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Venerdì 19 agosto, alle ore 21.00, alla Corte del Castello Ursino di Catania, per la rassegna “Catania Summer Fest 2022” promossa dal comune di Catania, andrà in scena “La musica dei ciechi” di Raffaele Viviani, regia di Valerio Santi.
Raffaele Viviani (attore, regista, capocomico, commediografo nonché protagonista di grande rilievo della drammaturgia napoletana del ‘900) pur essendo poco presente nelle programmazioni teatrali italiane, resta senza dubbio un alto punto di riferimento per il teatro partenopeo, sia per via della sua poetica, sia per l’innovazione che apportò al teatro di quell’epoca, unendo il genere dell’avanspettacolo (molto diffuso tra fine ‘800 e primo ‘900) a quello della prosa. Un Teatro fatto di creature vive, umane, difatti, protagonisti delle sue opere sono personaggi tragicomici della realtà come scugnizzi, guappi, puttane, ladri, vagabondi, all’interno di scenari popolari come vicoli, rioni e quartieri malfamati, dove primi su tutti regnano la fame e la miseria, la povertà e il degrado, riflettendo così la cinica e dura realtà storico-sociale del popolo napoletano.

Nella foto Valerio Santi

“Pur non essendo amante delle traduzioni vernacolari gratuite e prive di motivazione a cui spesso capita di assistere, – spiega l’attore e regista Valerio Santiquando lessi la Musica dei Ciechi, fu quasi automatico il pensiero di una nuova trasposizione in siciliano poiché mi accorsi subito di quanto quest’opera appartenesse inconsciamente alla nostra tradizione e di quanti legami vi fossero tra i personaggi descritti da Viviani e personaggi realmente esistiti, non solo della Sicilia, ma bensì di Catania”. “L’idea di rappresentare questo testo dunque, – continua Santi – deriva non solo dalle tematiche sociali di grande importanza e attualità che l’autore affronta nella sua opera e che accomunano per usi, modi e tradizioni in modo particolare la parte meridionale del nostro paese, ma bensì per un altro e ben più fitto legame che vi è tra la cultura napoletana e quella siciliana, ovvero i suonatori ciechi. Nella nostra tradizione infatti gli “Orbi” (ciechi) o “Nanareddi” costituiscono una vera e propria parentesi storica della cultura siciliana; intorno al 1644, grazie ai Padri Gesuiti, soprattutto nelle città di Palermo, Messina e Catania, nacque una vera e propria confraternita di suonatori ciechi (da non confondere con i cantastorie) il cui compito era quello di cantare e suonare – dove richiesto – accompagnando all’occorrenza il sacro al profano. La loro permanenza e popolarità fino al ‘900 la si deve principalmente al repertorio religioso composto da cunti, orazioni, novene e triunfi con cui gli Orbi per conto dei Gesuiti evangelizzavano e catechizzavano il popolo. Per questa ragione si è scelto di trasportare l’opera di Viviani dal Borgo Marinaro di Napoli (luogo originario dell’ambientazione), a Catania, immaginando come scenario della rappresentazione la quieta e silenziosa Piazza Alonzo di Benedetto all’imbrunire della sera, dopo il caos variopinto e folcloristico della pescheria, svolgendo un accurato lavoro non solo sulla traduzione del testo – dal dialetto napoletano a quello siciliano – ma bensì sulla musicalità, i sapori e i colori che l’autore descrive attraverso l’espressione linguistica del proprio popolo, cercando di riprodurla fedelmente nei suoni e nel gusto attraverso il nostro linguaggio d’origine”.

La compagnia dello spettacolo

“Altro elemento fondamentale che mi spinse a quest’operazione fu il legame incredibile che vi è tra il personaggio di Don Ferdinando – protagonista della pièce – e quello di Don Cicciu Napoli, uno tra gli ultimi “Orbi” Catanesi vissuto fino alla fine degli anni ’60, le cui storia risulta esattamente identica a quella sviluppata da Viviani. Si è scelto inoltre di introdurre allo stesso tempo, un rimando ad un’altra grande forma artistica appartenente al nostro patrimonio culturale, la cui pratica avveniva (come per gli Orbi) tra le strade e le piazze della città, ovvero l’Opera dei Pupi, inserendo tra i personaggi della pièce la figura di un Maniante (colui che muove i Pupi) anch’esso cieco, che tra un numero musicale e l’altro animerà – non a caso – la maschera popolare catanese per eccellenza, Peppininu, scudiero di Orlando e Rinaldo nonché metafora fra la lingua parlata e il dialetto, personaggio fortemente legato all’opera in questione sia per l’estrazione ed il linguaggio popolare con cui si esprime, sia per via del suo occhio non vedente. Anche i brani musicali presenti nell’opera originale, sono stati sostituiti con altri appartenenti alla nostra tradizione, parte composti dal Maestro Francesco Paolo Frontini (noto compositore e direttore d’orchestra catanese scomparso nel 1939, oggi caduto nel dimenticatoio), parte recuperati dal repertorio storico siciliano degli Orbi, il cui reperimento deriva da lunghi studi e ricerche tra le memorie di anziani del luogo, rendendo questo progetto non una consueta rappresentazione teatrale ma bensì una vera e propria operazione culturale sulla nostra tradizione, pur rispettando con sacrale meticolosità quanto composto
dall’autore”.

Lo spettacolo, di cui non vi sono notizie di precedenti produzioni siciliane né ospiti approdate nel territorio, aprirà ad ottobre come novità assoluta la nuova stagione teatrale del Teatro L’Istrione, debuttando in anteprima in un’unica replica il 19 agosto. In scena un cast composto oltre
che dallo stesso Valerio Santi, da Concetto Venti, Salvo Scuderi, Cinzia Caminiti, il polistrumentista Giorgio Maltese, il Maestro Mimmo Aiola, il puparo da generazioni Marco Napoli, la memoria storica della Civita Melo Zuccaro e il giovane Manfredi Rondine.

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