Germano, nato nel 664, era figlio del patrizio Giustiniano, senatore di Costantinopoli, fatto giustiziare dall’Imperatore, insieme al figlio Giovanni e ai suoi stretti seguaci, perché aveva sostenuto la ribellione dell’armeno Mecezio che, dopo sette mesi di usurpazione del trono imperiale, fu sconfitto e poi giustiziato per ordine Costantino IV, legittimo imperatore.
Germano, da giovane, nel 668/669, subì un’atroce mutilazione per ordine di Costantino IV che volle così punire il padre per aver sostenuto l’usurpatore Mecezio. Egli dedicò la sua infanzia a Dio e crebbe nello studio delle Sacre Scritture. Ricevuta l’ordinazione presbiterale venne incorporato nel clero della celebre basilica di Santa Sofia di Costantinopoli, divenendone poi anche decano. Della vita di Germano, che giunse a sfiorare il secolo, sappiamo ben poco.
Germano fu uno dei promotori del Sinodo “Trullano” convocato da Giustiniano II e tenutosi a Costantinopoli nel 692, nel trullus, cioè nella «stanza a cupola » del palazzo imperiale. L’intento di questo Sinodo era quello di trattare alcuni problemi canonici, in quanto il V Concilio Ecumenico, cioè il Costantinopolitano II (553), e il VI, il Costantinopolitano III (680?681), non avevano emanato misure disciplinari. Per tale motivo, questo Sinodo è chiamato spesso “Quinisesto”, cioè «quinto e sesto ».
Mentre Germano era arcivescovo di Cizico (705 o 706), l’odierna città turca di Kapidagi, sul Mar di Marmara, l’antica sede metropolitana della provincia romana dell’Ellesponto nella diocesi civile di Asia e sottoposta al patriarcato di Costantinopoli, partecipò al concilio di Costantinopoli del 712, sottoscrivendo una confessione di fede che accoglieva l’eresia monotelita in cui il patriarca Sergio I di Costantinopoli e i suoi seguaci sostenevano che nella persona di Cristo vi era la sola volontà divina la quale aveva assorbito quella umana, limitando così la vera umanità di Cristo. Tale dottrina fu dichiarata eretica dalla Chiesa cattolica nel Concilio di Costantinopoli, indetto il 7 novembre 680 e chiuso il 16 settembre 681, che è ritenuto da alcune Chiese cristiane come il III Concilio Ecumenico.
Alla morte del patriarca Giovanni VI (715), con il consenso “del santissimo prete Michele apocrisario (cioè Legato) della Santa Sede“, l’arcivescovo Germano, l’11 agosto 715, fu nominato patriarca Costantinopoli e, qualche anno dopo (718 o 719) in un concilio condannò il monotelismo a cui aveva precedentemente aderito. Egli Indirizzò anche una epistola dogmatica sulle due nature in Cristo alla Chiesa armena (PG 98,135-146) per condurla dal monofisismo all’ortodossia: ma il tentativo fallì. Il Patriarca istituì anche uno speciale Ufficio Liturgico, ὁ ἀκάϑιστος ὕμνος, cioè un inno cantato in piedi, per ringraziare la Vergine Maria per la protezione da lei accordata a Costantinopoli durante vari assedi dei Persiani Sasanidi nel 626 e degli Arabi nel 677 e nel 718.
Nel 725, appena iniziata la lotta iconoclasta da parte dell’imperatore Leone III Isaurico, che considerava le icone manifestazioni di idolatria, per attuare il suo decreto imperiale, preparato insieme ai vescovi iconoclasti, il 7 gennaio 730 l’imperatore depose patriarca di Costantinopoli, perché era stato il primo vescovo a denunciare con autorità la politica iconoclasta di Leone, schierandosi cosi apertamente con i difensori del culto delle sacre immagini. L’imperatore allora sostituì Germano mettendo sulla Cattedra patriarcale di Costantinopoli Anastasio (730-754), discepolo e sincello, cioè segretario personale di Germano, che scrisse una lettera a papa Gregorio II per il riconoscimento episcopale ma la missiva fu respinta dal Pontefice, che gli intimò di abbandonare l’eresia, cosa che naturalmente Anastasio non fece. Il patriarca Anastasio poi fu punito dall’imperatore legittimo Costantino V per aver sostenuto l’usurpatore Artavasde, che è stato imperatore bizantino dal giugno del 741 al novembre del 743.
