Cultura

Giovanni Battista, martire della verità In una omelia di Beda il Venerabile   Beda il Venerabile, santo e dottore della Chiesa, massimo esponente della cultura latina nell’Inghilterra dell’Alto Medioevo, nacque a Monkton in Jarrow (Inghilterra) nel 672-673 circa, sul luogo dove l’abate Benedetto Biscop fondò nel 674 il monastero benedettino di Jarrow e di Wearmouth, dedicati ai santi Pietro e Paolo. A sette anni i parenti inviarono Beda nel monastero benedettino di Wearmouth da dove poi passò al monastero di Jarrow, dove visse per tutta la vita.                 

Quasi tutto ciò che conosciamo della vita di Beda è quanto è raccontato da lui stesso nella sua Historia ecclesiastica. Le sue parole, scritte nel 731, quando la morte era ormai vicina, gettano luce sulla composizione dell’opera che lo rese famoso nel mondo. Scrive egli stesso: <<Così io, Beda, servo di Cristo e sacerdote del monastero dei Beati Apostoli Pietro e Paolo, che si trova a Wearmouth e a Jarrow, con l’aiuto del Signore ho composto  fino a dove ho potuto raccogliere, o dai documenti degli antichi o dalle tradizioni degli antenati o dalla mia conoscenza, questa storia ecclesiastica della Britannia, e specialmente del popolo inglese. Sono nato nel territorio del detto monastero, e all’età di sette anni i miei genitori mi affidarono alla cura del reverendissimo abate Benedetto, e in seguito a Ceolfrid,  perché mi istruissero. Da quel momento ho passato tutta la mia vita all’interno del suddetto monastero, dedicando tutte le mie fatiche allo studio delle Scritture, e fra l’osservanza della disciplina monastica e del compito quotidiano di cantare in Chiesa, è sempre stato per me piacevole imparare, insegnare o scrivere. A diciannove anni fui ammesso al diaconato, a trent’anni al sacerdozio, ed entrambi li ho intrapresi nelle mani del reverendissimo Vescovo Giovanni, e sotto la disciplina dell’abate Ceolfrid. Dal momento dell’ammissione al sacerdozio al mio attuale cinquantanovesimo anno, mi sono occupato di aggiungere brevi note sulle Scritture, tratte dalle opere dei Venerabili Padri o in conformità con il significato e le interpretazioni da essi indicati, e ciò per mio uso personale e per quello dei miei confratelli» (Hist. eccl., V,24)

Il monaco – presbitero Beda non ebbe e nè aspirò mai ad incarichi abbaziali, come lui stesso attesta nella Historia Ecclesiastica Gentis Anglorum, che è un monumento letterario universalmente riconosciuto da cui emerge la romanità-universalità della Chiesa: <<In questo monastero ho passato tutta la mia vita, consacrandomi alla meditazione dell Scritture, e tra l’osservanza della disciplina regolare e la cura quotidiana di cantare l’Ufficio in chiesa, ebbi sempre carissimo lo studio, l’insegnare, lo scrivere>> (Hist. eccl., V,24).

I resti dell’Abbazia Monkwearmouth–Jarrow di fronte alla chiesa di San Paolo

Lo studio gli fu agevolato dai molti volumi che gli portarono i suoi abati dai loro frequenti viaggi nel continente e a Roma: di essi si fece egli stesso copista, collatore e correttore. L’insegnamento, la fama della sua dottrina e degli scritti gli procurarono molte amicizie, come quella dei discepoli e poi abati del suo monastero: Vetberto, Cuteberto, Notelmo, arcivescovo di Canterbury, Albino, abate della stessa città, Acca, vescovo di Hexham, che lo spronarono sempre a comporre molte opere che furono poi da Beda a loro dedicate. Essi gli fornirono materiali per i suoi studi storici e tennero anche rapporti epistolari con lui. A Egherto, vescovo di York, oltre che inviare una lettera amichevole sulla dignità episcopale, fece pure una visita nel 734, ma ne tornò ammalato e non si riebbe più. Dal letto continuò a dettare alcuni estratti delle opere di Isidoro di Siviglia (560 ca. – 636) per uso dei suoi monaci e la versione anglosassone del Vangelo di san Giovanni.

Insieme al vescovo Isidoro di Siviglia, Beda è la maggior figura di erudito dell’Alto Medioevo, e divenne uno dei padri di tutta la cultura posteriore. Il suo sapere si sparse specialmente attraverso la scuola di York che, con Alcuino, trapiantò il sapere anglosassone nella civiltà carolingia e conseguentemente in quella europea. Fu tale la sua fama  che l’anno della sua morte fu registrato anche nelle cronache del continente,

Il monco Beda, oltre il latino e l’anglosassone, aveva anche qualche conoscenza di ebraico, fu un grande esperto in letteratura patristica e nei suoi scritti si ritrovano citazioni di Plinio il GiovaneVirgilioLucrezioOvidioOrazio e di altri autori classici, malgrado qualcuno all’epoca disapprovasse queste conoscenze.

