante con il Cristianesimo, tale civiltà ha prodotto, così, secondo la concezione prudenziana, per quanto attiene alla poesia può liberamente appropriarsi di ciò che di meglio ha saputo creare quella civiltà>>.
Diac. Dott. Sebastiano Mangano
già Cultore di Letteratura Cristiana Antica nella Facoltà di Lettere dell’Università di Catania