Il monaco bizantino, lo storico Teofane il Confessore (758 – 817), nella sua Cronaca racconta la storia dell’Impero romano/bizantino dall’anno 284 all’anno 813, cioè da Diocleziano a Leone V. L’opera è una prosecuzione della Selezione di cronografia dello storico bizantino Geórgios Sýnkellos (750? – 814), segretario personale del santo patriarca di Costantinopoli Tarasio (730-784), che raccontava la storia del mondo dalla sua creazione fino all’anno 284.
Germaro, che fu deposto dopo quindici anni di servizio patriarcale, probabilmente anche con la minaccia armata, si ritirò nei suoi possedimenti di Platanion sito nella costa mediterranea del Peloponneso, dove passò il resto dei suoi giorni.
Egli, però, reagì alla deposizione forzata confutando l’accusa infondata di idolatria e spiegando anche il significato delle icone: <<Quanto all’icona di nostro Signore Gesù Cristo che rappresenta i suoi tratti umani divenuti sensibili grazie alla sua teofania, noi la teniamo allo scopo di ricordarci sempre la sua vita nella carne, della sua passione, della sua morte salvifica e del riscatto del mondo che ne è seguito, attraverso la sua icona impariamo a conoscere tutta l’estensione della kenosi del Verbo di Dio>> (De eresibus et Synodis: PG 98,80).
Il patriarca Germano, che morì nel 733, fu condannato post mortem dal Concilio tenuto nella città di Hieria (753-754), situata sulla sponda asiatica del Bosforo tra Crisopoli e Calcedonia. Questo Concilio, che era stato convocato nel 754 dall’imperatore bizantino Costantino V Copronimo (718 -775), <<figlio di Leone III, il peggiore rampollo di mala radice… cento volte superò la malizia del padre (Leone), non solo fu nemico delle immagini, ma vietò pure che i santi fossero chiamati tali… disprezzando pure le loro reliquie>>, in appoggio alla politica iconoclasta iniziata dal predecessore e padre Leone III. Germano fu riabilitato poi nel 787 dal II Concilio di Nicea, VII Ecumenico, dove è stato notevole il contributo del Padri siciliani e in particolare del diacono Epifanio di Catania, legato dell’arcivescovo della Sardegna Tommaso che, a chiusura del Concilio, pronunciò l’orazione finale per celebrare la vittoria della Chiesa e la sconfitta degli iconoclasti alla presenza del santo Patriarca Tarasio di Costantinopoli che fu moderatore delle adunanze conciliari (S. Mangano, L’Episcopato siciliano e il diacono Epifanio di Catania al II Concilio di Nicea – Difesa del culto delle sacre immagini, Catania 2005).
Del patriarca Germano di Costantinopoli, scrittore di grande valore, abbiamo pochi scritti che possiamo leggere nella Patrologia Graeca, (PG 98,39-453), perché l’imperatore Leone III ordinò che fossero tutti bruciati, ma quel poco che ci resta ci fa capire di aver perso davvero tanto. Oltre le lettere dogmatiche legate alla questione del culto delle icone, di lui possiamo leggere le splendide omelie a carattere mariano, che hanno profondamente segnato la pietà e la devozione di intere generazioni di fedeli, sia in Oriente che in Occidente. Maria non è vista solo come mediatrice con il Signore per la concessione di doni e grazie, ma viene vissuta e cantata per la sua purezza, tanto che il pensiero di Germano può essere considerato precursore del dogma dell’Immacolata Concezione proclamato da Pio IX l’8 dicembre 1854. Una delle omelie del santo patriarca di Costantinopoli (S, Gernanus Cost., In sanctae Dei Genetricis Dormitionem, sermo I), inoltre, viene citata anche da Pio XII nella Costituzione Apostolica Munificentissimus Deus che definì il dogma dell’Assunzione in corpo ed anima di Maria Santissima in cielo l’1 novembre 1950.