Il Palazzo-Fortezza di Macheronte in Giordania
luogo dove fu decapitato Giovanni Battista per ordine di Erode Antipa

Beda è citato da Dante nella Divina Commedia: <<Vedi oltre fiammeggiar l’ardente spiro d’Isidoro, di Beda e di Riccardo, che a considerar fu più che viro (Più oltre vedi come fiammeggiar le anime ardenti di carità di Isidoro di Siviglia, Beda il Venerabile, di Riccardo di san Vittore, che nello studio della contemplazione fu sovrumano (più che viro>> (Parad. X,130-132).

A più di dodici secoli della morte di Beda il Venerabile, il suo pensiero è stato preso in considerazione dal Concilio Vaticano II come base della redazione della Costituzione dogmatica Lumen gentium e del decreto Ad gentes sull’attività missionaria.

Il motto riportato nello stemma di papa FrancescoMiserando atque eligendo, è tratto dall’ Omelia 21 di Beda il Venerabile sull’episodio della chiamata di Levi.  Jorge Mario Bergoglio lo scelse come motto episcopale il 20 maggio 1992 quando fu eletto vescovo da papa Giovanni Paolo II. Beda scrive: <<Vidit ergo Iesus publicanum et quia miserando atque eligendo vidit, ait illi Sequere me” (Vide Gesù un pubblicano e siccome lo guardò con sentimento di amore e lo scelse, gli disse: Seguimi).

Beda aveva familiari i trattatisti latini, gli autori della decadenza ed anche un gran numero di classici.  Dei Padri e scrittori ecclesiastici fece uno studio continuo, raccogliendo, fin da giovane, tanti estratti delle loro opere. I suoi scritti in materia sacra sono quasi totalmente composti con il materiale che aveva acquisito.

Egli, per gusto personale, parte per i bisogni della scuola e per l’indole dei tempi, e per il suo temperamento enciclopedico fu un poligrafo. Si può dire che possedette tutte le scienze coltivate ai suoi tempi e in grado tale da esserne reputato maestro anche nel campo della musica e della poesia.

I suoi scritti, di cui ci ha lasciato lui stesso un catalogo in calce alla Historia ecclesiastica (V,24), hanno quasi tutti un preciso scopo nel suo insegnamento, ad eccezione di quelli storici.  

Le numerose opere di Beda, tutte scritte in latino (PL 90-95), costituiscono una specie di enciclopedia delle conoscenze dell’epoca e rappresentano il primo monumento storico delle isole britanniche. Esse si possono suddividere in tre grandi gruppi: opere didascaliche e “scientifiche”, opere ascetiche ed esegetiche, opere storiche.

Opera Bedae Venerabilis, 1563

Al primo gruppo appartengono saggi come il De arte metrica, dedicato all’analisi metrica latina, il De Schematibus et tropis, sulle figure del discorso, il De orthografia e un curioso Liber loquela per gestum digitorum, che fece testo durante tutto il Medioevo per l’insegnamento dell’aritmetica o, per meglio dire, del <<calcolo digitale>>. Legati alle cognizioni scientifiche del tempo sono il De natura rerum, che tratta della cosmografia celeste e terrestre utilizzando come fonti principali Plinio il Vecchio (23-79) e Isidoro di Siviglia (560 circa – 636), e due trattati di cronologia e misurazione del tempo: De temporibus e De temporum ratione. In questi trattati, rifacendosi alle questioni cronologiche del monaco Dionigi il Piccolo (V sec.), Beda trasmise al Medioevo l’uso di contare gli anni partendo dalla nascita di Cristo, ab incarnatione Domini.

Le opere ascetiche ed esegetiche procurarono a Beda il titolo di Theologus celeberrimus. Tra le prime sono il De officiis libellus, diretto ad alimentare la pietà liturgica e il De meditatione pietatis Christi  per septem diei horas, che ebbe una enorme diffusione nel Medioevo. Le opere esegetiche comprendono le Omelie destinate alla spiegazione del Vangelo cantato in occasione delle principali feste liturgiche e Commentarii, circa settanta opuscoli dedicati all’interpretazione di ampie parti dell’Antico e del Nuovo Testamento.

 Con i Commentarii biblici, desunti dai grandi Padri della Chiesa, particolarmente da Ambrogio di Milano, Girolamo, Agostino d’Ippona e Gregorio Magno, Beda fissò la dottrina dei quattro sensi, storico, morale, allegorico e mistico delle Sacre Scritture.

Molto importanti per gli studiosi moderni sono le opere storiche: La Vita Sancti Cuthberti, primo vescovo di Lindisfarne,  morto nel 687, e la storia degli abati del monastero Wearmouth e di Jarrow, Historia sanctorum abbatum monasterii in Wiremutha et Jarrow,  alle quali si può aggiungere per il suo valore documentale anche l’epistolario, il  Liber epistolarum.