Germano ci ha lasciato 3 Epistole dogmatiche relative al culto delle immagini, una Epistola agli Armeni, in difesa del Concilio di Calcedonia (451), un dialogo ascetico morale De vitae termino, in cui si difende la Provvidenza dagli attacchi dei filosofi e degli eretici e un’opera storica, De haeresibus et synodis (ca. 732).
Delle sue moltissime omelie ce ne sono giunte solo 9, delle quali ben 7 dedicate alla Vergine Maria della cui Assunzione egli fu uno dei più fervidi assertori. Si occupò pure di liturgia, ma è ancora in dubbio se siano autentici i numerosi Inni in S. Dei Genitricem attribuitigli dalla tradizione e il trattato liturgico Rerum Ecclesiasticarum contemplatio.
Nella I Omelia In Dormitionem Deiparae, il patriarca Germano dice:
<<O tempio vivente della santissima divinità del Figlio unico, Madre di Dio, io lo ripeto con azioni di grazie, veramente la tua assunzione non ti ha per nulla allontanata dai cristiani. Tu vivi incorruttibile e tuttavia tu non sei lontana da questo mondo di corruzione; anzi, tu sei presso chi ti invoca e coloro che ti cercano con fede ti trovano. Era conveniente che il tuo spirito restasse sempre possente e vivente e che il tuo corpo fosse immortale. Come avrebbe mai potuto la dissoluzione della carne ridurti in cenere e polvere, tu che hai salvato l’uomo dallo sfacelo della morte con l’incarnazione di tuo Figlio? E se tu hai lasciato la terra, è perché il mistero di questa incarnazione prodigiosa si manifesti in tutta la sua evidenza… Non si può ammettere che, avendo portato Dio in te, tu avessi potuto essere ridotta in polvere dalla corruzione della morte. Poiché colui che annientò se stesso (Fil. 2, 7) in te, è Dio dal principio e Vita prima del tempo, e la madre della Vita doveva essa stessa restare con la Vita, la morte non poteva esser per essa che un sonno e l’assunzione sarebbe così come un risveglio per la madre della Vita. Il fanciullo cerca e vuole la madre, e la madre vuoi vivere con la sua creatura; analogamente poiché tu nutrivi nel cuore un amor materno per il tuo Figlio e per il tuo Dio, dovevi nell’ordine naturale poter ritornare presso di lui, e Dio, per il suo amor filiale verso di te, doveva con giustizia concederti di condividere la sua condizione. Così, morta alle cose periture, sei stata portata verso le dimore incorruttibili dell’eternità in cui risiede Dio, della cui vita ormai tu partecipi senza mai abbandonare la sua presenza, o Madre di Dio. Tu sei stata corporalmente la sua dimora; ed ora è lui che, come tua ricompensa, si è fatto luogo del tuo riposo. Egli diceva: Questa è la mia stabile dimora per i secoli dei secoli. Questo luogo di riposo è la carne di cui egli si è rivestito dopo averla presa da te, Madre di Dio, la carne nella quale noi lo crediamo egli si è mostrato nel mondo presente e si manifesterà nel mondo futuro allorché verrà a giudicare i vivi ed i morti. Poiché tu sei la dimora del suo riposo eterno, egli ti ha sottratta alla corruzione e ti ha preso con sé, volendo conservarti alla sua presenza ed al suo amore. Ecco perché tutto ciò che tu chiedi egli te lo concede come a madre premurosa verso i figli; e tutto ciò che tu auspichi egli lo compie con la sua potenza divina, egli ch’è benedetto per l’eternità>> (In Dormitionem Deiparae, 1: PG 98,339-348)
Germano di Costantinopoli, che morì nel 733 quasi centenario, nei suoi possedimenti di Platanion, nel Peloponneso, sulla costa greca del mar Mediterraneo, è così ricordato dal Martirologio Romano: <<A Costantinopoli, san Germano, vescovo, insigne per dottrina e virtù, che con il coraggio della fede rimproverò l’imperatore Leone l’Isaurico per aver promulgato l’editto contro le sacre immagini>>.
San Germano, patriarca di Costantinopoli, è venerato come santo dalla Chiesa Cattolica e da tutte le Chiese che ammettono il culto dei santi e ne celebrano la memoria il 12 maggio.
Desidero concludere questa breve ricerca su san Germano, Patriarca di Costantinopoli, con le parole pronunciate dal santo padre Benedetto XVI nell’Udienza Generale del 29 aprile 2009: <<Ciascuno di noi si chiede: Che cosa ha da dirci oggi questo san Germano, cronologicamente e anche culturalmente abbastanza distante da noi? Penso sostanzialmente tre cose, dice papa Benedetto XVI, la prima: c’è una certa visibilità di Dio nel mondo, nella Chiesa, che dobbiamo imparare a percepire. Dio ha creato l’uomo a sua immagine, ma questa immagine è stata coperta dalla tanta sporcizia del peccato, in conseguenza della quale quasi Dio non traspariva più. Così il Figlio di Dio si è fatto vero uomo, perfetta immagine di Dio: in Cristo possiamo così contemplare anche il volto di Dio e imparare ad essere noi stessi veri uomini, vere immagini di Dio. Cristo ci invita ad imitarLo, a divenire simili a Lui, così che in ogni uomo traspaia di nuovo il volto di Dio, l’immagine di Dio. Per la verità, Dio aveva vietato nel Decalogo di fare delle immagini di Dio, ma questo era a motivo delle tentazioni di idolatria a cui il credente poteva essere esposto in un contesto di paganesimo. Quando però Dio si è fatto visibile in Cristo mediante l’incarnazione, è diventato legittimo riprodurre il volto di Cristo. Le sante immagini ci insegnano a vedere Dio nella raffigurazione del volto di Cristo. Dopo l’incarnazione del Figlio di Dio, è diventato quindi possibile vedere Dio nelle immagini di Cristo ed anche nel volto dei Santi, nel volto di tutti gli uomini in cui risplende la santità di Dio. La seconda cosa è la bellezza e la dignità della liturgia. Celebrare la liturgia nella consapevolezza della presenza di Dio, con quella dignità e bellezza che ne faccia vedere un poco lo splendore, è l’impegno di ogni cristiano formato nella sua fede. La terza cosa è amare la Chiesa. Proprio a proposito della Chiesa, noi uomini siamo portati a vedere soprattutto i peccati, il negativo; ma con l’aiuto della fede, che ci rende capaci di vedere in modo autentico, possiamo anche, oggi e sempre, riscoprire in essa la bellezza divina. E’ nella Chiesa che Dio si fa presente, si offre a noi nella Santa Eucaristia e rimane presente per l’adorazione. Nella Chiesa Dio parla con noi, nella Chiesa “Dio passeggia con noi”, come dice san Germano. Nella Chiesa riceviamo il perdono di Dio e impariamo a perdonare. Preghiamo Dio perché ci insegni a vedere nella Chiesa la sua presenza, la sua bellezza, a vedere la sua presenza nel mondo, e ci aiuti ad essere anche noi trasparenti alla sua luce>>.
Diac. Dott. Sebastiano Mangano
già Cultore di Letteratura Cristiana Antica nella Facoltà di Lettere dell’Università di Catania