 Ma la gloria più grande di Beda è la sua Historia Ecclesiastica Gentis Anglorum, che narra le gesta della nazione inglese dall’invasione di Giulio Cesare nel 55 a.C. al 731, anno in cui la Historia fu completata. In essa per la prima volta le varie tribù anglosassoni sono viste come un unico popolo unito da un destino comune. Pur tenendo speciale conto degli avvenimenti d’ordine ecclesiastico, è ricca di notizie concernenti anche la storia civile ed è redatta con notevole spirito critico. Basata su documenti locali della Northumbria e su informazioni desunte da altre regioni, l’Historia è l’opera di uno studioso preoccupato di vagliare l’accuratezza delle fonti. Essa costituisce tutt’ora un testo primario per lo studio della storia anglosassone, soprattutto della sua atmosfera culturale.

Beda, che morì il 26 maggio 735, venne sepolto a Jarrow dove aveva per tanto tempo insegnato. Ma il re Edoardo il Confessore (1002 – 1066), penultimo Re degli Anglosassoni e Re d’Inghilterra della dinastia anglosassone, fece poi portare il corpo di Beda nella cattedrale di Durham.  

Beda, che venne canonizzato nel 1899 da papa Leone XIII con la celebrazione della sua memoria il 27 maggio, fu venerato in patria subito dopo la morte e poi accolto dal card. Cesare Baronio (1538 –1607) tra i santi del Martirologio romano: <<San Beda il Venerabile, sacerdote e dottore della Chiesa, che, servo di Cristo dall’età di otto anni, trascorse tutta la sua vita nel monastero di Jarrow nella Northumbria in Inghilterra, dedito alla meditazione e alla spiegazione delle Scritture; tra l’osservanza della disciplina monastica e l’esercizio quotidiano del canto in chiesa, sempre gli fu dolce imparare, insegnare e scrivere>>.

Beda era già salutato dal Concilio di Aquisgrana del 836 come venerabilis et modernis temporibus doctor admirabilis (PL 14,726) ma l’epiteto di venerabilis, a lui attribuito cominciò ad apparire solo sui cataloghi dell’XI sec.

Beda, nel Discorso 23, ricorda così Giovanni Battista, martire della verità:
<<Il beato precursore della nascita del Signore, della sua predicazione e della sua morte, dimostrò una forza degna degli sguardi celesti nel suo combattimento. Anche se agli occhi degli uomini ebbe a subire tormenti, la sua speranza è piena di immortalità, come dice la Scrittura (cfr. Sap 3,4). È ben giusto che noi ricordiamo con solenne celebrazione il suo giorno natalizio. Egli lo rese memorabile con la sua passione e lo imporporò del suo sangue. È cosa santa venerarne la memoria e celebrarla in gioia di spirito. Egli confermò con il martirio la testimonianza che aveva dato per il Signore.

San Giovanni subì il carcere e le catene a testimonianza per il nostro Redentore, perché doveva prepararne la strada. Per lui diede la sua vita, anche se non gli fu ingiunto di rinnegare Gesù Cristo, ma solo di tacere la verità. Tuttavia morì per Cristo.
Cristo ha detto: «Io sono la verità»
(Gv 14, 6), perciò proprio per Cristo versò il sangue, perché lo versò per la verità. E siccome col nascere, col predicare, col battezzare doveva dare testimonianza a colui che sarebbe nato, avrebbe predicato e battezzato, così soffrendo segnalò anche che il Cristo avrebbe sofferto per primo la sua passione, accennava anche che avrebbe dovuto soffrire….

Un uomo di tale e tanta grandezza pose termine alla vita presente con lo spargimento del sangue dopo la lunga sofferenza delle catene. Egli annunziava la libertà della pace superna e fu gettato in prigione dagli empi. Fu rinchiuso nell’oscurità del carcere colui che venne a rendere testimonianza alla luce e che dalla stessa luce, che è Cristo, meritò di essere chiamato lampada che arde e illumina. Fu battezzato nel proprio sangue colui al quale era stato concesso di battezzare il Redentore del mondo, di udire la voce del Padre su di lui e di vedere la grazia dello Spirito Santo scendere sopra di lui.

Ma a persone come lui non doveva riuscire gravoso, anzi facile e bello sopportare per la verità tormenti transitori ripagabili con le gioie eterne. Per uno come lui la morte non riusciva un evento ineluttabile o una dura necessità. Era piuttosto un premio, una palma di vita eterna per la confessione del nome di Cristo.

Perciò ben dice l’Apostolo: «A voi è stata concessa la grazia non solo di credere in Cristo, ma anche di soffrire per lui» (Fil 1,29). Chiama grazia di Cristo che gli eletti soffrano per lui: «Le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà esser rivelata in noi» (Rm 8,18)>> (Beda, Discorso 23; CCL 122, 354, 356-357).

A conclusione della sua monumentale  Historia ecclesiastica Gentis Anglorum, Beda inserisce una lista, o Indiculus, dei suoi precedenti scritti, e alla fine conclude la sua grande opera con la seguente preghiera, invocando misericordia per sé: <<Io ti prego, buon Gesù, che come Tu mia hai graziosamente dato di bere con piacere della  tua conoscenza, così voglia Tu benignamente concedermi di attingere un giorno a Te, la fontana di tutta la saggezza, e di comparire per sempre davanti il Tuo Volto>> (Hist. eccl., V).

Diac. Dott. Sebastiano Mangano

già Cultore di Letteratura Cristiana Antica nella Facoltà di Lettere dell’Università di Catania

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